mercoledì 13 giugno 2007

Il caso Padoa Schioppa e Roberto Speciale

Managers? Il caso Padoa Schioppa e il generale Roberto Speciale

E’ di questi giorni il provvedimento di sostituzione, bloccato dalla Corte dei Conti, del generale della Guardia di Finanza. Caso politico? Probabilmente si, ma non è di politica che intendo parlare.
Proviamo a trasferire gli attori ed il fatto in un ambiente funzionale alla nostra attività dirigenziale e dare i nomi appropriati al contesto ed ai personaggi.
Il Governo diviene così il Consiglio di Amministrazione della società Italia S.p.A e il Parlamento assume la veste dell’Assemblea dei Soci (gli Italiani lo sono a pieno titolo dato che versano tra imposte dirette ed indirette e tasse circa il 75% del reddito prodotto).
Il ministro Padoa Schioppa ne è un Amministratore Delegato all’Economia e Finanze, mentre il generale Speciale riveste la carica di Direttore Generale della Guardia di Finanza, una delle Divisioni in cui si articola l’azienda Italia. La Corte dei Conti si chiamerebbe per noi Collegio dei Sindaci Revisori. Insomma un contesto di operatività tipico del mondo manageriale.

A questo punto l’Amministratore Delegato all’Economia e Finanze sembra aver raccolto una serie di informazioni sulla operatività del Direttore Generale di Divisione e ne riferisce in Consiglio di Amministrazione. Il Consiglio decide l’allontanamento del Direttore Generale di Divisione e, vista l’importanza della Divisione, ne riferisce all’Assemblea dei Soci.
In termini di diritto, tutto sembra rientrare nelle regole, più o meno spiacevoli applicate dalle parti.
Allora cosa ci sarebbe da obiettare? Proviamo ad elencarne alcuni punti:
- il Direttore Generale viene dimesso dal’incarico
- non gli vengono revocati i poteri
- viene nominato un sostituto, anche lui con gli stessi poteri di quello uscente
- al destituendo viene offerto un incarico di rilevanza societaria nell’ambito del Collegio Sindacale dei Revisori.
- l’Amministratore Delegato spiega esplicitamente all’Assemblea dei Soci che le motivazioni sono da ricondurre nella interpretazione soggettiva del ruolo, nella ricerca di sfuggire ai controlli sul suo operato, nell’aver costretto i diretti collaboratori ad indagare (compito istituzionale della Divisione) su vicende di attività finanziarie personalmente e potenzialmente attribuibili ad alcuni membri del CdA ma in conflitto con le loro responsabilità istituzionali.
- Il Direttore Generale se la prende con l’Amministratore Delegato ed il suo vice, informa di essere stato condizionato nello svolgimento del suo incarico, si sfoga pubblicamente e respinge il “contentino”.

Un’altra riflessione sui comportamenti. Come mai accuse così gravi al Direttore Generale, se fondate, invece di portare ad una causa civile contro di lui, portano al tentativo di “promuoverlo” con buona pace di tutti? Come mai, se infondate, vengono raccolte per vere dall’Assemblea dei Soci
nonostante si tratti di fatti che investono gli interessi privati degli amministratori contro quelli aziendali? Resta un fatto : il licenziamento. Da qui poi eventuali indennizzi più o meno accettabili.

Prima di tutto credo che dobbiamo avere ben chiaro che, per noi dirigenti, è una nostra realtà quella di essere costantemente appesi ad un filo; proprio quello che tiene in mano il C.d.A. e di cui dispone liberamente.
Infatti nella storia citata, prima gli viene “richiesto di dimettersi” (esattamente quello che viene normalmente fatto con noi quando il “vento cambia” con eventuale offerta di una “promozione” per salvare la faccia a tutti), poi si informa “chi di dovere” (comprese le Parti Sociali) ma a nulla servono le difese e gli errori procedurali eventualmente compiuti.
Non è così importante per il vertice definire chi abbia sbagliato ma bensì disporre di un adeguato capro espiatorio.
Ciò non per definire qualcuno vittima di un sistema e portare avanti crociate contro le “ingiustizie”
ma per sottolineare che il ruolo dirigenziale deve essere interpretato e vissuto nei giusti modi, con una buona dose di realismo e con la formazione continua. Se da una parte non ti vogliono, potresti essere la persona giusta nell’azienda sbagliata e non la persona sbagliata come ti verrà detto.