lunedì 2 luglio 2007

Formazione manageriale managers pubblici

28-06-2007

Le peripezie italiane del signor Wang
(tratto dal sito www.lavoce.info)
Andrea Villa*

Immaginiamo un signor Wang e un signor Higuchi che per lavoro debbano venire in Italia. Per entrare nel nostro paese devono fare richiesta all’ambasciata d’Italia nel loro paese di un visto di ingresso per motivi di affari, che ha durata massima di novanta giorni. Per ottenerlo, devono produrre una serie di documenti, dimostrando anche di disporre dei mezzi economici per affrontare il viaggio. Non vengono però fornite loro certezze sul rilascio, né sui tempi, che in pratica risultano molto variabili, a seconda della sede diplomatica e della stagione. Il risultato è che molti signori Wang e Higuchi scelgono di entrare in Europa da altre strade, in primis dalla Germania, e in Italia non ci arrivano mai. Con loro, il signor Rossi perde i loro investimenti e anche altre opportunità, diventando ogni giorno un po’ più povero.

Il permesso di soggiorno del manager
Un secondo caso riguarda il distacco in Italia di manager (e personale specializzato) che curano l’avviamento di un’attività nel nostro paese: in questo caso il signor Wang e il signor Higuchi, dipendenti dell’azienda presso sede estera, se hanno qualifiche particolari, possono evitare i vincoli legati ai flussi contingentati, ma devono comunque percorrere un iter lento e tortuoso. Le loro aziende presentano domanda allo Sportello unico per l’immigrazione, presso le prefetture, che poi trasmette il nulla osta all’ingresso al consolato italiano competente. Arrivati in Italia, il signor Wang e il signor Higuchi devono poi richiedere il permesso di soggiorno, da trasmettere alla questura locale, attraverso le Poste. Questo percorso, che può durare molti mesi, presenta tre tipi di problemi: il numero di interlocutori, i tempi e soprattutto l’incertezza in cui viene lasciato l’aspirante espatriato. Per certi versi, la situazione sta lentamente migliorando, ad esempio, prima dell’istituzione dello Sportello unico, le pratiche erano due, una per la questura e una per la Direzione del lavoro, e il tramite delle Poste (che ha moltiplicato gli sportelli) evita le code disumane fuori dalle questure. Ma inizialmente, l’innovazione di una procedura causa spesso il blocco della macchina burocratica. Cosa che si è puntualmente verificata: fra l’istituzione dello Sportello unico per decreto e la sua operatività sono trascorsi mesi, cioè il tempo necessario (ampiamente variabile, a seconda delle province) agli uffici coinvolti per riorganizzarsi e adeguarsi alla nuova normativa. Più recentemente, è stata la creazione del permesso di soggiorno elettronico (Pse), a bloccare di fatto la procedura per tre o quattro mesi, con il risultato che un’innovazione introdotta per agevolare il signor Wang e il signor Higuchi, ha invece bloccato i loro permessi, allungando ulteriormente il tempo loro necessario a ottenere il visto.
Tre cose da fare
Da queste analisi, benché sommarie, si possono trarre tre spunti per l’agenda dell’esecutivo. Occorre in primo luogo adeguare l’organizzazione della rete diplomatica, che a oggi è lo specchio di necessità del passato, con una presenza capillare in paesi che hanno attratto gli emigranti italiani nel secolo scorso (come il Sud America) e un presidio leggero delle nuove economie asiatiche. È sintomatico che il sito web del ministero dell’Estero enumeri sessanta sedi fra consolati, vice-consolati e agenzie onorarie, in Argentina e appena quattro in Cina. Occorre poi dedicare attenzione all’intero processo di implementazione, quando si mettono in cantiere adeguamenti normativi: anche provvedimenti corretti, possono produrre effetti disastrosi se il legislatore trascura le difficoltà a cui deve fare fronte la macchina burocratica per adeguarsi. Fra i principi del buongoverno c’è quello di cambiare le regole il meno possibile. Ma quando ciò è inevitabile, sembra utile prevedere momenti di verifica o test sul campo (magari su una o due province), prima di estendere l’applicazione della nuova normativa a tutto il territorio. Infine, è necessario andare incontro alle esigenze degli utenti, allargando l’impiego di due attrezzi ormai di uso comune nel mondo attuale, ma il cui rapporto con la burocrazia amministrativa è delicato: l’inglese e l’informatica. I moduli per il signor Wang e il signor Higuchi sono oggi solo in italiano e di carta. Realizzare materiale esplicativo, renderne disponibili al pubblico traduzioni in lingua, magari via web, contribuirebbe all’efficacia del processo. Qualche prefettura aveva fatto dei tentativi in questo senso; ora è online l’utile sito www.portaleimmigrazione.it, realizzato dalle Poste con il ministero dell’Interno. Un modello di riferimento può essere il sito inglese: www.workingintheuk.gov.uk. Oltre che nel front-end, l’informatizzazione deve essere introdotta anche nel back-office. Per realizzare il collegamento informatico fra gli uffici amministrativi coinvolti, che è l’unico modo per ridurre i tempi per il passaggio di documenti che oggi viaggiano sotto forma di faldoni cartacei, è necessario un investimento di risorse e una modifica dei regolamenti che limitano l’apertura di connessioni all’interno della stessa amministrazione.In conclusione, le politiche di attrazione degli investimenti diretti esteri devono essere mirate, oltre che ad attività di comunicazione e promozione, all’accoglienza dei cittadini stranieri, attraverso la leva del servizio. Un primo, urgente, passo consiste nel mettere le strutture coinvolte - prefetture, questure, uffici provinciali del lavoro e sedi diplomatiche - nelle condizioni di garantire loro un accesso veloce e sereno.

* Dirigente di ITP- Invest in Turin and Piedmont. L'articolo e le opinioni in esso contenute sono presentate dall'autore a titolo personale e non sono pertanto necessariamente attribuibili all'ente dove lavora.

Non c'è nessuna novità in quello che è sommariamente descritto, ma la cosa più grave è che non è stato scritto 40 anni fa, ma da 3 giorni! Cioè in 40 anni nessuno di tutti i Governi che si sono assunti la responsabilità di gestire il nostro futuro ha mai provveduto, molto semplicemente, " A COPIARE" quello che altri più, attenti al loro interesse, avevano già fatto.
La domanda può essere: " Abbiamo una classe politica mediocre od anche in egual misura una categoria di Managers pubblici incapaci di suggerire ai politici le scelte da fare?"