mercoledì 25 novembre 2009

Come ti liquido Brunetta

Riporto, di seguito la veemente filippica letta su AGORA VOX contro l’on. Brunetta:
“«Il Tesoro esercita un egemonismo leonino, opaco, autoreferenziale. Una iattura. E lo dico convinto di interpretare lo spirito dell’intero governo». Secondo Brunetta, il titolare dell’Economia «non può sostituirsi al Consiglio e al premier Berlusconi: non è questo che vogliono gli italiani». Il responsabile della Pubblica Amministrazione, da parte sua, respinge l’ipotesi di voler prendere ad interim il posto del suo collega a Via XX Settembre: «Non ho ambizioni personali. Io sto bene qui - assicura - dove combatto una battaglia epocale per la modernizzazione dello stato». Ed eccolo il risultato della sua "battaglia": le assenze per malattia dei dipendenti pubblici hanno fatto il pieno nel mese di ottobre. Crescita netta del 28,3%, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Picchi soprattutto nel settore dell’istruzione con un preoccupante +41,1% per gli insegnanti e +38,8% per il personale tecnico-amministrativo.I dati, spiega il ministero della pubblica amministrazione in una nota, risentirebbero anche del picco attuale del virus H1N1. Una scusa che non basta a prendere per il naso i cittadini. Secondo il Ministero, la crescita delle assenze per malattia avrebbe diverse spiegazioni: oltre ai fattori di tipo sanitario, concorrono "l’aggiustamento dei comportamenti individuali" e una "ripresa dei comportamenti opportunistici". Ma la verità sta nel fatto che Brunetta ha fallito! Ci aveva garantito una macchina pubblica efficace ed efficiente, come una Ferrari, ma qui gli uffici pubblici fanno acqua da tutte le parti! I "fannulloni" hanno preso le contromisure, si sono organizzati e sono tornati alla carica. Quando il gatto non è… all’altezza della situazione, i topi ballano, e con loro sono tornate a ballare le assenze per malattia. La cura-brunetta non funziona proprio per niente nella Pubblica Amministrazione, dove i danni del suo operato sono sotto gli occhi di tutti, figuriamoci se gli lasciano mettere becco nelle "casse dello stato", allora sì che siamo rovinati!” A questo punto vorrei offrire un mio commento:Mi sembra che liquidare il tutto puntando il dito contro l'unica persona che ha avuto quantomeno il coraggio di dire e tentare di fare delle azioni controcorrente, sia ,se non di parte, almeno superficiale. Innanzitutto chi scrive si ritiene equidistante politicamente dai due "Poli" e non ha appartenenze politiche, poi credo che si debbano considerare più elementi da porre nella valutazione.
Il primo riguarda il fatto oggettivo che una persona, specie se Ministro, promuove delle politiche indirizzandole al suo Ministero che è costituito al 99% da funzionari statali. Sono proprio questi ultimi ad essere nella mira di Brunetta e quindi a offrire quella indegna forma di collaborazione che si chiama in gergo "muro di gomma". Penso non sia difficile immaginare il comportamento di alcune centinaia di funzionari di carriera, ben saldi alle poltrone, politicamente ben accasati e avvezzi a rapportarsi con il via vai di Ministri che hanno visto passare, mentre loro sono rimasti tranquillamente nel loro posto.
In secondo luogo il confronto con i sindacati di categoria che altro non sono che degli aspiranti politici a sedie sempre più remunerative e sicure, preoccupati di difendere gli status quo, gli aumenti di produttività uguali per tutti, la riduzione dell'orario di lavoro, la tutela ad oltranza degli assenteisti, cose che però garantiscono voti su voti.
In terzo luogo, quando si lasciano per almeno cinquanta anni, alcuni milioni di persone abbandonate a se stesse da una schiera di dirigenti incompetenti che hanno accettato e magari appoggiato leggi e pseudo-riforme senza prendere una posizione professionalmente etica, distorcendo gli obiettivi della Pubblica Amministrazione per finalizzare unicamente l'equazione " posto statale = posto fisso = posto sicuro = nessuna responsabilità(quindi nessun aspetto meritocratico)= aumenti uguali per tutti =vita facile(anche se talvolta umiliante per chi lavora seriamente)" .
In quarto luogo quando medici compiacenti rilasciano certificati di malattie a pioggia ed in particolare dovute a sintomi di stress nervosi e procuratori o giudici che si affannano ad occuparsi di fatti meritori di cronaca nera o rosa pur di apparire sui media, anziché agire a tutela dei diritti del cittadino che cammina sulla strada dei doveri, ed a cui spesso conviene evitare quella dei diritti per non doversi poi sentire becco e bastonato.
In quinto luogo, io non ho mai sentito parlare tanto negativamente di Brunetta da coloro che hanno sempre fatto il loro dovere e si sono posti l'obiettivo dignitoso di rapportarsi al cittadino come richiesto dalla funzione occupata e magari lottando contro la burocrazia interna, i capi servizio incapaci e le leggi assurde in materia. E' vergognoso che non si parli di loro e li si accomunino ai cosiddetti "fannulloni" indirizzandosi molto banalmente verso un capro espiatorio. Troppo semplice!
Ovviamente inutile attendersi un miracolo. Né Brunetta né nessun altro può compierlo. Certo è corretto rivolgere delle critiche ma per costruire un cambiamento di sistema e non per dare sfogo ad interpretazioni legittime ma forse troppo soggettive.

Verso la professione di Manager, quello che non si impara nelle business school

Divenire manager, dirigere un’Azienda, o un‘Area di essa, ha sempre rappresentato l’obiettivo di una carriera di lavoro. In essa, la gratificazione della propria immagine ed i risvolti economici conseguenti.
Abbiamo però l’evidenza di una casistica, connessa a tale promozione, che ci mostra quanto siano diverse le motivazioni di questa scelta.

Tra i tanti manager possiamo scoprire che ad una parte di essi è stata così riconosciuta la fedeltà all’Azienda, ad altri l’anzianità di servizio, ad altri ancora la competenza tecnica nel proprio lavoro, per non parlare di quelli con affinità di parentela con la proprietà, per arrivare alla identificazione della qualifica con il ruolo aziendale.
Sarebbe lungo, anche se interessante, entrare nel merito di queste situazioni che ci narrerebbero un po’ la storia delle Aziende italiane, con la predominanza delle PMI, e del modo con cui si sono sviluppate con questa classe manageriale così culturalmente diversa e disomogenea nella formazione. Rivolgendo lo sguardo al passato, certamente il numero di coloro che si sono “fatti da sé” è molto grande anche se eroso, negli ultimi due decenni, da quello crescente dei manager formati dapprima a livello universitario e poi specializzati da master, in Italia e U.S.A.
Ma la professione di manager è un mestiere che non si finisce mai di imparare. La complessità della gestione delle risorse si è fatta man mano sempre più complessa sia che si tratti del capitale umano, sia dei mezzi tecnici sia di quelli finanziari. Senza voler nulla togliere ai manager degli anni sessanta che hanno sviluppato le loro Aziende ma in un periodo di costante crescita dei bisogni , bisogna riconoscere che oramai le problematiche gestionali di tutte le Aziende, grandi o piccole che siano, si sono uniformate nella complessità imposta dalle normative, dal cambiamento sociale e dalla crescita competitiva.
Da qui la necessità di dover assolvere il proprio ruolo di manager con sempre maggiore professionalità e quindi con una adeguata formazione.
Qui sta il problema, perché riceverla in ambito scolastico nelle scuole superiori o nel triennio universitario è oggi impensabile, parzialmente possibile in quello universitario nei corsi di cinque anni, accettabile nei master di specializzazione. Ovviamente è indispensabile la formazione sul campo ma solo le grandi Aziende ed alcune illuminate PMI si adoperano per far crescere professionalmente i propri collaboratori per disporre domani di un avvicendamento manageriale qualificato.
Serve esperienza da trasmettere, tempo da dedicare e lungimiranza.
Tullio Miscoria e Vincenzo Patti si sono posti, con il libro “Da domani sarò un “nuovo” manager”, edito da CSE, e con i loro precedenti saggi, nel ruolo di tutor e coach mettendo a disposizione di tutti la propria esperienza di manager attenti e preparati in un mondo aziendale in continuo cambiamento. Viene così proposto un equilibrato compendio delle prospettive e dei problemi afferenti il ruolo di manager nelle tante aziende italiane. L’acutezza nell’individuazione delle situazioni rappresentate e delle osservazioni ad esse inerenti saranno di grande aiuto al lettore poiché ambientate in un contesto assolutamente realistico e frutto di tante esperienze vissute. Originale ed efficace è stato il metodo di rappresentarle attraverso una serie di casi concreti che rendono facile ed immediata tanto la lettura che la comprensione.
In essi ho potuto rivivere la mia esperienza trentennale di manager e riconoscermi in tante situazioni ma non sempre nelle soluzioni proposte. Infatti la velocità con cui avvengono importanti cambiamenti sul mercato mondiale, e di riflesso nelle Aziende, è tale da richiedere un continuo aggiornamento formativo. Ho molto apprezzato quello degli Autori che con semplicità e simpatia affrontano le situazioni, le analizzano e le ripropongono all’intelligenza del lettore.
Penso che possa essere una buona palestra per i giovani colleghi manager e un ottimo spunto di riflessione per i senior che hanno cominciato a rendersi conto che non tutti possono essere “certificati di diritto come manager per tutte le stagioni dell’impresa”!

domenica 22 novembre 2009

I media hanno la capacità di deformare il senso della vita

“Non importa che si parli male o bene di me, basta che se ne parli”. Sull’onda di questo slogan assistiamo da anni agli show incredibili e disgustosi di politici, prostitute, arrivisti, pseudo attori ed attrici, ninfette, travestiti, esibizionisti ed edonisti che sbattono in prima pagina o serata, nei talk show e nelle riviste patinate, il “meglio di sé”.

La assoluta modestia professionale dei direttori dei media, che guardano quasi unicamente alla tiratura dei giornali o all’audience, fa sì che questa mediocrità sia sottoposta o imposta alle masse ben sapendo come sia fruttifero speculare sulle debolezze umane. Più perversa o assurda è la notizia, il fatto o il caso, più accanimento giornalistico viviamo.
Da un lato il battage sulle esperienze sessuali dei personaggi che contano, sugli intrighi di palazzo, sull’invio di avvisi di garanzia (ma una volta non erano comunicazioni a tutela dei soggetti?), sulle notizie raccolte da “fonti attendibili” (in genere tendenziose) per spingere la politica in una direzione cui l’elettore non avrebbe neppure pensato e dall’altro quello sulle cronache più abiette riguardanti spaventosi eventi sociali che sono proposti, reiterati con analisi che impegnano seri professionisti ad uso e consumo di quelle masse che si trovano a nutrirsi di tanta disumanità.
Certo, sembra che questi insulsi pranzi nutrano folle di amanti del genere, moderni spettatori di un Colosseo sempre pronto ad offrire loro in pasto i propri gladiatori (che proprio eroi certamente non erano) o vittime innocenti di fiere affamate. Uno spettacolo oggi mediamente disgustoso alimentato da personaggi vuoti, ma in ogni modo molto furbi, che offrono la propria dignità, la propria immagine e quel poco di vita vissuta all’immagine deformata di sé attraverso i media.
Da sempre le riviste rosa hanno offerto ai propri lettori (spesso lettrici) ogni tipo di scoop o non scoop costruendo, in piena collaborazione con i soggetti interessati, avventure amori e tradimenti di un piccolo, ma famoso, gruppo di attori/attrici magari sulla cresta dell’onda o in da troppo tempo in ombra. Ma questa tecnica vincente ha trovato sempre più spazio nei ben più titolati quotidiani e trasmissioni televisive. Solo le guerre sono riuscite a “rubare la piazza”. Da quella ebraica dei sette giorni per passare all’Iraq e finire in Afganistan passando attraverso la Bosnia e la Serbia. Abbiamo sempre visto con parecchia “chiarezza” chi erano i buoni e chi i cattivi. Mi pare però che israeliani, americani ed europei se la siano cavata sempre piuttosto bene in quanto ad immagine. Un numero imprecisato di “nemici”, siano stati essi ungheresi, bosniaci, serbi, croati, palestinesi, egiziani, irakeni, afgani, cittadini dei Paesi ex sovietici irredenti, somali, eritrei, sudanesi del Darfur, tibetani, congolesi, ivoriani, nepalesi, cingalesi sono rimasti e sono, invece, le vittime invisibili. Loro non fanno notizia, sono comparse in un’opera lirica che solo gli interpreti principali portano all’onore delle cronache. Se poi dalla loro terra non sgorga il petrolio, ma solo sassi, fame e malattie, sono proprio da dimenticare!
Ma torniamo a noi, ai nostri "opinion leader" o "modelli", che si ergono a tale autoattribuita posizione per aver partecipato al Grande Fratello, ai programmi della Defilippi e della RAI, accompagnati dalle attestazioni di “orgoglio dei genitori”! Va bene che la scuola e l’università giacciono in condizioni pietose, ma così è troppo! Ed i media che fanno? Beh, qui lascia fare ai palinsesti, talk show e interviste che “educano” e “propongono” le immagini in una farisea farsa di critiche.
Dalla strage di Novi Ligure al delitto di Cogne, dal mostro di Firenze agli stupri, passando dall’omicidio di Garlasco a quello di Perugia, viviamo processi mediatici che assolvono e condannano approfondendo fatti che dovrebbero essere parte della valutazione di merito dei giudici, se non addirittura "soffiate" dei soliti ben informati. Di questi giorni, la notizia bomba! Forse è stata raggiunta la pace in Medio Oriente? No, c’è una insulsa giornalista, in cerca di notorietà, che sarebbe pronta a sposare l’assassino (confesso) del Circeo. Strano? No, sennonché ha dichiarato che vuole riaprire i processi per le due stragi in quanto si tratta di errori giudiziari, lui sarebbe innocente. Questo non lo hanno ammesso né l’interessato né il suo avvocato, ma tutto ciò basta a fare notizia e quindi la hanno sbattuta sugli schermi delle più importanti TV e delle cronache.
Forse basta questo per cominciare a riflettere e ricordare ai più giovani che la vita è anche e soprattutto un’altra cosa.

sabato 14 novembre 2009

La contestazione dell'Onda ed i professori sessantottini

La nostra posizione sulla scuola non cambia, quando è rivolta ai professori che appoggiano con complicità i manifestanti dell’Onda ad Alessandria
Luca Lavezzaro
Mario Bocchio


Nei giorni passati abbiamo più volte preso posizione in riguardo alle proteste contro la riforma Gelmini. Il nostro duro intervento comparso sui giornali locali, nei confronti degli insegnanti che appoggiano simili atti di inciviltà, basati sulla calunnia verso forze di polizia e dirigenti scolastici, verso ministri e pubblici amministratori crediamo, però, sia stato in qualche modo frainteso.
Affermando che i professori di stampo sessantottino abbiano nel tempo creato una generazione di alunni inetti e violenti, siamo convinti di non dire un’eresia e di circoscrivere molto bene il “raggio d’azione” del nostro attacco.

Non crediamo assolutamente che tutti i professori sentano di essere ed appartenere a quei sessantottini che, a partire dal diciotto politico o dal sei politico, alle lauree di gruppo, fino ad arrivare alle promozioni miracolose nel campo della sanità, in particolare della psichiatria, dove semplici infermieri vennero promossi, senza troppi sforzi al ruolo di psicologi che, ovviamente, comportava un carico di responsabilità professionali e morali ben superiori, hanno rovinato numerosi settori della Repubblica Italiana di cui, purtroppo, ancora oggi tutti paghiamo le conseguenze.
Non vogliamo pensare che ci siano persone che, per il solo fatto di aver vissuto il sessantotto o per aver insegnato in quegli anni, possano definirsi sessantottini con così tanta leggerezza.
La scuola italiana, che con la riforma Gelmini-Tremonti si è cercato di elevare qualitativamente, crediamo non possa permettersi di annoverare tra le sue fila quei professori e quel personale Ata che, pubblicamente, su tutti i mezzi di informazione locale e nazionale, ha sostenuto l’Onda Anti riforma Gelmini.
Il motivo della nostra affermazione, chiaramente, va ricercato nell’esempio positivo che i professori dovrebbero trasmettere ai giovani, agli studenti.
Nei casi di calunnie, di occupazioni turbolente seguite da atti di inciviltà urbana, come l’imbrattamento dei muri delle scuole cittadine, alcune delle quali recentemente ristrutturate, coloro che non intervengono o non sono intervenuti pur essendone preposti per incarico professionale crediamo che non lo facciano o non lo abbiano fatto per motivi di sola tolleranza delle diversità ideologiche o di manifestazione del pensiero ma, bensì, che fiancheggino o abbiano fiancheggiato con complicità, visti gli interessi contrattuali in gioco, un movimento che di democratico ed edificante, dal punto di vista della crescita civica e morale, non ha nulla.
I professori che, giustamente, si sono espressi in maniera critica verso le vigliacche calunnie anonime indirizzate al Preside dell’istituto “Saluzzo” Picchio, alla Polizia, ai Dirigenti Scolastici, con un atto di grande coscienza e professionalità, hanno assunto quella posizione pubblica che noi ci auspicavamo, in onore di tutta quella serie di regole e
norme morali che, comunemente, rappresentano l’educazione civica.
La critica di crescere ragazzi inetti ed incivili, ovviamente, non è da sollevare verso queste coscienze, maturate da anni ed anni di duro lavoro a contatto con gli studenti, verso questi professionisti che hanno cresciuto ed indirizzato verso il mondo di lavoro giovani, scalmanati e non, che da loro hanno tratto innumerevoli insegnamenti scolastici e di vita.
La lezione che dobbiamo e, soprattutto, i manifestanti devono trarre da questi professori, alcuni dei quali, tra l’altro, abbiamo avuto l’onore di conoscere personalmente, è il senso della civiltà, il senso della dignità e l’educazione che va oltre all’orientamento politico, che va oltre l’intimo assenso o rifiuto riguardo all’impostazione voluta per la scuola dal Ministro Gelmini.
Non tolleriamo, però, che si voglia utilizzare un nostro pensiero per renderlo banalmente l’emblema di quella che fu una delle cause degli anni di piombo, vera e propria guerra contro lo Stato, per sminuire i danni di quella rivoluzione sbagliata che fu il ’68, quella enorme diseducatività insita nell’imbrattare pubblici edifici, nello sperperare fondi pubblici che, quindi, appartengono alla collettività e non soltanto al movimento studentesco di protesta.
Affermare che i professori compiano enormi sforzi per insegnare, per correggere i compiti in classe, per i ricevimenti dei genitori, per l’assistenza dei ragazzi cosiddetti difficili, corrisponde alla verità e la condividiamo pienamente.
Ergere a difesa dei professori sessantottini l’inesistenza dei diciotto politici, del lassismo dei pubblici funzionari, dell’ inciviltà di certe squallide ed irritanti proteste, spendendo richiami alla carta di Oxford, al pensiero di Gaetano Martino, al fascismo, al becerismo, così come abbiamo avuto modo di desumere dalla lettera dell’amico Antonio, però, non ci pare possa corrispondere alla verità storica del nostro Paese.