giovedì 14 febbraio 2008

RELAZIONI PERICOLOSE

Relazioni pericolose
di Fabiano Schivardi e Francesco Lippi - Riprodotto dal sito www.lavoce.info)
L'invecchiamento della classe dirigente italiana è un fatto ben documentato, solo in parte riconducibile a cause demografiche. (1) Di per sé, il fenomeno non è necessariamente indicatore di un problema: in assenza di frizioni la scelta dei manager si basa sul merito e l'età non gioca alcun ruolo nella selezione; una classe dirigente "vecchia" indicherebbe che gli anziani sono mediamente più abili dei giovani, ad esempio grazie all'esperienza. (2)
Molti osservatori, tuttavia, avanzano il sospetto che la fitta presenza di ultrasettantenni nelle posizioni strategiche in Italia non rifletta una maggiore abilità di gestione, ma derivi da barriere che ostacolano l'accesso dei giovani alle posizioni di potere. Colpisce, ad esempio, la ristrettezza della cerchia entro cui vengono selezionati i manager, specialmente, ma non solo, quelli di nomina pubblica.Molti sono i nomi in circolazione da decenni che periodicamente ricompaiono, nei settori più disparati, raramente sostenuti da una storia di risultati di gestione eccellenti.
L'importanza del network
Quale motivo può indurre una selezione dei dirigenti che premia l'anzianità (anagrafica e di servizio) a scapito dell'efficienza? Secondo la letteratura aziendale, l'affermazione di un manager non dipende solo dalle sue capacità operative, ma anche da quelle relazionali e dal fatto di appartenere a un network. Questa ipotesi aiuta a interpretare il fenomeno dell'invecchiamento in Italia. La distribuzione del talento relativo alla gestione aziendale è variabile tra i giovani come tra i vecchi: produttività ed età sono, in generale, indipendenti. Ma lungo un'altra dimensione, quella sociale, gli anziani dominano i giovani per l'appartenenza a una rete di relazioni, gruppi di interesse o lobby politiche. La rete si costruisce principalmente col tempo, e i giovani sono quindi meno "connessi" degli anziani. Assumere un manager con cui si condividono frequentazioni e contatti facilita all'azionista di controllo il perseguimento di obiettivi diversi dalla pura massimizzazione del valore, quali politiche di assunzione che creino consenso (importanti per un controllante di natura politica), scelte aziendali che favoriscano l'affermazione, il prestigio e il potere di una famiglia o lobby. Se chi controlla l'impresa affianca all'obiettivo della gestione efficiente quello di un management legato a un network, il manager vecchio viene preferito al giovane, a parità di talento. Questa ipotesi ha implicazioni chiare sulla relazione fra età del management e produttività. (4) Quanta più importanza si attribuisce all'appartenenza a un network rispetto alla pura capacità di gestione, tanto maggiore è la quota di manager anziani in azienda e tanto minore la produttività complessiva dell'impresa: l'appartenenza fa premio sull'efficienza. Al contrario, tra le aziende che hanno come unico obiettivo l'efficienza produttiva (e non sono quindi interessate al capitale relazionale in sé), età dei dirigenti e produttività sono indipendenti: la selezione avviene solo in base alla capacità.
La verifica empirica
Per una verifica empirica di questa ipotesi abbiamo utilizzato dati su circa mille imprese manifatturiere italiane fra l'inizio degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta. Le imprese sono state classificate in cinque gruppi, a seconda che la natura del controllante fosse persona fisica/famiglia, operatore pubblico (Stato, enti locali eccetera), holding di imprese, società finanziaria o controllante estero. La nostra congettura è che le imprese familiari, quelle pubbliche e, in alcuni casi, quelle appartenenti a gruppi siano inclini a perseguire obiettivi diversi dalla semplice massimizzazione del valore e quindi più interessate a selezionare manager all'interno di determinati network. Ad esempio, un politico si potrebbe servire dell'impresa per favorire la propria rielezione, anche a scapito dell'efficienza; una famiglia può trarre dall'impresa prestigio e riconoscimento sociale; holding industriali possono favorire certe imprese del gruppo rispetto ad altre nelle transazioni infra-gruppo. L'analisi empirica analizza il legame tra la produttività a livello di impresa (calcolata come produttività totale dei fattori, Ptf) e l'età dei manager (misurata dall'età media dei manager dell'azienda) in ciascuno dei cinque gruppi.I risultati indicano che produttività ed età dei manager sono negativamente correlate per le imprese a controllo pubblico. L'elasticità è unitaria: aumentando del 10 per cento l'età dei manager, si riduce di altrettanto la Ptf. Inoltre, coerentemente con la nostra ipotesi, l'età (media) dei manager nelle aziende a controllo pubblico è più alta rispetto al resto del campione (di circa 1,5 anni). Se queste imprese avessero un management con la stessa età delle altre, la loro produttività crescerebbe fra il 3 e il 6 per cento. La relazione fra età dei manager e Ptf è negativa anche per le imprese familiari, con un'elasticità che varia fra il 10 e il 25 per cento e, in maniera meno netta, per quelle controllate da una holding. Non emerge, invece, nessuna relazione sistematica tra produttività ed età dei manager per le imprese controllate da istituzioni finanziarie o da società estere. Ciò avvalora l'ipotesi che questo tipo di controllanti siano meno interessati a obiettivi diversi dalla pura massimizzazione del valore dell'impresa. (5)
Alitalia, una cartina di tornasole
L'evidenza è in linea con un'interpretazione dell'invecchiamento della classe dirigente italiana che, come ipotizzato da molti, è sintomo di un malfunzionamento dell'economia. La radice del problema è la preferenza dei controllanti per manager "connessi", anche a discapito dell'efficienza produttiva: "buone" frequentazioni valgono più di un buon curriculum. Chi è interessato a questi temi seguirà con interesse la privatizzazione dell'Alitalia: sarà pilotata verso imprenditori "amici", i quali a loro volta nomineranno i manager pescando dalla solita cerchia di nomi? Oppure per una volta si utilizzerà il criterio delle capacità imprenditoriali indipendentemente dall'appartenenza a un network, magari con un amministratore delegato che non fosse già tale ai tempi dello sbarco sulla luna? (1) Non si osserva in altri paesi che registrano un simile invecchiamento della popolazione.(2) Il recente contributo di Francesco Daveri su questi sito commenta l'esperienza finlandese, dove il rapporto fra anzianità di servizio e produttività varia a seconda del settore considerato, si veda http://www.lavoce.info/news/view.php?id=10&cms_pk=2539&from=index. (3)Si veda ad esempio l'articolo di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 10.1.2007. (4)Il modello teorico, i dati utilizzati e i test empirici sottostanti a questa nota si basano su un lavoro in corso di preparazione, a cura degli autori. (5) Risultati simili si ottengono utilizzando l'anzianità di servizio come misura di appartenenza a un network: anche in questo caso, la relazione fra Ptf e anzianità di servizio è negativa per le imprese familiari e per quelle pubbliche, che hanno anche la quota più alta di manager da lungo tempo impiegati nell'azienda.

MANAGERS ESPERTI PER VINCERE LA SCOMMESSA DEL FUTURO?

La tipologia degli operatori in Italia
Da sempre, all'interno delle grandi organizzazioni esistono figure manageriali, e a volte gruppi interfunzionali, che intervengono rapidamente nelle società di un Gruppo e nei vari Paesi dove la società è presente per risolvere gravi e urgenti problemi gestionali. Si tratta di risorse straordinarie che conoscono le lingue, che hanno una profonda conoscenza della cultura aziendale e che padroneggiano perfettamente i diversi aspetti e strumenti della gestione. Di età non giovane, hanno esperienze di direzione generale nelle aziende e acquisito significative competenze multifunzionali. Sono di solito coadiuvati da giovani manager specializzati in specifiche funzioni o processi aziendali.nserisci qui la prima parte del post.

In un certo senso, le società di temporary management hanno istituzionalizzato queste figure presenti nelle grandi multinazionali, offrendo, dapprima alle aziende piccole e poi alle medio-grandi, ciò che le grandi e grandissime avevano già in casa, cioè un gruppo di manager capaci di risolvere in un arco temporale definito problemi gravi e complessi.
Come abbiamo visto, negli ultimi anni il panorama del settore si è andato arricchendo. Alle società sin dall’inizio specializzate in temporary management, si sono affiancati nuovi attori: società di executive search, società di consulenza di direzione, cooperative di manager, società di ricerca di personale e una schiera di manager free lance. Tutti questi attori affermano di fare temporary management, anche se così non è. Ciò è dovuto al fatto che il settore sta attraversando quella fase di sviluppo del ciclo di vita. Infatti il mercato del lavoro è in forte cambiamento, l'offerta di manager è elevata, grande è l'interesse delle aziende italiane verso il nuovo servizio e quindi grande è l'euforia degli imprenditori del settore, o di altri settori che hanno deciso di entrarci, con modalità a volte non ortodosse. Oggi le matrici di provenienza dei diversi operatori del temporary management in Italia sono essenzialmente quattro:
1. Società di temporary management
Nate come naturale evoluzione dell'attività di consulenza di direzione aziendale, sono specializzate negli interventi di gestione temporanea a livello di direzione generale, di direzione di funzione e di project management. La caratteristica distintiva rispetto agli altri operatori è che assumono la responsabilità di risolvere il problema del cliente. I contract manager non operano da soli, ma con il supporto diretto e continuo della società di temporary management. E' la società che ha il rapporto con il cliente, che risponde della qualità del servizio e presenta un solo contract manager e non una rosa di candidati tra i quali il cliente sceglie.
2. Società di executive search
Sono specializzate nella ricerca di dirigenti di alto livello, svolta tramite contatti personali e dispongono di ampi file di dirigenti da inserire a tempo indeterminato nelle aziende. Di solito i loro clienti sono le aziende medio-grandi, che si rivolgono a loro da anni. E' quindi un servizio affermato. Queste società, per lo più a carattere internazionale e che hanno costituito società o divisioni per il temporary management, man mano si sono create anche un file di manager disposti a lavorare a tempo determinato. L’erogazione del servizio non è molto diversa da quella utilizzata per le posizioni a tempo indeterminato. Analizzando il bisogno del cliente e consultando il file, vengono individuati i candidati più vicini alle caratteristiche richieste, viene formata una rosa da presentare al cliente che, a scelta avvenuta, paga un compenso proporzionale alla remunerazione corrisposta al manager. Il collegamento tra l'azienda e il manager temporaneo è quindi diretto, basato su un contratto a tempo determinato o di consulenza o di collaborazione coordinata e continuativa. Il manager a tempo non ha quindi nessun supporto operativo dalla società di executive search. Al termine del contratto il rapporto si può modificare, se l'azienda e il manager lo desiderano, in un rapporto a tempo indeterminato. In caso contrario il manager rientra nel file della società di executive search in attesa di un altro incarico.
3. Cooperative di dirigenti
Sono un’interessante modalità di imprenditorialità collettiva per fronteggiare il problema della ricerca di un’opportunità di lavoro per una categoria professionale che in passato non ha mai avuto particolari problemi di collocamento. Queste cooperative cercano di far incontrare le richieste delle imprese per interventi temporanei con i profili dei soci della cooperativa. Il rapporto si instaura direttamente tra l’impresa e il manager scelto tra i soci, come nel caso dei manager individuati dagli specialisti dell'executive search. Il cliente stabilisce direttamente la remunerazione con il manager, che è scelto tra una rosa di due o tre candidati fornita dalla cooperativa. Il manager lascia alla cooperativa una percentuale sulla sua remunerazione del primo anno di contratto. Nel caso in cui il cliente fosse interessato, al termine del periodo può trasformare il rapporto - che si configura come un rapporto di lavoro autonomo - in un rapporto di lavoro dipendente. A differenza dell’executive search, nel caso della cooperativa il manager, pur essendo solo nel rapporto con l'azienda cliente, può chiedere il supporto degli altri soci della cooperativa e il loro coinvolgimento diretto. Al termine del periodo, il manager socio rientra nella cooperativa e si occupa di promozione o di altre attività societarie.

4. Manager free lance
Dopo aver terminato la propria carriera in azienda o dopo esserne usciti, alcuni dirigenti si offrono al mercato, in particolare ad aziende piccole e medie, in qualità di manager a tempo: cioè fanno i manager temporanei con le modalità del consulente. Tra azienda e manager non esiste alcun filtro né alcuna intermediazione. Il manager si "vende" in funzione delle proprie capacità e competenze manageriali e della propria flessibilità. Ma soprattutto si "vende" in funzione delle capacità di marketing del suo prodotto, cioè di sé stesso. Il processo di selezione e di valutazione dei candidati viene gestito direttamente dalle aziende, le quali, se sono capaci di selezionare, possono trovare valide soluzioni. Il rapporto è di lavoro autonomo: contratto di consulenza oppure di collaborazione coordinata e continuativa. Se l'azienda è interessata, può trasformare il contratto in lavoro dipendente; se non esiste questa necessità o se il manager preferisce mantenere lo status di professionista, avrà il problema di trovare un'altra opportunità di lavoro. Di solito, durante i loro incarichi in azienda i manager free lance riservano una parte del proprio tempo alle pubbliche relazioni, per tenere rapporti e coltivare contatti con futuri potenziali clienti per ottenere successivi incarichi. Inevitabile invece è il loro isolamento operativo e culturale. Nulla è la possibilità di farsi aiutare da colleghi o di confrontarsi con loro su quanto si è appreso e su quanto di nuovo si sta sviluppando nel management.
In sintesi, tutti dicono di fare temporary management. Ma non è corretto parlare di temporary management per il solo fatto che un manager viene affittato a un'azienda invece di essere assunto. La modalità dell'affitto è sempre esistita nel mondo della consulenza alle aziende. Non è un novità, sebbene la sua intensità sia andata crescendo nel tempo. Una novità è invece il temporary management nella sua accezione originale, perché il contract manager è una professione con sue specifiche peculiarità: non può essere improvvisato e tanto meno può essere inteso come un ripiego della posizione di dirigente a tempo indeterminato. Probabilmente col tempo le diverse modalità operative si andranno affinando e, come è già avvenuto in altri Paesi europei, ne rimarranno due: il temporary management originale con l'assunzione della responsabilità dell'intervento da parte della società specializzata e il body renting, dove la responsabilità dell'intervento è invece del singolo manager.

Il confronto con l’Europa
Nei principali Paesi dell’Occidente europeo il temporary management è ormai una realtà consolidata. Nata intorno agli anni 70, è stata sviluppata prevalentemente da società di piccole dimensioni operanti a livello di singolo mercato locale. Solo recentemente si intravede un certo interesse delle grandi società internazionali di consulenza. In ogni Paese l'attività è riconducibile ai due modelli dell’assunzione di responsabilità dell'intervento il primo, del body renting il secondo.
In Olanda l'attività di temporary management è nata oltre 25 anni fa ed è molto sviluppata. Attualmente esistono una trentina di società; le tre più grandi occupano stabilmente oltre una quarantina di manager ciascuna. E’ presente sia la modalità di assunzione di responsabilità dell’intervento - che è stata lanciata da BCG (Boer & Croon Group) e poi seguita da altre società olandesi - e la modalità del body renting, svolta da piccole società e dagli executive searcher. Le principali società specializzate sono circa venti e fanno parte di un’associazione di categoria denominata RIM (Raad voor Interim Management). Lo sviluppo del temporary management è avvenuto grazie alla presenza di aziende di una certa dimensione disponibili a innovative forme organizzative. E' stata inoltre agevolata da norme che prevedono il lavoro temporaneo sia a livello dirigenziale sia a livello impiegatizio e favorita dalla possibilità di inserire interim manager nella Pubblica Amministrazione, che per le società olandesi del settore rappresenta un mercato importante e in sviluppo.
In Francia le prime società sono nate alla fine degli anni 70, durante il periodo della crisi delle grandi aziende. Tuttora vi sono due filoni sostanzialmente diversi. Il primo, più ristretto ma più qualificato, è quello delle società che si assumono la responsabilità di gestire interventi di temporary management con proprie strutture di manager. In questo gruppo troviamo Dirigeants et Investisseurs, EIM e Management Partennaire. Gli interventi sono prevalentemente indirizzati a risolvere problemi di grave crisi economico-finanziaria. L'altro gruppo di operatori è presente nel segmento del management funzionale, per interventi di breve durata e senza l'assunzione della responsabilità, sul modello del body renting.
Nel Regno Unito la situazione è molto diversa. Esiste un unico modello denominato interim management, centrato sul body renting prevalentemente di natura funzionale, con una remunerazione a base giornaliera e una fatturazione settimanale. Non ci sono invece società di temporary management che assumono la responsabilità dell'intervento, se si escludono EIM e W&S. Esiste anche un’associazione di categoria denominata ATIES (The Association of Temporary & Interim Executive Services), che raggruppa una ventina di società. Numerosi sono anche i manager free lance. Grazie alla diffusione della lingua inglese, sia le società che i free lance operano non solo nel Regno Unito ma anche in altri Paesi occidentali e dell'Est Europa.
La Germania è il paese dove maggiore è stato lo sviluppo dell'attività di temporary management negli ultimi cinque anni. Sono nate nuove società e, anche grazie alla riunificazione politica, si è determinata una forte richiesta di professionalità manageriale temporanea. Il temporary management è presente con la modalità dell'assunzione di responsabilità con la società più grande - Mulder & Partner - e con altre società locali, inclusa EIM. Le banche tedesche più importanti che operano con il modello dell'Hausbank sono molto coinvolte nel business dei propri clienti: perciò nei casi crisi o difficoltà di sviluppo si rivolgono alle primarie società di temporary management per inserire manager e per gestire con il supporto finanziario della banca la situazione di difficoltà. La conoscenza del loro servizio e i risultati conseguiti dalle società di temporary management durante i primi anni di attività hanno fatto diventare queste ultime partner insostituibili delle banche. Per quanto riguarda gli interventi a livello funzionale e di semplice body renting, sono coinvolte sia importanti società di executive search sia società di consulenza di direzione.
In Spagna la situazione è molto diversa da quella degli altri Paesi europei. La conoscenza del temporary management è ancora molto bassa e modesta è sinora stata l'attività di informazione da parte dei principali media. Sono poche le società che offrono il servizio di temporary management. La società che più si distingue e che adotta il modello dell'assunzione della responsabilità è sicuramente M.B.D. di Madrid.
Infine negli Stati Uniti, si è avuto un sensibile sviluppo di questa attività. Gli esperti nel risanamento di imprese sull'orlo della chiusura devono la loro fortuna alle crescenti difficoltà incontrate dalle medie imprese statunitensi che operano nei settori avanzati. Queste aziende si trovano spesso ad affrontare cambiamenti repentini e sconvolgimenti nel mercato per i quali non sono preparate. Il mercato di questo servizio può essere schematicamente suddiviso in due tipologie: turnaround management - cioè rapidi risanamenti di imprese in crisi - e situazioni di emergenza, cioè vero e proprio affitto di manager e di quadri per risolvere temporanee carenze di competenze manageriali. Di solito il turnaround manager entra solo se gli viene dato un potere che gli consente di manovrare le leve gestionali necessarie per raggiungere gli obiettivi concordati. Quasi sempre ha la carica di amministratore delegato o presidente. La loro remunerazione annua è molto elevata perché, nella maggior parte dei casi, è collegata ai risultati. I migliori arrivano a guadagnare più di un presidente di una grande corporation. Negli USA questa attività è svolta da singoli manager o da piccole società, di solito composte da alcuni partner che usano staff poco numerose e altamente specializzate.
La seconda tipologia di temporary management statunitense - chiamata "temp"- riguarda le situazioni di emergenza. E' la tipologia più vicina alla realtà italiana ed europea. Nonostante la rapidità con cui negli USA è possibile trovare un manager, la flessibilità del mondo del lavoro e l'abitudine di quei manager a migrare da una azienda all'altra, il “temp” ha avuto un considerevole sviluppo.e qui la restante parte.

martedì 12 febbraio 2008

Chi vuole cambiare la classe dirigente?

CHI VUOLE CAMBIARE LA CLASSE DIRIGENTE?
Interessante leggere le riflessioni e le considerazioni di Tito Boeri e Vincenzo Galasso riprese dal sito “La Voce” che contribuisce al dibattito pubblico di questo scottante problema.
Secondo i sondaggi ben il 58 per cento degli italiani è insoddisfatto dei rappresentanti politici. E tutti a parole in questi primi scampoli di campagna elettorale dicono di voler cambiare.
Tre criteri per capire se lo faranno sul serio: sono favorevoli a un sistema maggioritario a due turni, a tenere primarie a livello locale nella selezione dei candidati e a estendere il diritto di voto ai sedicenni sia alla Camera che al Senato?

Non c’è rigetto della politica in Italia. C’è rigetto di questa classe politica. I sondaggi lo dicono chiaramente: gli italiani credono che la democrazia, che comporta mediazioni e ricerca di consenso, - e dunque richiede politica - sia il migliore sistema possibile.
Ma ben il 58 per cento è insoddisfatto dei propri rappresentanti politici, il 15 per cento in più di tre anni fa, secondo un recente sondaggio di Eurobarometro. Gli italiani sono, e aggiungeremo giustamente, stufi di essere rappresentati da persone che non hanno potuto scegliere e che non potranno cambiare. Probabilmente anche i cittadini statunitensi sono stufi di una classe politica che ha lasciato loro in eredità la guerra in Iraq, Guantanamo e Abu Ghraib. Non a caso, nelle primarie statunitensi i candidati fanno a gara nel promettere di cambiare, come nelle canzoni di David Bowie.
Ma la differenza fondamentale fra gli Stati Uniti e il nostro paese è che gli elettori americani, se non sono soddisfatti, possono scegliere di punire i loro rappresentanti, di non rieleggerli. Nel nostro caso, fra due mesi andremo a votare sulla base di liste bloccate.
Le scelte le avranno fatte altri: i segretari dei partiti. E così mentre i giornali americani fanno il toto-candidati interrogando le persone, provando a interpretare gli umori dell’elettorato, i giornali italiani cercano di decifrare i silenzi e le dichiarazioni dei segretari di partito per carpirne i segreti: a chi verrà dato un posto in lista in un collegio sicuro? Chi rimarrà fuori? In questi giorni continuiamo a ricevere lettere di cittadini che, disgustati, vogliono astenersi dal voto. È comprensibile. Ma non votare non serve a nulla. Bene semmai premiare chi si impegna a cambiare le regole in base alle quali si scelgono i nostri rappresentanti.
Non è solo una questione di legge elettorale. Vediamo tre regole che possono davvero favorire il ricambio. Bene che ora, prima del voto, i vari schieramenti si pronuncino su queste regole. Sapremo così se intendono davvero rinnovarsi.

1. COLLEGI UNINOMINALI PER MANDARE A CASA CHI HA FATTO MALE
Iniziamo dalla fine. Alla scadenza del mandato elettorale, agli elettori deve essere data la possibilità di giudicare – attraverso il voto – i loro rappresentati politici. Deve essere possibile mandare a casa chi non ha convinto. Oggi non è così.
In primo luogo manca un legame diretto tra elettore ed eletto. Si vota una lista di partito, non un candidato. E poi manca anche un legame geografico tra eletto e circoscrizione. Con il proporzionale a liste bloccate, il singolo politico non ha degli elettori in una determinata circoscrizione politica a cui rispondere. È il partito nel suo insieme a essere giudicato. Non esiste una selezione a posteriori, alla luce del loro operato, dei singoli politici, ma solo un giudizio sul partito nel suo insieme. Il sistema maggioritario a collegi uninominali lega, invece, il politico a una circoscrizione geograficamente limitata e consente agli elettori di giudicarlo ex-post per la sua performance politica in Parlamento.
E di penalizzarlo in caso sia stata giudicata insoddisfacente. Per questo la qualità dell’operato dei politici migliora con un sistema maggioritario. Molto più attivi gli eletti con il maggioritario che col proporzionale. È stato così anche da noi.
2. PRIMARIE A LIVELLO LOCALE
Ma da solo il maggioritario non risolve il problema di selezionare i candidati prima di mandarli in Parlamento. Rischia anzi di porre delle forti barriere all’entrata in politica, demandando la selezione dei candidati nei vari collegi uninominali alle segreterie di partito. L’uso delle primarie anche a livello locale per la determinazione dei candidati nei diversi collegi è dunque fondamentale per aumentare il grado di competizione politica nella selezione ex-ante dei candidati. Consentirebbe di aprire la strada alla candidatura di politici o amministratori che abbiano un buon record a livello locale.
3. DIRITTO DI VOTO AI SEDICENNI SIA ALLA CAMERA CHE AL SENATO
Ma anche con buone regole elettorali e primarie avremo cattivi rappresentanti fin quando gli italiani voteranno i partiti prima delle persone. C’è una parte dell’elettorato che oggi è meno ideologizzata, anche perché ha avuto meno tempo per schierarsi. Si tratta dei giovani. I sondaggi mostrano che sono proprio i più giovani a essere indecisi su chi votare. Nel 2006, fino a poche settimane prima del voto un giovane di età inferiore ai 24 anni su tre non sapeva per chi votare, contro, ad esempio, uno su sei nel caso degli elettori tra i 55 e i 64 anni. Non è un’incertezza dovuta al disinteressamento per la politica. Al contrario, i giovani sono il gruppo di età in cui ci sono meno “non so” in risposta a quesiti sull’operato del governo. E la partecipazione al voto tra i giovani è particolarmente alta in Italia rispetto ad altri paesi. Dando più peso politico ai giovani ci sarà dunque più attenzione nella scelta dei candidati con l’effetto non secondario di rimettere le problematiche giovanili al centro del dibattito politico italiano. Ma come dare più peso politico ai giovani? Se nel 2001, con il sistema misto Mattarellum (con il 75 per cento dei seggi assegnati tramite il maggioritario e il 25 per cento con il proporzionale), fossero stati chiamati a votare per il Senato anche i diciottenni, il loro voto avrebbe potuto cambiare l’orientamento politico in ben 17 regioni su 20: tutte, ad eccezione di Emilia Romagna, Toscana e Val d’Aosta. Da allora il numero di giovani tra il 18 ed i 24 anni è diminuito di oltre il 10%! Quindi oggi per attribuire un ruolo decisivo al voto dei giovani occorre estenderlo ai sedicenni.
Volendo raccogliere questa provocazione, che in termini di “numeri” ha trovato la propria conferma, si potrebbe aggiungere anche:
a) i politici che da anni hanno consolidato la propria posizione politica, “il cadreghino”, sono la quasi totalità ed hanno colto la grande convenienza individuale nel gestire l’area di potere ed economica raggiunte.
b) I partiti, che fondano la propria esistenza su malaugurate sovvenzioni statali, hanno integrato le loro entrate con compromessi clientelari verso tutti i settori delle attività finanziarie ed economiche di rilievo, magari creandone delle proprie.
c) Coloro che si avvicinano alla politica, e quindi devono essere “filtrati” dai suddetti partiti, possono crescere e raggiungere posizioni di rilievo non tanto per il loro contributo di idee nuove ma piuttosto per le relazioni che portano con sé e per la loro disponibilità a sottostare ai “dictat” del vertice.
d) I sindacalisti, che si sono trasformati in politici scalando carriere inimmaginabili in un sistema dove siano premiate le competenze e non le appartenenze, si presentano per quello che erano e non certo per quello che dovrebbero. Quindi invece di guardare all’interesse della collettività degli elettori, mantengono la pseudo-tutela di una sola categoria.
Tutto questo non può che essere risolto grazie all’appoggio, nelle scelte, di chi abbia a cuore il proprio futuro, sappia proporzionare i costi della politica ai risultati attesi in termini di servizi e voglia scardinare non solo la “casta” ma anche le “strutture feudali” dalla stessa create ed autoalimentate da una mentalità che ben poco ha di diverso da quella mafiosa.