giovedì 24 gennaio 2008

La gestione dello Stato - Manager politici

I dipendenti pubblici, nell’esercizio delle loro funzioni, devono garantire non solo il rispetto delle norme contrattuali ma una piena adesione ai valori che presiedono l’azione delle pubbliche amministrazioni.
Innanzitutto l’interesse pubblico. Ma anche comprensibilità e affidabilità nelle comunicazioni, nelle dichiarazioni e finanche negli atteggiamenti, in particolare, riguardo ai contatti con il pubblico e ai rapporti sociali.
Questo, in sintesi, il messaggio veicolato dal ministro per le riforme e le innovazioni, Luigi Nicolais, con la Direttiva n.8 del 6 dicembre 2007, recante Principi di valutazione dei comportamenti nelle pubbliche amministrazioni - Responsabilità disciplinare.
La direttiva si collega direttamente al decreto del ministro della Funzione pubblica del 28 novembre 2000 con cui è stato approvato il Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e alla successiva circolare del 12 luglio 2001 n.2198 inerente Norme sul comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Se questa notizia fosse stata diffusa nel 1948 si sarebbe potuto dire che, a seguito dell’emanazione della Carta Costituzionale, si intendeva normare un settore importante e vitale per la ripresa dello Stato italiano quale quello dei cosiddetti servizi pubblici. Magari nella ipotetica necessità di allineare i comportamenti “borbonici” dei funzionari monarchici con quelli “partitici” dei simpatizzanti “fascisti” o quelli di ispirazione marxista.
Purtroppo invece appare nel 2007 proprio nell’immediato delle celebrazioni per i sessanta anni della nostra Costituzione. Dopo sessanta anni di repubblica democratica dobbiamo assistere ad un provvedimento governativo che spieghi e, tentativamente, metta ordine nel modo di lavorare dei dipendenti pubblici! Mi sembra sinceramente di assistere ad una sconfitta dichiarata di un modello statale perdente. Abbiamo avuto in questi dodici lustri un numero elevato di Governi per soddisfare le esigenze di una moltitudine di partiti dai colori più variopinti, dagli stemmi e nomi più creativi; abbiamo scomodato filosofi e politologi per giustificare ideologie molto simili ma che dovevano apparire diverse per catturare tutti voti possibili, nicchie comprese. Abbiamo strumentalizzato ai fini partitici tutte le strutture esistenti sul territorio sia di natura amministrativa sia industriale, dalla Cassa del Mezzogiorno all’IRI. Abbiamo garantito ai compagni o fedelissimi di partito stipendi adeguati e posti di lavoro a tutti quelli che si fossero impegnati a sostenere con il voto il partito benefattore, dai Ministeri, alle Regioni, alle Province, ai Comuni, alle Circoscrizioni, ai Comitati, ai Consulenti, agli Enti di cui ci siamo dimostrati ferventi ed assidui creatori ……….. all’Alitalia.
Abbiamo costruito uno Stato assistenziale che, giustamente, ha cercato di essere vicino a quei quaranta milioni di italiani che uscivano, con le ossa rotte, da una seconda guerra mondiale ed, in aggiunta, avendola persa! Abbiamo fatto appello alla nostra voglia di rinascita e tutti gli italiani hanno dato prova della loro volontà di sacrificio generando una nuova economia in soli quindici anni. Nel conflitto politico? Certamente. Da una parte i comunisti e dall’altra i democristiani ma nell’intento di un confronto di ideologie veramente diverse. Ma da quel momento solo partitismo.
E’ vero che senza potere non si fa nulla anche in un sistema democratico, ma questa conquista si è man mano indirizzata verso “il potere per il potere”, il potere per gli obiettivi personali e … purtroppo, talvolta per gli interessi personali.
Fare politica è una “conditio sine qua non” ed uno Stato (un popolo) ne ha una esigenza assoluta attraverso i suoi delegati democraticamente eletti nelle istituzioni.
Essi rappresentano la popolazione, ne ricevono mandato e devono realizzare quelle scelte di indirizzo nell’interesse degli elettori.
Rileggo queste ultime parole e mi accorgo che dovrei cancellarle per la demagogia che esprimono in rapporto a quello che vivo!

Ma da quando il mio voto esprime la libera scelta verso un candidato che non si sia già compromesso politicamente ed economicamente con un partito?
Ma da quanto non sento un politico esprimere le soluzioni dei miei problemi economico-sociali, mentre aspetto che finisca di litigare con l’avversario politico in uno sterile ed umiliante confronto di accuse?
Ma da quando vengono presi provvedimenti sullo stato sociale, sulla sicurezza, sulla malversazione se non esplode un tam tam giornalistico o televisivo?
Una volta i giornalisti facevano solo la formazione della nazionale di calcio, oggi fanno, a pieno titolo, politica e, purtroppo determinano le priorità del governo.
Ma come mai escono libri come “La Casta” di L.Rizzo e si cerca di “passarci sopra” mettendo a tacere ogni risonanza? Perché non tuonano indignate smentite?
Ma come mai la magistratura, che normalmente non funziona per libera ammissione dei magistrati, riesce ad essere tempestiva e puntuale nel colpire a destra e sinistra nei momenti topici della vita pubblica?
Ma come mai le indagini di mercato danno oggi due italiani su tre, diffidenti verso la magistratura e preoccupati per la loro sicurezza?
Ma come mai i nostri figli escono sempre più ignoranti dalle scuole malgrado un notevole incremento del livello di scolarizzazione? E questo dopo un numero imprecisabile di riforme di cui si è perso il conto e la reale applicazione?
Ma perché le forze di Pubblica Sicurezza devono garantire l’impegno ed il sacrificio verso le Istituzioni e non devono essere tutelate legalmente ed economicamente?
In tutto ciò gli italiani hanno continuato a lavorare, ad impegnarsi, anche a pagare le tasse, ma nell’ottica di difendere il guadagno legittimo a scapito di quello lecito. E lo Stato invece ha incrementato i propri sprechi economici per sostenere la sua macchina dei voti. Purtroppo lo stiamo vedendo in un atteggiamento di presa in giro dei lavoratori. La spesa pubblica sale e così le tasse necessarie per finanziarla.
La testa (il sistema partitico) è oramai pericolosamente lontana dal corpo (i cittadini) e, se la Rivoluzione francese ha insegnato qualcosa, beh, allora è meglio che la testa, se è in grado di pensare lo faccia in tempo utile, perché la lama della ghigliottina è veloce e, forse, non sarebbe una vittoria per nessuno!

giovedì 10 gennaio 2008

Gestione o manipolazione dei mercati?

"Salotto buono": scoperte le prove!
Se ne parla come se fosse l'Araba fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia... nessun lo sa. Ora un recente studio svela le prove della sua esistenza.
Ripreso da una pubblicazione di "Soldi Sette".

Il delitto
"Salotto buono" è l’espressione utilizzata per indicare un luogo di incontro "privilegiato" tra industriali e finanzieri; una specie di club esclusivo, un centro di potere per gestire gli equilibri economici e finanziari delle società (e del Paese). In particolare, si parla di "salotto buono" per indicare le relazioni privilegiate derivanti da partecipazioni azionarie incrociate o dalla presenza degli stessi manager in più società. Perché si tratta di un "delitto"? Diverse analisi affermano che le relazioni incrociate riducono il livello di concorrenza, mettendo a rischio la correttezza del mercato.
Le vittime
Se è vero che un minor grado di concorrenza può far spuntare prezzi di vendita migliori, c’è anche da considerare che l’efficienza può risentirne (non rischiando di essere sostituito, il management non ha stimoli a migliorare la propria produttività e quella della società). Questo significa che, in molti casi, la parte della vittima la fanno i conti delle società e, di conseguenza, i loro azionisti... cioè voi!
Gli investigatori
Ma il "salotto buono" esiste davvero o no? Ora possiamo dire di sì. Nelle scorse settimane è infatti stato "fotografato" da tre esperti dell’Università di Cambridge, dell’Università di Napoli e della Banca d’Italia.
Le prove
· Lo studio ha analizzato la presenza degli stessi soggetti nei Consigli di amministrazione di più società. In particolare esamina i vertici aziendali in carica tra il 1998 e il 2006 nelle società italiane quotate e dimostra un certo immobilismo nel management, con pochi "ingressi" e "uscite" (specie nelle grandi società, le cosiddette blue chip).· Lo studio mette in evidenza significative differenze tra quelli che sono titolari di una sola "poltrona", o al massimo due, e chi invece è presente in almeno tre società. I primi, che rappresentano la grande maggioranza del totale, in genere non crescono: nel corso degli anni tendono a mantenere solo una "poltrona" o a perdere anche quella. L’élite che è titolare di almeno tre cariche, invece, tende a mantenerle o a aumentarle. In pratica: più è alto il numero di cariche occupate, più è bassa la probabilità di perderle.· Ci sono poi altri elementi che confermano che i "fili del potere" sono concentrati nelle mani di un’élite: i soggetti più presenti ricoprono spesso le cariche più importanti (presidente o amministratore delegato) e, in molti casi, hanno anche partecipazioni azionarie nelle società.
La scena del crimine
· Il "salotto buono" non è certo una realtà esclusivamente italiana, ma le caratteristiche del nostro mercato, fino a pochi anni fa scarsamente evoluto, ne hanno favorito la nascita e la sopravvivenza partendo dalla tanto biasimata "Massoneria".· Tradizionalmente il capitalismo italiano ha sempre avuto due caratteristiche: una forte impronta "familiare" e lo stretto legame tra banche e industria (con il ruolo centrale svolto in particolare da Mediobanca). Queste due peculiarità derivano dal periodo storico in cui si è sviluppata l’industria nazionale: l’economia italiana ha conosciuto una forte crescita nei primi decenni del Novecento quando il ruolo di finanziatore delle imprese era svolto quasi esclusivamente dalle due grandi banche (Credito Italiano e Banca Commerciale) che hanno costruito un complicato intreccio di partecipazioni con le società finanziate.· Negli anni successivi questo intreccio si è evoluto con la nascita dell’IRI (che assume il controllo delle due banche) e con la nascita di Mediobanca. Nelle intenzioni Mediobanca doveva essere lo strumento delle tre banche fondatrici (Credito Italiano, Banca Commerciale e Banca di Roma) per erogare crediti a medio-lungo termine, che erano a loro vietati per legge. Nella realtà Mediobanca si è invece orientata verso il credito mobiliare e i grandi affari, diventando la "cassaforte" di importanti quote azionarie delle principali sociee qui la restante parte.