martedì 17 giugno 2008

Lo scandalo degli stipendi dei managers pubblici

Ha fatto eco nelle cronache la retribuzione dell’A.D. Alitalia, Prato, che in cinque mesi ha raccolto € 326.414,00 guadagnando € 2.170,00 al giorno con un premio di risultato pari a € 83.333,33.Ma se guardiamo al suo predecessore Cimoli scopriamo che nel solo 2006 aveva percepito €1.536.000,00, pari a € 6.400,00 al giorno, portando Alitalia a perdite per € 626.000.000,00

Agli occhi di un dirigente di azienda privata è piuttosto evidente che esistono criteri assolutamente difformi nella valutazione del merito.
In primis l’entità della retribuzione in quanto tale e quindi degli incentivi di risultato.
La prima non può che essere proporzionata alle dimensioni aziendali ed ai suoi risultati di bilancio, mentre la seconda può avere criteri inversamente proporzionali e cioè far lievitare il premio al decrescere delle perdite o al progredire degli utili. Nel caso Alitalia il maggiore azionista, il Tesoro, che in assemblea dei soci determina annualmente la retribuzione dell’A.D., ha evidentemente trascurato totalmente quello che la logica privatistica avrebbe imposto.
Ma allora a quale criterio risponde?
Purtroppo, come sempre, a quello degli apparentamenti politici dove la preoccupazione di gestire denaro pubblico è inesistente. Il concetto è piuttosto quello di appropriarsene, magari legalmente, nella maggiore quantità e nel più breve tempo possibile.
Naturalmente scaricare la colpa unicamente su personaggi come Cimoli sarebbe anche ingiusto se si analizza la causa principale del dissesto Alitalia : le migliaia di assunzioni clientelari che partiti e sindacati si sono spartite liberamente e che ora cercano di coprire (i sindacati) o di scaricare ad altri (governo Prodi a Air France). Chiunque abbia avuto la necessità di volare per lavoro si è dovuto confrontare con scioperi e ritardi oltre che con personale di incerta formazione nelle relazioni con la clientela, soprattutto quella di economy. Impossibile il dialogo con i responsabili dell’azienda lontani “Mille miglia” dal quotidiano. Quanti di noi hanno “dovuto optare” per compagnie estere per trovare tariffe più convenienti, orari di volo opportuni, servizio più efficiente? Quanti di noi si sono ritrovati a terra a Fiumicino senza la conferma del posto (prenotato) per far salire tale onorevole o talaltro VIP? Forse la (s)vendita ad Air France non sarebbe stata la migliore soluzione, ma perché “temere” il commissariamento previsto dalle norme di diritto societario? Quando una azienda ha smesso di funzionare in termini economici deve essere rifondata e tanto più quando la perdita si riversa sul debito pubblico che,in Italia, rappresenta la piaga più grave per ciascuno di noi.Che le conseguenze avrebbero fortemente penalizzato i dipendenti è indubbio, ma come mai il CdA e l’assemblea dei soci non hanno voluto incidere sui costi del personale? Prima di licenziare si applicano gli ammortizzatori sociali ricercando l’efficienza produttiva. Si concorda con le parti sociali il taglio delle retribuzioni avendo il coraggio di attuarlo per primi sulle megaretribuzioni dei managers. Ma questa è fantasia. Si apre un mondo di sogni dove probabilmente hanno vissuto per anni centinaia di dirigenti e migliaia di impiegati che non possono non aver visto le disefficienze e non aver pensato che la cuccagna sarebbe, un giorno, finita. Tutti con la testa “per aria” !

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