giovedì 19 giugno 2008

PROBLEMI DI CRESCITA PER LE PMI

Per le piccole e medie imprese italiane il problema della crescita, sia dal punto di vista quantitativo (inteso come aumento del livello di fatturato, del capitale investito e del numero di addetti), così come dal punto di vista qualitativo (riguardante il miglioramento delle condizioni strutturali, strategiche ed operative dell'azienda) è considerato come condizione vincolante per il mantenimento dell'equilibrio aziendale (si pensi ad esempio all'intensità della competizione sui costi con la conseguente necessità di sfruttare al meglio le economie di scala e di scopo, alla rapidità e complessità del progresso tecnico con il conseguente e parallelo accorciamento del ciclo di vita dei prodotti) e come fattore imprescindibile per l'azienda con vocazione all'internazionalizzazione.

L'importanza attribuita al fattore dimensionale è confermata dalla percentuale del 35 per cento espressa dalle aziende intervistate in relazione all'item della dimensione come elemento di ostacolo interno allo sviluppo aziendale.
Sul fronte interno, sono stati peraltro individuati altri specifici fattori che giocano a sfavore e limitano la competitività delle PMI.
L'analisi delle difficoltà di origine interna emerse e manifestate nel corso dell'indagine condotta da Piccola Industria ha messo in evidenza tre problemi fondamentali, generalmente condivisi dalla grande maggioranza degli imprenditori:

1) la mancanza delle risorse umane necessarie per
svolgere le attività creatrici di valore;
2) una cultura d'impresa spesso eccessivamente
focalizzata sui soli fattori produttivi e non
sempre adeguata a cogliere in maniera efficace gli
stimoli provenienti dall'esterno;
3) la difficoltà a disporre della capacità
finanziaria atta a sostenere in modo adeguato la
crescita.

In particolare, la mancanza di risorse umane è considerata cruciale per lo sviluppo dell'impresa.
La grave difficoltà della piccola impresa nel reperire operai specializzati e tecnici (fattore che si colloca al primo posto fra quelli che limitano la competitività delle PMI, con una percentuale del 41,5 per cento) è in parte generata dalla concorrenza delle organizzazioni di maggior dimensione che, non di rado, utilizzano le piccole imprese quale serbatoio/vivaio presso il quale reperire personale già formato per le proprie esigenze.
Un ulteriore elemento che incide sulla scarsità delle risorse umane è invece determinato dalla
"semplicità" organizzativa della piccola impresa, che limita le opportunità di crescita dei propri
dipendenti.

Il problema della difficoltà di reperimento delle risorse umane si estende, oltre che al personale
tecnico, anche alle figure manageriali, a causa dei costi elevati non sempre correlati alla dimensione del budget di spesa, ma anche alla circostanza che le piccole imprese, nella loro generalità, sono piuttosto restie ad inserire al proprio interno persone con funzioni dirigenziali, una cautela che ha origine, soprattutto, nella spiccata tendenza del piccolo imprenditore ad accentrare su di sè (o al massimo sui componenti della propria famiglia) tutte le principali funzioni direttive e di responsabilità.
La presenza di questo elemento, cioè la scarsa attenzione verso le figure manageriali rappresenta
un limite decisivo della possibilità dell'impresa di svilupparsi e di sfruttare eventuali opportunità esterne favorevoli.

Per quanto attiene al secondo gruppo di fattori ostacolanti la competitività delle PMI, identificato nel "deficit culturale", è particolarmente avvertito dagli imprenditori che riconoscono un proprio limite ad essi imputabile ed un pericolo rilevante per lo sviluppo delle loro aziende.
Questo limite infatti si traduce in una incapacità di indirizzare l'attività d'impresa secondo un coerente ed efficace orientamento strategico, attraverso il quale si amplii l'orizzonte temporale degli obiettivi e dei programmi di azione.
In altre parole, questa scarsa visione strategica provoca una mancanza di impulsi ed un appiattimento della gestione sulle questioni ordinarie.
Peraltro esistono delle differenze, anche molto significative, a seconda dell'area geografica, della dimensione e del settore nel quale l'impresa opera.
Per esempio, nelle imprese impegnate nei settori ad alta tecnologia o nei servizi avanzati, c'è una
rilevante responsabilizzazione di figure manageriali con forme di incentivazione molto avanzate.
Allo stesso modo, le aziende in cui si è già giunti al secondo passaggio generazionale mostrano
in genere un più valido assetto organizzativo, un'efficace gestione delle risorse umane e una crescente considerazione dell'impresa come entità a se stante.
Il problema dell'accentramento imprenditoriale costituisce infatti in molte piccole imprese un rilevante fattore di debolezza, in quanto la natura dell'azienda fortemente centrata sulla figura dell'imprenditore o sulla sua famiglia costituisce un ostacolo estrinseco alle sue possibilità di sviluppo e sulle sue prospettive di competitività, in quanto determina una sensibile difficoltà nello sviluppo di forme di collaborazione strutturata che portino alla "creazione di sistemi e di network di imprese".
Anche questo problema riguarda prevalentemente le imprese delle regioni centrali e meridionali del
nostro Paese, mentre si manifesta in maniera decisamente più sporadica al Nord-Est e Centro
Settentrionale dove, al contrario, la capacità di "fare sistema" rappresenta uno dei maggiori punti di forza delle piccole e medie imprese.
Un'ulteriore area in cui gli imprenditori riconoscono il proprio limite culturale riguarda la gestione aziendale in senso stretto.
La piccola impresa nasce e si consolida normalmente sulla base di una profonda competenza relativa al prodotto ed al processo produttivo; in linea generale, è notevole anche la conoscenza del mercato di riferimento. Si manifestano invece particolarmente deboli le competenze più specificamente gestionali: in particolare, l'orientamento strategico, il marketing, l'organizzazione di vendita e commerciale, la gestione finanziaria, la logistica ed i processi di intelligence.
Infine, nell'ambito dei fattori interni ostacolanti la competitività delle PMI, il terzo gruppo di elementi identificati si accentra nella difficoltà a disporre della capacità finanziaria capace di sostenere in modo adeguato la crescita.La difficoltà di reperimento di risorse finanziarie è difatti identificato come il secondo ostacolo interno maggiormente sentito dalle piccole imprese e deriva sostanzialmente dalla scarsa cultura imprenditoriale degli intermediari finanziari, che ancor oggi valutano l'affidabilità di un'azienda in funzione delle sue disponibilità patrimoniali e non anche in funzione delle reali opportunità imprenditoriali

martedì 17 giugno 2008

Lo scandalo degli stipendi dei managers pubblici

Ha fatto eco nelle cronache la retribuzione dell’A.D. Alitalia, Prato, che in cinque mesi ha raccolto € 326.414,00 guadagnando € 2.170,00 al giorno con un premio di risultato pari a € 83.333,33.Ma se guardiamo al suo predecessore Cimoli scopriamo che nel solo 2006 aveva percepito €1.536.000,00, pari a € 6.400,00 al giorno, portando Alitalia a perdite per € 626.000.000,00

Agli occhi di un dirigente di azienda privata è piuttosto evidente che esistono criteri assolutamente difformi nella valutazione del merito.
In primis l’entità della retribuzione in quanto tale e quindi degli incentivi di risultato.
La prima non può che essere proporzionata alle dimensioni aziendali ed ai suoi risultati di bilancio, mentre la seconda può avere criteri inversamente proporzionali e cioè far lievitare il premio al decrescere delle perdite o al progredire degli utili. Nel caso Alitalia il maggiore azionista, il Tesoro, che in assemblea dei soci determina annualmente la retribuzione dell’A.D., ha evidentemente trascurato totalmente quello che la logica privatistica avrebbe imposto.
Ma allora a quale criterio risponde?
Purtroppo, come sempre, a quello degli apparentamenti politici dove la preoccupazione di gestire denaro pubblico è inesistente. Il concetto è piuttosto quello di appropriarsene, magari legalmente, nella maggiore quantità e nel più breve tempo possibile.
Naturalmente scaricare la colpa unicamente su personaggi come Cimoli sarebbe anche ingiusto se si analizza la causa principale del dissesto Alitalia : le migliaia di assunzioni clientelari che partiti e sindacati si sono spartite liberamente e che ora cercano di coprire (i sindacati) o di scaricare ad altri (governo Prodi a Air France). Chiunque abbia avuto la necessità di volare per lavoro si è dovuto confrontare con scioperi e ritardi oltre che con personale di incerta formazione nelle relazioni con la clientela, soprattutto quella di economy. Impossibile il dialogo con i responsabili dell’azienda lontani “Mille miglia” dal quotidiano. Quanti di noi hanno “dovuto optare” per compagnie estere per trovare tariffe più convenienti, orari di volo opportuni, servizio più efficiente? Quanti di noi si sono ritrovati a terra a Fiumicino senza la conferma del posto (prenotato) per far salire tale onorevole o talaltro VIP? Forse la (s)vendita ad Air France non sarebbe stata la migliore soluzione, ma perché “temere” il commissariamento previsto dalle norme di diritto societario? Quando una azienda ha smesso di funzionare in termini economici deve essere rifondata e tanto più quando la perdita si riversa sul debito pubblico che,in Italia, rappresenta la piaga più grave per ciascuno di noi.Che le conseguenze avrebbero fortemente penalizzato i dipendenti è indubbio, ma come mai il CdA e l’assemblea dei soci non hanno voluto incidere sui costi del personale? Prima di licenziare si applicano gli ammortizzatori sociali ricercando l’efficienza produttiva. Si concorda con le parti sociali il taglio delle retribuzioni avendo il coraggio di attuarlo per primi sulle megaretribuzioni dei managers. Ma questa è fantasia. Si apre un mondo di sogni dove probabilmente hanno vissuto per anni centinaia di dirigenti e migliaia di impiegati che non possono non aver visto le disefficienze e non aver pensato che la cuccagna sarebbe, un giorno, finita. Tutti con la testa “per aria” !

giovedì 5 giugno 2008

La difficoltà di trovare personale qualificato

Oramai da tempo, l’industria e non solo lei, lamenta una endemica difficoltà nella ricerca di personale qualificato.

Da un lato si vede crescere il numero degli iscritti agli istituti superiori ed ai corsi universitari triennali e quinquennali e dall’altro si osservano specializzazioni fini a sè stesse che non trovano riscontro occupazionale, candidati con importanti giudizi di voto di diploma e di laurea ma assolutamente contrastanti con la preparazione dimostrabile, persone alla ricerca di un posto di lavoro consono alle aspettative di carriera ed economiche indipendentemente dal merito.
Fenomeno questo tutt’altro che nuovo ma con l’aggravante del peggioramento che coinvolge certamente la scuola ad ogni livello, la classe politica incapace di dare orientamenti seri e lungimiranti, ma anche tutta la nostra società con il suo decadimento di valori e la miope visione sul futuro. Che tra scuola, mondo del lavoro e politica ci fosse uno scollamento era una realtà nota da decenni che veniva stemperata da una situazione economica favorevole. Ma ora che, da tempo, lo sviluppo ha rallentato la sua corsa, per non dire che stiamo vivendo un periodo di regresso economico, questo strappo si è fatto pesante e le sue conseguenze sono facilmente valutabili.Dato che il motore del mondo è l’economia e che per produrre occorrono cervelli adeguati e livelli di produttività sempre più elevati, non ci si può nascondere di fronte all’esigenza immediata di trovare risposte. A questo ed altri temi proveranno a rispondere i Direttori delle Risorse Umane delle più importanti aziende della provincia di Alessandria, che si sono dati appuntamento presso la Roquette Italia S.p.A. e che, con il sostegno della Federmanger, prevedono di proseguire il confronto in una serie di meetings aziendali itineranti.