giovedì 31 dicembre 2009

Gli auguri di Federmanager e….quale 2010 per i nostri “manager”?

Il termine “manager” è definito dagli inglesi: “A person who directs the affairs of a business, a sports team, a singer, etc.” , ma in Italia lo accostiamo quasi esclusivamente alla figura del dirigente e dell’imprenditore. In questi due termini sono raccolte figure professionali diversissime.
Vi annoveriamo i titolari attivi nella propria azienda, non semplici soci, con qualifica di Presidente, di Amministratore Delegato, di Consigliere Delegato, poi i Direttori Generali, quelli di Divisione, di Marketing, di Finanza & Controllo, di Stabilimento, di Area di Mercato, delle Risorse Umane, della R&D, degli Acquisti e così via per arrivare ai Capi Ufficio ed ai Capi Reparto.

Naturalmente nelle realtà di medio grande dimensione, nazionali ed internazionali, anche le massime cariche sopra citate sono affidate a dei dirigenti non titolari, i Top manager.
Una prima importante differenza separa in due gruppi questi manager: quello di essere o non essere titolari.
Tutti sono normalmente iscritti e regolati economicamente dal C.C.N.L. Dirigenti, fatte salve le eccezioni dettate da alcune normative o contratti, ma la maggioranza di essi dipende in ordine gerarchico dai colleghi dirigenti di qualifica superiore fino al Top Manager che resta comunque il “primo dei dipendenti” davanti alla Proprietà/Titolare.
All’interno del foltissimo gruppo dei dirigenti/dipendenti si rileva una struttura fortemente disomogenea per tipo di competenze, incarichi, responsabilità e retribuzioni. Un mare magnum di attori nominati alla qualifica di dirigente per effetto della posizione gerarchica acquisita, delle competenze maturate, della preferenza ottenuta dai vertici aziendali, dei meriti riconosciuti ad una vita di lavoro, ecc. Questa premessa e gli altrettanti distinguo, per non generalizzare troppo nel tentativo di valutare quale futuro prossimo si prospetti per i nostri manager.
La prima attenzione verso i manager imprenditori. Su di loro pesano ormai ventiquattro mesi di risultati economici poco o del tutto insoddisfacenti accompagnati dalla miope politica degli istituti finanziari che, prima, hanno creato l’enorme bolla speculativa, poi, hanno stretto i cordoni della borsa incuranti del loro preciso ruolo e incamerando gli aiuti pubblici. Per le PMI l’applicazione delle norme di rating, autodefinite dal sistema bancario con gli accordi di Basilea, ed elaborate da asettici algoritmi, hanno solo significato perdere il contatto operativo con il secondo “socio di maggioranza” dopo l’Erario! Per le aziende PMI essere trattate come “numeri” con l’interfaccia di direttori di agenzia o filiale svuotati di ogni potere decisionale, ha e sta significando una sfida molto forte alla volontà di intraprendere. Alcuni hanno gettato la spugna cedendo l’attività, altri hanno tagliato decisamente gli organici, altri ancora stanno chiudendo. Ma la maggioranza ha raccolto il guanto, cercando di reinventarsi il business sia in termini di mercato che di prodotto e di tecnologia.
Secondo la scuola degli economisti avrebbero dovuto studiare a fondo i mercati, i loro bisogni discutendone le opportunità, misurandone i ritorni e poi decidendo le azioni da compiere proiettandone i risultati nel futuro. Quindi mettere in campo risorse di tempo, denaro e competenze.
Ma quanto tempo si sarebbe dovuto attendere e quanto denaro nel frattempo speso, ammettendo di avere le competenze? Non si poteva e non si può aspettare perché anche i competitors vivevano la stessa realtà e occorreva arrivare tra i primi; inoltre ogni mese trascorso avrebbe registrato un ammanco ulteriore nella già depauperata cassa a causa delle ridotte vendite e dei tagli al credito. Tutto ciò ha fatto scattare in m olti l’istinto imprenditoriale del voler salvaguardare l’azienda a tutti i costi e si è deciso di andare, almeno in parte, contro le regole logiche e si sono decisi i cambiamenti, le strategie e le tattiche conseguenti, sulla scorta di pochi numeri e di molto coraggio. Queste azioni hanno attraversato la rete delle PMI come una scarica elettrica, alcune ne sono rimaste colpite ma le altre hanno iniziato, o lo stanno facendo, un nuovo cammino virtuoso cambiando il mondo del lavoro, delle sue regole, del mercato e della propria organizzazione. Come in tutti i cambiamenti c’è un prezzo da pagare. Lo pagano gli imprenditori alle banche e le strutture interne alla loro riorganizzazione. Si cerca maggiore efficienza, si eleva la produzione aumentando la produttività e tagliando i costi interni. Si attaccano i tabù facendo vibrare il sistema. Ci si lancia su nuovi settori, mercati e prodotti finalizzando ogni risorsa a cogliere questi obiettivi.
In questo gigantesco impegno emergono le figure dei manager dipendenti o per meglio dire dirigenti. Collaborazioni indispensabili se considerate adeguate dagli imprenditori. Ma molto spesso non è così. Il loro elevato costo e le nuove competenze richieste non sempre rispondono ai nuovi progetti organizzativi. Per primi cadono sotto la scure dei tagli. NewsWeek pubblica un articolo al riguardo dal titolo “Why the boss really had to say goodbye?” e alla domanda; “Perché hai perso il lavoro?” 1087 dirigenti hanno risposto così:
il 31% non ha saputo gestire il cambiamento
il 28% ha ignorato il “cliente”
il 27% non ha migliorato la performance
il 23% ha negato o rifiutato di riconoscere la realtà emergente.
Una sconfitta per loro, hanno perso il lavoro, e per gli imprenditori, che non sono stati capaci di far emergere prima i limiti di queste persone e curarne la formazione in ordine ad una crescita professionale. Molto denaro speso per gli anni di collaborazione. Va detto anche che troppo spesso la mancata crescita va a braccetto degli uni e degli altri. Gli uni perché non vedono di buon occhio l’impegno extra aziendale dei dirigenti per le giornate di formazione, gli altri perché o presumono di non averne bisogno o non hanno il coraggio di richiederla agli imprenditori sapendo come la pensano. Questo fenomeno è diffusissimo nelle PMI e molto meno nelle grandi aziende.
Il fatto è che se è vero che alcuni imprenditori falliscono o tagliano i manager, moltissimi dirigenti perdono il posto e questo trend apparterrà purtroppo anche al 2010.
Nuovi business, nuove sfide e uomini pronti a raccoglierle ma forse con regole nuove.
La tranquillità delle abitudini, il lavoro sotto casa, i diritti acquisiti, sociali ed economici, e la sicurezza del lavoro sono aspetti di una passato reale, per molti, ma da rimettere in discussione per il futuro. Una vera classe manageriale non dovrebbe avere alcuna paura di questo cambiamento perché dovrebbe essere forte della propria professionalità e la maggioranza lo è.
Purtroppo, la minoranza è rappresentata da alcune migliaia di dirigenti con ruoli che vanno dal top manager al caporeparto o capoufficio, in questa bizzarra ed estemporanea ammucchiata di competenze completamente diverse che hanno impedito alla categoria dirigente di essere oggi professionalmente riconosciuta, al di là di un CCNL di scarso valore qualitativo.
I dirigenti dipendenti hanno pagato e pagheranno la mancanza di regole nella loro professione e la scarsa attenzione alla loro crescita professionale. Qualcosa sembra che si stia movendo se, oggi, il dr. G.Ambrogioni, presidente Federmanager, scrive nei suoi auguri: “…Il Paese attraversa una fase difficile che impone scelte serie per modernizzare, per premiare il merito, per rendere tutto più etico e trasparente, per ridurre il più possibile le rendite di posizione, per accrescere la competitività di sistema: sono i “terreni” su cui, con azioni e proposte, possiamo e dobbiamo legittimare il nostro ruolo di classe dirigente…..”

martedì 29 dicembre 2009

Crisi economica 2008/2009 ……. ed oltre?

Dall’ OCSE arrivano segnali di una debole ripresa del sistema Europa e qualche leggero miglioramento particolarmente dall’Italia. Il sistema politico governante si è prontamente rivolto agli elettori vantandone il merito ed insistendo sulla propria previsione che l’Italia sarebbe uscita per prima e meglio degli altri Paesi europei. Naturalmente l’opposizione ha immediatamente replicato la poca o nulla consistenza degli interventi governativi in materia, sottolineando come la ripresa sia di fatto molto lontana da venire e come sia in continua ascesa il numero dei lavoratori o disoccupati o soggetti ad interventi legati agli ammortizzatori sociali.

L’opinione degli economisti propende verso la prudenza sottolineando che la parte finanziaria della crisi, che poi ne è in buona parte la causa, è ben lungi da essere risolta. I cosiddetti “derivati” giacciono nelle mani di tutti gli Istituti Bancari e sono stati in larga parte finanziati da generosissime erogazioni statali in tutto il mondo. Ne sono però in possesso anche enti pubblici come le Regioni ed i Comuni che hanno voluto “investire” i contributi erariali aprendo così un buco di cui si preferisce sottacere.
L’impoverimento della fascia sociale debole è ulteriormente cresciuto a causa dei continui aumenti del costo minimo della vita e per contro i depositi bancari hanno fatto registrare un incremento sensibile. Italiani formichine!
Le ore pagate per la Cassa integrazione sono diminuite nel secondo semestre e la disoccupazione è risalita ai valori massimi degli ultimi dieci anni. I sindacati hanno confermato che oramai rappresentano, e male, solo se stessi portando il numero dei loro iscritti pensionati a superare di gran lunga quello dei lavoratori. CGIL sta sull’Aventino e CISL e UIL cercano di contrattare discutendo quel poco che resta nelle loro possibilità. I loro vertici attendono solo il momento propizio per saltare sul carro della politica e “sistemarsi” definitivamente. Gli iscritti partecipano, poco convinti, a manifestazioni di piazza con sventolio di bandiere “rosse” ignorando che quest’anno va di moda il “nero”.
I parlamentari si sono ritoccati gli emolumenti con un aumento di oltre 1.300,00 Euro all’anno. Nessuno dei media ha fatto circolare la notizia per non turbare le coscienze degli elettori, che hanno ben altro a cui pensare. Infatti stiamo dibattendo sulla opportunità o meno di abbreviare i processi ponendo rigidi limiti temporali, oppure se dividere o no le carriere dei giudici da quelle dei PM, oppure se sia necessario ed urgente dare il voto agli immigrati, oppure se la politica di Di Pietro sia pro o contro le fortune di Berlusconi che uno squilibrato ha quasi trasformato in un martire della politica facendoci assistere ad un “ammorbidimento politico” non facile da spiegare.
Sta di fatto che l’ultimo semestre del 2009 rileva una crescita dell’export da parte delle PMI italiane
che altro non sono che la quasi totalità del sistema imprenditoriale italiano e l’inflazione ha ripreso a crescere. Buone notizie ma non per tutti.
Partiamo da una storica frase del politico Luigi Einaudi : “Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l'orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie ed investono tutti i loro capitali per ritirare spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi”.
Nessuno nega alla politica la sua partecipazione verso la direzione auspicata per l’uscita dalla crisi, ma la sostanza ci dice che se i piccoli imprenditori non avessero adottato la strategia del “decidere prima di capire” avendo una comprensione limitata della situazione, non avremmo potuto registrare questa tendenza. Né tantomeno questa si sarebbe creata se al loro fianco non si fossero sacrificati milioni di collaboratori a tutti i livelli, dirigenti, quadri, impiegati ed operai, che hanno creduto nelle loro aziende e nelle loro strategie. Spesso hanno creduto senza sapere o capire. Hanno rispolverato quell’atteggiamento vincente che aveva portato l’Italia fuori dal disastro della seconda guerra mondiale, hanno bocciato le spese superflue, hanno cercato di salvaguardare la propria famiglia. Certamente oggi le spese superflue non sono quelle degli anni 60/70 come anche la famiglia che va intesa secondo la realtà della sua trasformazione intercorsa. Qui si potrebbe aprire un capitolo infinito sui valori di oggi e di allora, ma quello che conta è l’aver riportato tanti atteggiamenti verso una dimensione economicamente sostenibile e da cui ripartire sia pur in un confronto aperto e dialettico. Sarebbe il momento di prendere le redini di questa opportunità e guidarla nella sua evoluzione futura per uscire dalla crisi e quindi guardando agli anni a venire per averne tutti un vantaggio. Noi cittadini lavoratori, imprenditori, pensionati e casalinghe. La guida sta nel “governare” che i nostri vocabolari definiscono: “avere cura di qualcuno, darne la direzione”.
Ma subito sorgono delle perplessità dopo aver vissuto per decenni la nuova definizione: “assumere il potere, averne l’autorità per dare forza a se stessi ed al proprio partito”. Infatti sembra di capire che il “loro” obiettivo prossimo siano le elezioni di marzo, la crisi può aspettare