lunedì 19 maggio 2008

La classe dirigente nelle aziende private, comprimari degli imprenditori o semplici attori?

Provare a schematizzare il discorso per dare una risposta a questo quesito, mette in mostra immediatamente un mondo talmente variegato da rendere necessaria una serie di distinguo.
Innanzi tutto occorre precisare che, non esistendo una scala di livelli, tale inquadramento può comprendere gli stessi imprenditori, gli amministratori e/o consiglieri delegati, i direttori generali, i direttori di stabilimento, i direttori di funzione e quanti altri le aziende decidono liberamente di nominare tali.

Il contratto (art. 1 CCNL Industria) recita: “ Sono dirigenti i prestatori di lavoro per i quali sussistano le condizioni di subordinazione (art. 2094 C.C.) e che ricoprono nell’azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplicano le loro funzioni al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi d’impresa”.
A prima vista gli imprenditori ne sarebbero fuori, ma sembra non sia proprio così.
Infatti, le nomine non sono soggette alla verifica di nessuno né in termini di congruenza né in quelli della competenza. Ma se da un lato abbiamo figure imprenditoriali, dall’altro ne vediamo di ben altro livello vista l’abitudine di nominare giovani rampolli di razza, collaboratori fedeli ed anziani, amici cui non si può dire di no, figure tecnicamente indispensabili da riverire per non rischiare fughe verso competitors, ecc. non che queste realtà possano rappresentare la maggioranza ma evidenziano un problema molto importante, quello della professionalità dirigenziale.
Infatti “promuovere, coordinare e gestire la realizzazione di obiettivi” identificherebbe con precisione il ruolo di un bravo gestore dirigente. Nella realtà, come detto, le cose non stanno proprio così. Allora come cercare di rendere più omogenea la categoria pur rispettando le importanti diversità strutturali delle aziende italiane?
Un’ipotesi potrebbe essere quella di creare un albo che accolga unicamente quei dirigenti la cui professionalità sia dimostrabile e corrisponda ai criteri succitati ma che non riguardi la parte economica che rappresenta il punto debole delle organizzazioni elitarie esistenti quali avvocati, notai, ingegneri, geometri, commercialisti, ecc. Ed è a questo albo che le aziende dovrebbero rivolgere la domanda di nomina dei loro quadri al fine di ottenerne la certificazione.
Al presente sembra quasi una proposta fantascientifica ma forse il problema comincia a porsi.
L’azione sindacale della Federmanager, nei confronti delle Organizzazioni Sindacali Industriali, da tempo perde di rappresentatività e di forza e gli strumenti tipici del confronto sono fragili od inefficaci. Questo può essere un segnale forte di come sia considerata disomogenea e scollegata la base rappresentata e la certezza di poter gestire i singoli dirigenti con azioni e condizionamenti “ad hoc o ad personam”. Altro punto da considerare è la cosiddetta “solitudine del dirigente”.
Normalmente, infatti, il ruolo porta ad essere “soli” essendo posizionati tra la direzione di azienda e la struttura da gestire (L’incudine ed il martello) ma troppo spesso anche l’egocentrismo e la presunzione di competenza rendono veramente “solo” il dirigente. Spesso sono snobbati, con la complicità delle aziende, i corsi di formazione o meglio di riqualificazione, la conoscenza delle altre realtà aziendali, la direzione che stanno prendendo le soluzioni verso le nuove sfide del terzo millennio. E… magari, dopo aver affannosamente corso per anni profondendo sforzi immani, ci sì ritrova…. fuori! E a questo punto semplici attori di una recita che ha sospeso il cartellone!

martedì 6 maggio 2008

Mala-sanità o mala-dirigenza?

Giornalisticamente parlando i media ci trasmettono sistematicamente un’immagine univoca e negativa del sistema sanitario nazionale ed in particolare di quello del Sud, ma è proprio così?
Forse occorrerebbe fare un distinguo tra i due termini. Se attribuissimo al primo ciò che attiene la sfera dell’assistenza e competenza medica ed al secondo il modo con cui sono gestiti gli ospedali italiani, potremmo scoprire che le cose non stanno proprio così

Prima di tutto una premessa: il nostro è uno dei pochi Paesi al mondo in cui il servizio sanitario nazionale offre mediamente una qualità di cure d’assoluta eccellenza pari, se non superiore, a quello delle cliniche private. Secondo alcune classifiche europee la qualità dei nostri medici si pone ai primi posti non soltanto dell’Europa dei ventisette bensì di quella dei nove, e a vantaggio di TUTTI i cittadini o meglio di TUTTE le persone che ne abbiano necessità ed indipendentemente da razza, religione, cittadinanza, censo ed età.
Questo può sembrare ovvio per noi che ne usufruiamo abitualmente e che ne abbiamo vissuto l’evoluzione positiva come un "dovuto", ma così non è. Ad esempio il sistema sanitario pubblico britannico ha piani di cura diversi e pone limiti alle spese per le terapie rivolte ad un anziano man mano che l’età o il tipo di malattia cronica avanzano. Molti inglesi, per cure specialistiche, volano nelle cliniche private americane. Quello francese è efficiente, ma i centri ospedalieri sono numericamente limitati sul territorio nazionale e concentrati nelle principali città, imponendo spesso la necessità di spostarsi molto dal luogo di residenza. Quelli tedeschi prendono in carico il paziente nel vero senso della parola, ma ostacolano la presenza dei familiari vicino al malato che invece è tanto cara alla nostra mentalità italiana. Non parliamo poi degli USA dove il sistema sanitario nazionale fa acqua da tutte le parti, a tutto vantaggio degli ospedali privati dove le terapie sono prestate UNICAMENTE a chi può offrire, PREVENTIVAMENTE al ricovero, le garanzie finanziarie del pagamento delle cure. Naturalmente questo non significa che, da noi, le cose filino alla perfezione e ne sono testimonianza alcuni errori medici che i media non hanno mancato certo di sottolineare. Da notare che se la prevalenza di questi fatti avviene nel Sud, anche il Nord non ne è immune. Da una parte esiste l’incontrovertibile realtà dell’errore umano, pressoché inevitabile, ma dall’altra ci sono fattori che poco hanno a che vedere con l’abilità medica.
A questo punto stiamo parlando di assunzioni clientelari a scapito della professionalità, di cattiva organizzazione, di mancanza dei mezzi idonei, di strutture non adeguate, insomma di cattiva gestione cui si affiancano normative di legge contraddittorie e confuse.
Difficilissimo muoversi su questo terreno dove la politica ha costruito una delle proprie roccaforti con il contributo talvolta negativo della parte sindacale (Dei medici e degli addetti).
Si dovrebbe sottolineare il fenomeno, non solo italiano, delle "baronie primariali", ma premettendo un’osservazione: "Essere bravi medici specialistici vuol dire anche essere bravi gestori di reparto?"
Mi sembra che le due specializzazioni partano da formazioni ben diverse anche se possono esistere casi individuali di competenza in entrambe.
L’esperienza insegna che, di norma, è difficile avere grandi abilità in discipline diverse.
Proviamo a partire da un presupposto fondamentale definendo quale sia l’obiettivo finale di un sistema sanitario: "Preservare la salute fisica e mentale assicurando un servizio che rispetti la normale vita dei cittadini ad un costo sostenibile dalla collettività".
Purtroppo sembra che, nei fatti, questo non sia così prioritario per i partiti che invece mirano a detenere i posti di comando di ospedali e ASL. Sulla carta avevano "inventato" l’inserimento negli ospedali di top-managers di provata esperienza, con concorso pubblico, con eliminazione delle nomine dirette dei partiti. In pratica però hanno mantenuto la discrezionalità dei partiti aggirando le norme che loro stessi si erano scritte, forse per creare uno specchietto per le allodole, mantenendo ai vertici gli "amici" che assicurino la continuità del controllo.
Tutto normale in un sistema partitico dove clientelismo politico e potere la fanno da padroni.
Ma restiamo sull’obiettivo. Se, come è vero, la classe medica e paramedica ha caratteristiche di buon livello altrettanto non si può dire dei Direttori Generali ospedalieri e dei loro diretti collaboratori. A questi ultimi spetta la responsabilità della gestione e dei suoi risultati. E qui sta il "busillis", perché nelle attività normali il risultato è la misura con cui viene raggiunto l’obiettivo, ma quale? Non certo quello su menzionato, bensì quello del taglio dei costi e spesso indipendentemente dal preservare l’efficienza e l’efficacia del servizio sanitario e sociale dovuto ai cittadini. I nostri attuali dirigenti gestori hanno degli obiettivi che, in qualche modo, raggiungono sempre visto che deliberano autonomamente ogni anno il proprio premio di risultato che costituisce una parte molto significativa delle loro retribuzioni. Ma l’obiettivo "salute e servizio mirato alle esigenze del territorio", se stiamo alle opinioni di molti, troppo spesso viene eluso.
Credo che sia condivisibile l’idea che il servizio non possa essere dato "a tutti i costi", proprio perché facilmente si dovrebbero soddisfare richieste, non necessariamente oggettive, provenienti dalla categoria primariale, che, in molti casi, offre un’ottima prestazione medica ma una modesta visione gestionale. Qui scatterebbe l’importanza di un lavoro di squadra tra medici e gestori competenti anziché una malcelata conflittualità e diffidenza reciproche, ma soprattutto libero dai dettami politico partitici. La situazione attuale dell’ospedale di Alessandria ne è un buon esempio essendo passata da un crescendo di eccellenza medica ad una decadenza.
Una condivisione del programma per raggiungere l’obiettivo "salute rapportata ai problemi del territorio" tra dirigenti gestori e dirigenti medici ed una buona organizzazione gioverebbero a tutti, pazienti per primi. Purtroppo troppi dirigenti "politicamente sistemati" manifestano la presunzione di "sapere" evitando il confronto, sia pur a volte non semplice, con i loro colleghi sanitari.
Qui scatta il problema peggiore perché se la mala-dirigenza si asserve alla politica partitica della maggioranza del momento, non potrà esistere un obiettivo duraturo "salute e servizio al cittadino" essendo, come detto, differenti le priorità. Non pare corretto lasciare ad ogni regione la totale autonomia strategica ed economica per non creare assistenza di serie A nelle Regioni ricche e di serie B in quelle più povere, ma diviene indispensabile estromettere i partiti e le loro connivenze dirigenziali lasciando il posto a dirigenti gestori professionalmente capaci di dialogare con i colleghi medici e trovare il giusto equilibrio tra servizio e costi rapportandoli alle caratteristiche del territorio in questione. Ma quale Governo vorrà realizzare una vera riforma del sistema sanitario tracciandone le linee guida, per poi toglierlo dalle mani dei partiti e dalla mala-dirigenza ed affidarlo a dei competenti dirigenti gestori abituati a ricercare gli equilibri tra costi e benefici? Ovviamente si taglierebbero per primi gli sprechi e qui l’industria farmaceutica, le aziende degli "amici", le assunzioni di comodo, lamenterebbero un calo della loro convenienza; ma sorgerebbero nuove opportunità basate sulla competitività delle prestazioni sanitarie verso l’eccellenza che il nostro sistema sanitario nazionale merita in termini di cure.