mercoledì 16 gennaio 2013

Riforma Fornero e lavoro intermittente (a chiamata)

Effetto Fornero sul lavoro intermittente


Per apprezzare gli effetti della riforma del lavoro sul piano dei grandi aggregati ci vorrà del tempo.
Ma già ora si nota un impatto significativo sul contratto di lavoro intermittente, profondamente ri-regolato dalla legge 92.
Alcuni osservatori hanno affermato: “Ecco, la riforma del mercato del lavoro non funziona”, altri con un altrettanto atteggiamento semplicistico argomentano: ” La riforma funziona perché l’occupazione tendenziale tiene, mentre siamo alla presenza di un PIL a – 2,6 e di una produzione industriale a – 4,8 (tendenziale). In realtà ci vorrà molto tempo per apprezzare gli effetti (se ce ne saranno) della riforma varata con la legge n° 92/2012 sul piano dei grandi aggregati.
Quello che si può cominciare ad osservare è la ricaduta delle norme specifiche che hanno teso a modificare il comportamento delle imprese, incentivandoli o no rispetto agli obiettivi che il legislatore si era dato.
LA LEGGE n° 92 ED IL LAVORO INTERMITTENTE

Il primo impatto significativo riguarda il contratto di lavoro intermittente (o lavoro a chiamata o job on call) profondamente ri-regolato da questa legge. L’obiettivo è stato quello di limitarne l’uso distorto. Le nuove norme hanno ridefinito modalità e tempi del possibile impiego, ma hanno anche introdotto un nuovo adempimento, in altre parole l’obbligo di comunicare la durata di ogni attivazione effettiva del lavorator. Questo per impedire forme d’impiego irregolari cioè il tentativo di schermare con il contratto medesimo forme di lavoro nero. Si osserva che a partire dal 2008 il contratto intermittente ha avuto uno straordinario successo e una progressiva, continua e rapida diffusione soprattutto nelle R del Veneto ed Emilia Romagna a vocazione turistica commerciale.
Nel terzo trimestre 2012, in coincidenza non casuale con l’entrata in vigore delle nuove norme, il 18 luglio, il trend di crescita si è notevolmente inceppato.
Dai dati resi disponibili dalle Regioni e Province autonome aderenti al gruppo di lavoro multiregionale SeCo (Statistiche e Comunicazioni obbligatorie) emerge che:

• Le assunzioni sono diminuite fortemente in tutte le aree sia rispetto al trimestre precedente (circa – 30%), sia rispetto al medesimo trimestre dell’anno precedente (quasi – 70%).

• Di converso le cessazioni sono aumentate significativamente, ad eccezione del Piemonte.

Il combinato disposto del calo delle assunzioni e della crescita delle cessazioni ha comportato un forte ridimensionamento dello stock di rapporti intermittenti in essere: si può calcolare, per l’insieme delle aree considerate e con riferimento ai rapporti aperti a partire dal 2008, una contrazione dei rapporti intorno al 20% rispetto al livello pre-riforma (e al netto dei fattori stagionali).
E’ evidente che un movimento di queste dimensioni non ha determinanti solo stagionali, ma è in larga parte ascrivibile alla reazione delle imprese (e dei consulenti del lavoro) e ai connessi cambiamenti post riforma nelle strategie di recruitment.

Il contratto a chiamata, con le nuove regole, risulta chiaramente meno appetibile.

C’è da chiedersi che ne sia stato dei lavoratori interessati dalle cessazioni di rapporto di lavoro intermittente.

COME CAMBIANO I CONTRATTI

Nella tabella seguente le cessazioni da contratti di lavoro intermittente e la successiva riallocazione (entro un mese).
Un’analisi di dettaglio disponibile per il Veneto, una delle Regioni dove il contratto a chiamata ha conosciuto la maggiore diffusione, ha documentato che a fronte delle circa 30.000 cessazioni di rapporti di lavoro intermittente del terzo trimestre 2012, in oltre 10.000 casi (36% delle cessazioni totali) si è registrato un nuovo rapporto di lavoro attivato entro un mese dalla data di cessazione. Nello stesso trimestre degli anni precedenti, con un valore delle cessazioni ben più contenuto, tale quota era inferiore al 20%. Ma il fatto più rilevante e significativo è che la quasi totalità delle assunzioni intervenute dopo la conclusione del contratto di lavoro intermittente (circa 9.000), è stata attivata dalla medesima azienda che aveva comunicato la cessazione e di solito nell’arco di pochi giorni dalla conclusione del rapporto di lavoro intermittente. I nuovi rapporti di lavoro così attivati sono stati del 48% dei casi a tempo indeterminato e nel 39% a tempo determinato, mentre, in precedenza, le riassunzioni avvenivano in forte prevalenza con un ulteriore contratto di lavoro intermittente e si tratta in maggioranza di rapporti part-time.

Dunque risulta che la nuova regolamentazione sembra aver determinato non solo un ridimensionamento del ricorso al contratto a chiamata, ma anche uno spostamento di rilievo in direzione delle altre tipologie di lavoro e in particolare dei rapporti a part-time sia a tempo indeterminato sia determinato. Non risultano significativi gli spostamenti verso l’apprendistato e verso il contratto a progetto.

Resta da documentare la consistenza di un’ulteriore possibile direzione di spostamento e cioè quella dei voucher, ma l’INPS non è ancora in grado di fornirla.

Nessun commento: