venerdì 9 settembre 2011

Ma che cosa vorrà dire questa “Manovra”?

Volendo porre le giuste premesse partiamo dal significato che viene dato dal dizionario a questa parola. La consultazione ci offre cinque definizioni:
1)
l'insieme delle operazioni necessarie per mettere in azione una macchina o un dispositivo
2)
di mezzi di trasporto, complesso di operazioni necessarie per cambiare la velocità, la posizione, la direzione o, se si tratta di un treno, la formazione
3)
movimento di reparti militari a scopo di esercitazione
4)
[in senso figurato] stratagemma astuto e segreto,intrallazzo. Nel linguaggio giornalistico, trattativa, ricerca di accordi ecc.
5)
[in senso esteso] complesso di misure di natura economica prese dal Governo

Va da se che la quinta avrebbe il significato più aderente a quanto tumultuosamente in corso dal 13 luglio ultimo scorso, ma curiosamente gli eventi occorsi in questi due mesi appena trascorsi mettono in evidenza, magari a chi ha occhio malizioso, anche tutti gli altri quattro.
Infatti se ci riferiamo alla prima definizione dovremmo vedere mettere in azione un qualche cosa, cioè l’economia in questo caso o meglio il sistema produttivo del Paese quindi gli investimenti e l’occupazione (Giovani in primis) ma non se ne vede traccia.
La seconda, metaforicamente interpretata, dovrebbe essere dare quella marcia in più che guidi, cioè dia una direzione, agli impegni di una politica di sviluppo di tutte le aree geografiche ed economiche italiane. Dare velocità alla dinamica imprenditoriale portandola ad affrontare il proprio futuro rimuovendo gli ostacoli che la burocrazia frappone per giustificare la propria esistenza. Non sembra essere così.
La terza ci spiega che la manovra è, in fondo, un’occasione per provare tutti quei movimenti e studiare le reazioni degli interessati per ridurre al minimo il rischio. Qui si che ritroviamo la volontà di verificare la possibile perdita di voti alle oramai vicine elezioni politiche. La prova sta nelle continue modifiche e contraddizioni ascoltando gli umori della “casta” che, più che rappresentare i propri elettori, rappresenta interessi professionali ed individuali che Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo avevano così chiaramente descritto, senza subire alcuna smentita, nel loro libro “La casta” uscito il 2 maggio 2007. In quattro anni e mezzo dalla sua pubblicazione abbiamo visto e letto eventi disgustosi riferiti a personaggi politici di ogni rango, ma non abbiamo rilevato un cambio nei comportamenti degli interessati a questa inchiesta.
Infine la quarta definizione che sembra meglio rappresentare o quantomeno riassumere l’insieme delle azioni compiute da tutti gli attori di valenza politica chiamati a dare un contributo alla critica situazione economico finanziaria. Infatti non si è notato un grosso impegno a tutelare gli interessi di 60 milioni di italiani con un’azione decisa, difficile ed impopolare che potesse, nel triennio, vedere la luce di una “nuova gestione del sistema Italia”, perché si è tentato con il gioco delle tre carte, di assicurarsi (la casta) prima “il cadreghino”, poi il consenso dei parlamentari influenti, quindi dei detentori dei grandi patrimoni e delle classi sociali “che contano” disorientando e irridendo quella grande massa di cittadini che hanno redditi modesti, tasse sicure e poche speranze per un futuro migliore. Si direbbe che a forza di preoccuparsi di non perdere voti, ora quasi quasi potrebbero essere certi di averli smarriti. Intanto però niente tagli reali alla classe politica, false cancellazioni delle province che verrebbero sostituite da ancora più costose “strutture intermedie di zona”. Difficile trovare un leader di partito credibile ma soprattutto un partito che abbia in sé la capacità di catturare l’attenzione di un elettore. L’appiattimento dei valori e la incapacità di produrre un obiettivo condiviso sui piani sociale ed economico rende tutti i partiti opachi e indistinguibili.
Sappiamo che esistono atteggiamenti pro e contro “il berlusconismo”, pro e contro “i comunisti”, pro e contro il Vaticano, ma sembrano tutti più fumo negli occhi che sostanza su cui discutere. Abbiamo gli “urlatori” che pontificano sul malcostume e traggono lauti guadagni dalla loro politica, in primis i giornali. Ma nessuno, con calma e con coraggio, dice alla gente quello che purtroppo occorrerebbe dire e cioè :
- Nella crescita, per almeno trenta anni, abbiamo avuto si dei risultati ma ci siamo anche sbagliati nella gestione sociale e politica; non cerchiamo le colpe bensì gli errori, facciamone tesoro e riformiamo il sistema.
- Abbiamo vissuto, anche se non tutti, al di sopra delle nostre possibilità ed ora dobbiamo fare TUTTI un passo indietro. Quindi ancora sacrifici per qualche anno e non mesi!
- La giustizia sociale è un’utopia, quindi possiamo solo tenderci e sperare che per i nostri figli e giovani di domani si apra quel mondo migliore che spetta agli statisti costruire nel sereno, anche se aspro, confronto nella diversità di culture e di opinioni.
Altri potrebbero chiamarla “rivoluzione” e forse così occorrerebbe definirla ma evitando che il modo di far politica ricorrente da anni sia terreno fertile per la ricostituzione di movimento estremisti e temibili come i NAR e le BR. L’inveterato modo di cercare di accontentare “chi conta” e di illudere le masse non fa più presa anche se continuiamo a vedere azioni figlie delle realtà vissute 40 o 50 anni fa. Non è stata solo l’economia a cambiare, ma anche le persone quindi la socialità, il mondo del lavoro, il confronto internazionale con la sua concorrenza crescente, la globalizzazione dei mercati e delle culture. E’ pur vero che un cambiamento richiede una gradualità di interventi ma in un contesto di pianificazione del modello sociale a cui tendere. Allora si che saranno più o meno comprensibili e magari torto collo accettati, sacrifici economici da chi già li subisce nella speranza, remota, che siano tutti a pagarli.
Abbiamo un problema economico e finanziario ma soprattutto morale.

N.d.R : “Cercansi politici statisti”.