venerdì 24 aprile 2009

Ad Alessandria parte il Progetto di Piano Strategico “Alessandria 2018”

La pianificazione strategica è un processo di costruzione condivisa del piano di sviluppo a lungo termine di un territorio. Per attuarla è stata costituita una Associazione partecipata dal Comune della città, da privati e dalle organizzazioni ed enti presenti sul territorio oltre ai due atenei locali.
Le fasi previste sono 4: diagnosi della città, progettazione, redazione, realizzazione.

La prima è stata affidata all’Università del Piemonte Orientale che dovrà presentare le conclusioni della ricerca entro la fine di giugno 2009. A quel punto saranno organizzati dei gruppi di lavoro per avviare la fase progettativa. La costituzione di questi ultimi dovrebbe vedere la presenza di tutte le anime della società alessandrina, da quella economica a quella sociale.
Sul piano di Alessandria sono previsti 4 assi: lo sviluppo sostenibile, lo sviluppo urbano, lo sviluppo della conoscenza, lo sviluppo della comunità.
Al pari di altri capoluoghi di Provincia Alessandria si pone quindi la domanda inerente il proprio futuro di centralità territoriale, di armonizzazione della crescita, di rispetto delle esigenze della comunità sociale cercando di prevedere ed interpretare tempestivamente le necessità.
Rispetto al modo con cui è stata amministrata la città, nel dopoguerra, dalle varie anime politiche si tratta di un passo in forte controtendenza. Molto innovativo per una società che, nel vestire di una casacca “grigia” i calciatori della propria squadra di foot ball, ha sottolineato aspetti comportamentali di scarso decisionismo, di modesta capacità creativa e di chiusura relazionale.
Le origini contadine della città hanno certamente influito a rendere questi aspetti evidenti nella maggioranza però non dobbiamo dimenticare che alcuni nomi importanti hanno lasciato segni significativi nel tempo in campi diversi come Morando e Carrà nella pittura, Borsalino, Panelli, Ricci, Cesa, Guala, Paglieri, Venezia, Cerruti nell’industria. Purtroppo dobbiamo notare il forte contrasto tra l’eccellenza di questi nomi e la piatta neutralità dei tanti. Non dobbiamo indicare questo fenomeno come una peculiarità locale, perché sembra invece molto diffuso anche in altri territori piemontesi, ma come una fotografia di cui prendere atto.
La volontà di lanciare un progetto ambizioso come quello del Piano Strategico dovrà comunque fare i conti con questa realtà dove i cinquantacinque-sessantacinquenni occupano stabilmente la totalità dei posti di comando di associazioni di categoria ed enti pubblici e privati nonché degli atenei, essendo persone nate e vissute nel contesto culturale di cui si prendeva atto poco sopra.
Tra tutti gli ostacoli questo è il maggiore. Perché la mancanza di ricambio di uomini non può che portare ad un freno di ogni iniziativa volta a cambiare il volto del contesto socio-economico-abitativo della città capoluogo. Da queste persone è comprensibile aspettarsi la difesa dello status quo, la perplessità verso progetti che non apparterranno mai alla loro cultura, l’incapacità a mettersi in gioco per esporsi ad un rischio che per decenni hanno accuratamente evitato.Ovviamente nel Piano saranno evidenti i grossi interessi economici derivanti dalle azioni che si intenderanno intraprendere e qui scatteranno le difese degli interessi di parte da comprendere ed armonizzare. Un grosso impegno politico che richiederà uomini forti, attenti al giusto compromesso fra gli interessi pubblici e quelli privati, una stabilità politica per almeno dieci anni ed una rinascita di valori etici che solo amministratori illuminati e imprenditori giovani e dinamici potranno offrire vista anche e soprattutto la necessità di approfittare della crisi economica come opportunità per il grande cambiamento

mercoledì 15 aprile 2009

I terremoti colpiscono solo i territori?

Se vogliamo esprimere una risposta di estrema sintesi potremmo dire :NO. Almeno ciò è vero da un miliardo di anni e cioè da quando è comparsa la vita sulla Terra, prima di allora invece la risposta sarebbe stata: SI.

Quindi un terremoto corrisponde ad una catastrofe per le forme di vita terrestri ed a importanti modificazioni della struttura geologica. Ai nostri occhi, da quando è comparso l’uomo, il terremoto è passato da fenomeno inspiegabile e pauroso per gli uomini primitivi fino ad assumere l’immagine di imprevedibile distruttore di vite umane. A pensarci bene però i terremoti hanno continuato a fare sempre la stessa cosa per miliardi anni e cioè, assestare la crosta terrestre galleggiante sul magma sottostante. Gli uomini invece hanno modificato completamente il proprio modo di affrontare la vita e si sono evoluti abitando dapprima negli anfratti, nelle caverne quindi nelle case di legno e paglia e poi in capanne di terra e pietre fino a strutture complesse in legno o mattoni e, in moltissimi Paesi, costruzioni in cemento armato e mattoni. Altro aspetto di particolare rilievo è stato lo sviluppo demografico che ha visto nascere dalle origini ad oggi circa 82 miliardi di persone (stima di Bourgeois Pichat). La stima della popolazione mondiale nel neolitico era di 6 milioni di uomini per arrivare ai 6 miliardi dell’anno 2000 e con una proiezione a 9 miliardi per l’anno 2050.
I terremoti, da quando se ne hanno documentazioni credibili, oscillano abbastanza regolarmente, intorno ai 50.000 all’anno di cui 1 – 2 catastrofici, 3 -5 distruttivi, 800 sono paragonabili a quello che ha colpito l’Abruzzo, 6000 con magnitudo tra 4 e 5 e 45.000 con magnitudo tra 3 e 4.
Come si evidenzia da questa fredda immagine di dati le due cose che sono cambiate di più sono il numero degli abitanti della terra e le loro abitudini abitative. Sono state privilegiate le località climaticamente più favorevoli, quelle economicamente più appetibili o altre maggiormente difendibili dagli attacchi nemici. La concentrazione di persone ha generato l’esigenza di abitare in verticale per sfruttare spazi sempre più angusti, ma sono anche sorti problemi importanti di urbanizzazione e di incremento esponenziale dei costi di costruzione. Da qui la ricerca tecnologica per sfruttare i materiali, ridurne l’impiego e crearne di nuovi. Acciaio, ferro, cemento, mattoni elaborati in mille forme diverse, strutture prefabbricate hanno sostituito le pietre, la terra ed il legno. Grandi studi hanno concepito edifici che si stagliano verso il cielo fino a 300 metri di altezza. Ma la nostra epoca vede la coesistenza di questi prodigi architettonici con le case con pareti di terra e tetti in legno. Purtroppo i maggiori danni li dobbiamo registrare tanto in queste antiche abitazioni che in costruzioni esteticamente moderne ma prive di quelle cautele antisismiche o penalizzate da dolosi risparmi. Un importante dirigente di una associazione costruttori ha spiegato in una intervista televisiva che la responsabilità va anche rivolta al sistema di appalti pubblici, con gara al ribasso, che provoca questi risparmi da parte dei costruttori e quindi la minore resistenza degli edifici. La stessa persona affermava che le gare vengono vinte con prezzi che sono largamente in perdita per i costruttori. Tre considerazioni spontanee: la prima è chi e che cosa autorizzi a costruire edifici non sicuri dal punto di vista sismico o comunque della stabilità viste le competenze progettative che oggi si hanno e la seconda perché non si mandino deserte le gare in cui i prezzi siano assurdi rispetto ai costi e quindi la terza, non si conosce una impresa edile di dimensione media che sia fallita a causa di tutto ciò. Infatti, come è ben noto a tutti, una gara che lanciata a 100, viene aggiudicata a 80, realizzata in tempi biblici si chiude con un consuntivo di 200.
E qui ritorniamo a dolerci del malcostume politico nella gestione della cosa pubblica, di una selva di leggi costruita apposta per difendere interessi illegittimi, della incapacità dei managers pubblici e della loro connivenza con i politici e con i managers privati. Stride la parola “risparmio” con quella dello “spreco” di denaro pubblico e urla vendetta quando questo prezzo viene pagato da tante vite umane.
Sarà vero che le persone restano attaccate ai luoghi dove sono nate ed il loro numero cresce sempre di più. Sarà anche vero che amano vivere in luoghi ambientalmente gradevoli ma la responsabilità di chi gestisce i Comuni, le Province e le Regioni deve andare al di là delle singole volontà per armonizzare le esigenze con le reali possibilità abitative. Se una casa esiste è perché c’è un piano regolatore, un progettista, un ufficio tecnico comunale che approva, un costruttore che realizza ed un collaudo finale. Il tutto regolato da leggi e decreti verso i quali ognuno di questi attori ha le proprie responsabilità.
Il terremoto quindi colpisce le inadempienze, le incapacità, i lucri, le frodi, le connivenze e trasforma in dolo quanto fatalmente legato alla storia abitativa umana ed al suo indiscriminato sviluppo.
Colpisce il sistema Paese che da pochi anni ha preso coscienza della necessità di organizzare sistemi di soccorso sempre più efficienti ed ai quali dobbiamo dire mille volte grazie, ma che interviene a cose fatte per cercare di contenere la sofferenza umana. Ma la prevenzione? Abbiamo scritto leggi che, a causa della connivenza tra il sistema politico e quello imprenditoriale edilizio, non riescono a tutelare i cittadini perché contorte, non applicabili e controverse, incomplete per mancanza di regolamenti, inattuate per le continue proroghe ai termini. Intanto stiamo tutti lì, rivolti ai freddi schermi dei televisori, attenti a cogliere con il nostro cuore sensibile le mille emozioni derivanti dalle immagini, dalle parole. Stiamo lì, pronti a dispiacerci della fatalità degli eventi ed a commuoverci davanti alle bare di centinaia di persone e di decine di bambini che con la nostra scarsa lungimiranza, con l’egoismo di tutelare sempre e solo gli interessi personali, con la mancanza di una visione di insieme della nostra realtà, rifuggendo alle nostre responsabilità abbiamo contribuito ad uccidere.
Lui, il terremoto, ha fatto solo il suo mestiere; assestare il territorio scaricandone le tensioni. Lo fa da miliardi anni e noi tutti lo sapevamo.