mercoledì 17 gennaio 2007

Tanto bisogno, poca domanda

Un gap da colmare
di Giuseppe Perrone

Un paradosso investe le Piccole Medie Imprese: a fronte della diagnosi d'investire nella formazione manageriale continua, rimane gravemente insufficiente l'accesso dei dirigenti delle PMI alle risorse già disponibili.
Una contraddizione da superare per dare alle aziende ed ai manager la capacità d'innovazione necessaria a competere sul mercato
Una serie di eventi - assai noti - hanno determinato una maggiore esposizione dell'economia italiana alla concorrenza internazionale. Il sistema delle imprese si trova di fronte alla sfida della riqualificazione produttiva cui si aggiungono, per le PMI, i problemi derivanti dal "passaggio generazionale" e quelli relativi alla "struttura finanziaria" ed alla governance. In ogni caso, le soluzioni non possono prescindere dall'attivazione di processi d'innovazione. Che la risposta all'accresciuta competizione sia l'innovazione tecnologica è ormai largamente condiviso.

Al di là delle diverse ricette su come realizzarla, oggi è (o appare) forte la consapevolezza che questa è la condizione critica non solo dello sviluppo, ma talvolta anche della semplice sopravvivenza di interi comparti della nostra industria. Ma c'è
anche un'ulteriore sfida: il modello delle PMI ha ancora oggi una validità economica?
La competitività delle imprese si misura con l'innovazione organizzativa e di processo che, ancor più dell'innovazione di prodotto, è legata alle continue richieste di adeguamento innescate dalla tecnologia.
Ma tra i fattori dell'innovazione tecnologica ed organizzativa ve n'è uno particolarmente rilevante: il capitale umano, quel complesso delle competenze delle persone che collaborano all'impresa. Il problema è che si tratta di un bene che non può essere acquisito come se fosse un macchinario,ma va creato.
La formazione continua è una formula magica? Lo sviluppo delle imprese è quindi legato al fattore manageriale e, in ultima istanza, alla formazione delle persone. Nella fase attuale di cambiamento infatti, la risposta non può che essere quella della formazione continua. Tale esigenza, generalizzata per tutte le imprese, nelle PMI si presenta con alcune particolarità su cui merita accennare.
Da una parte, il management, per vari motivi, quasi sempre viene dalla famiglia del fondatore o è cresciuto all'interno, e spesso manca di addestramento specifico.
Dall' altra, le PMI hanno esigenze particolari che trovano scarsa corrispondenza nelle tradizionali discipline gestionali: il manager o il quadro non è solo un tecnico della gestione, ma è anche portatore e realizzatore di un complesso di valori che non sono presenti nelle imprese più grandi. Allora il vero nodo è la riqualificazione del personale esistente nelle PMI.
La formazione continua è sempre evocata nei grandi programmi di sviluppo ed innovazione, a partire da quelli comunitari: basti pensare alla "strategia di Lisbona". In Italia se ne è sempre fatta poca, non così in Europa: in Francia le esperienze in questo campo hanno una storia ultraventennale e finanziamenti pari all' 1,6% della massa salariale, in Danimarca la percentuale arriva all'8%, in Olanda e Spagna allo 0,7%. In Grecia è "solo"
dello 0,45%, che è pari, comunque, ad una volta e mezza il contributo previsto in Italia (0,30%).
Quale formazione continua per i dirigenti?
Formazione continua è una formazione destinata a soggetti diversi dagli studenti ordinari, con esigenze di contenuti e organizzative del tutto particolari. Anzitutto i contenuti: la formazione continua non può essere di tipo accademico, ma deve avere finalità subito operative, cioè rispondere ad esigenze concrete e specifiche dell'organizzazione e subito applicabili. Ciò presuppone una programmazione didattica ad hoc: si deve insegnare quanto è immediatamente utile nell' attività delle imprese a cui è finalizzata. I contenuti debbono essere impartiti in forma appropriata, facendo perno sulle esperienze lavorative dei fruitori più che sulle conoscenze accademiche pregresse. Naturalmente, a caratterizzare una buona formazione continua non sono solo i contenuti, ma anche l'organizzazione della didattica. Questa, anzitutto, non può essere una formazione d'aula, ma va ritagliata sui tempi di soggetti già impegnati (e molto) nell' attività lavorativa.
Quindi una formazione facilmente accessibile, eventualmente raggiungibile per via telematica. Inoltre deve avere carattere modulare per consentire percorsi personalizzati.

lunedì 15 gennaio 2007

Il manager di domani

Probabilmente per definirlo occorrerebbe prima convenire su quale sia stato quello di ieri e poi di oggi. Chiedersi magari se sia un dirigente o un factotum, un imprenditore o un dipendente serio ed affezionato o quant'altro. Difficile dare una etichetta chiara e precisa in particolare se ci riferiamo al mondo lavorativo italiano. Da noi questa figura è molto diversa anche a seconda del settore in cui opera. Ci sono managers pubblici, bancari e assicurativi, del commercio ed industriali. Essi sono spesso definiti tali dal contratto nazionale di lavoro dei dirigenti in funzione dell'incarico che hanno, delle responsabilità che dovrebbero avere e delle competenze gestionali.

Ognuno dei settori citati ha un proprio modo di inquadrare questa figura, altrettanto fanno i vari contratti di lavoro nazionali. Il ruolo viene così molto spesso incasellato in una serie di articoli e norme contrattuali che talvolta sfuggono dal merito della nomina. Troviamo così il manager dirigente statale o parastatale che lo diviene per effetto di concorso più o meno "manipolato" dalla politica e purtroppo spesso il merito fondamentale è quello della fedeltà partitica. Questo non esclude ovviamente la esistenza di competenti managers pubblici, ma non ne viene mai evidenziata la responsabilità soggettiva. Quando si entra nel settore privato le cose assumono un aspetto leggermente diverso ma in un microcosmo di comportamenti e atteggiamenti talmente difformi da disorientare anche un attento analista. In genere si aggiunge ai criteri di nomina già citati anche quello del merito tecnico specifico che si affianca prepotentemente alla valutazione dei successi ottenuti. Purtroppo senza badare troppo a come ciò sia avvenuto ed in quale contesto. Coloro che valutano il manager sono persone che seguono propri parametri per rispondere alle esigenze puntuali della propria società. Poco importa se si stia parlando di imprenditori o topmanagers di grandi aziende perchè se prima doveva essere uno bravo e fedele, oggi conta che sia molto bravo. Negli ultimi sessanta anni questo sistema valutativo ha visto nominare managers con la qualifica di dirigente, ma anche di impiegato al massimo livello piuttosto che di quadro. Ma con quale ruolo? Da braccio destro dell'imprenditore, da factotum, da fiduciario, da Direttore Generale, da Amministratore Delegato, da Direttore di funzione, da Tecnico superesperto, da.... storica figura dell'Azienda a.... passandolo Dirigente ci costa meno(Situazione oggi non più vera). Da ricordare che, se parliamo di Dirigenti, molti imprenditori si sono nominati tali per usufruire dei benefici contributivi ed assicurativi che il contratto nazionale aveva assicurato ai loro primi collaboratori. In tal modo sono stati allineati controllati e controllori. Fenomeno abbastanza paradossale ma comprensibile in una Italia che stava imparando a strutturare un contesto sociale dove predominava nella cultura generale l'assistenzialismo. Oggi quale sia la realtà in cui operano i managers forse non è più semplicemente associabile ad un contratto nazionale di lavoro, tanto per i Dirigenti che i Quadri. Oggi chi gestisce le leve del potere decisionale ed economico non vede di buon occhio il rapporto a tempo indeterminato, le tutele economico sociali dei contratti nazionali, i minimi tabellari garantiti, gli orari di lavoro predeterminati e tutto ciò che rappresenta un vincolo per le aziende. Nel contempo è cresciuta però la richiesta di una capacità gestionale di tutte le risorse (capitale finanziario, umano, tecnico). I mercati sono molto cambiati, la velocità operativa ha subito un fortissimo incremento, la competitività nazionale ed internazionale mette alla frusta le strategie di ieri, gran parte delle precedenti "regole di mercato" sono saltate o stanno rapidamente cambiando. La quantità di risorse finanziarie che si è creata nel frattempo, oltre che essere enorme, si muove tra le diverse opportunità di investimento con una velocità ed una forza che spiazzano spesso anche le migliori strategie. Le grandi aziende stanno diventando sempre più grandi e le piccole soffrono la dimensione spesso poco competitiva. Le medie cercano l'equilibrio ideale. Quali managers per queste nuove realtà? A quali sfide dovranno confrontarsi? Con quale formazione?