Davide e Golia
Un ex manager delle ferrovie sfida il colosso pubblico sui treni per i pendolari.
Giuseppe Arena, figlio e nipote di ferrovieri, vince un concorso da capostazione, poi diventa il più
giovane istruttore ferroviario d’Italia, realizza iniziative quali “Bici in treno” “Vivere il treno sci”
(temi speciali per il tempo libero).
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Lascia il colosso pubblico per avviare, di fatto, la liberalizzazione del trasporto merci creando
“Strade ferrate del Monferrato SFM”, dopo un iter burocratico che inizia il 13 gennaio 1997 e
termina il 20 luglio 2000.
Nel 2003 SFM si trasformerà in Railion Italia, nel 2007 il pacchetto di maggioranza passa a
Deutsche Bank e Giuseppe Arena, con un gruppo di imprenditori piemontesi, dà vita ad
Arenaways, di cui è Amministratore Delegato.
Arenaways cura la gestione dei convoglio treno + auto al seguito di Autozug (tedesca) e Autosclap
(olandese) che fanno capo ad Alessandria.
Qui i viaggiatori trovano anche una ciotola d’acqua per i loro cani che li hanno accompagnati!
La sfida con il colosso pubblico adesso corre sui binari delle linee Torino – Milano - Pavia –
Alessandria – Asti – Torino con 16 corse quotidiane di “Rapido” un nome che evoca lontani ricordi
di quando questi treni partivano esoprattutto... arrivavano in orario.
Rapido, progettato e pensato per i pendolari, è costruito con criteri innovativi, con una elevata
personalizzazione: i sedili ergonomici, prese di corrente per ricaricare i telefonini, possibilità di
utilizzare i notebook e un sofisticato sistema informativo di bordo.
Se i pendolari di Trenitalia lamentano ritardi, scarsa pulizia, su Rapido potranno acquistare prodotti
tipici nelle apposite botteghe, lasciare l’abito da lavoro a stirare al mattino per ritirarlo la sera...
Arena vuole dimostrare che “è possibile far viaggiare treni belli e puliti, applicare i contratti
collettivi di lavoro senza contributi pubblici
Con un coefficiente di riempimento dei posti del 30% si coprono i costi (“ogni passeggero in più
sarà utile...” sostiene Arena) e per il 2011 sono previsti 1milione di passeggeri trasportati e un
giro d’affari di 12 milioni di Euro.
Tutte queste novità (abissali per il servizio pubblico) Giuseppe Arena, iscritto anche a
Federmanager Alessandria, le aveva raccontate nel meet-up del 30 marzo u.s. che aveva come tema
“Scelte professionali o scelte di vita?”, sottolineando molto bene le motivazioni che lo avevano
spinto a dar vita al suo progetto.
Se per molti il lavoro è semplicemente un mezzo per avere una disponibilità economica, per altri
viceversa è autorealizzazione professionale e assorbe una parte importante della vita; per qualcuno
addirittura è una scelta di vita indipendentemente dagli aspetti economici.
Giuseppe Arena dimostra come a volte il confine tra imprenditoria e dirigenza sia molto sottile,
come innovazione e rischio contraddistinguano i reciproci ruoli e come si possa essere manager
importanti condividendo i valori di Federmanager.
Alessandria, 3 novembre 2010
Sergio Favero
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Il talento e la passione, esperienze di una vita dove l'impegno e la creatività si uniscono in un mestiere che non si finisce mai di imparare
lunedì 29 novembre 2010
giovedì 11 novembre 2010
Abbattimento del ponte Cittadella ad Alessandria
Prima, durante e dopo l'abbattimento, molto contestato, del ponte Cittadella numerosi cittadini, amministratori, politici e tecnici hanno fatto sentire la propria voce in un coro equanime di consensi e dissensi. Ora riportiamo la voce di Italia Nostra in occasione dell'anniversario della terribile alluvione del '94
Associazione Nazionale per la Tutela del Patrimonio
Storico, Artistico e Naturale della Nazione
Sezione di Alessandria
Via Brescia 9, 15100 Alessandria
tel.: 0131 304030 fax: 0131 304031
e-mail: alessandria@italianostra.org
03/11/2010
Anniversario alluvione 1994 :Enzio Notti, presidente onorario della sezione di Alessandria di Italia Nostra,ha rilasciato la seguente dichiarazione:
Il 16° anniversario della gravissima alluvione del ’94 si avvicina mentre le abbondanti precipitazioni di questi giorni hanno creato apprensione fra i cittadini di Alessandria soprattutto nelle zone rivierasche del Tanaro. Proprio le preoccupazioni dei nostri concittadini ci inducono a porre con forza alle Autorità Comunali, Provinciali e Regionali una domanda: “Come mai non state facendo nulla per impedire il ripetersi di alluvioni come quella del ’94?” .
E’ noto che L’AUTORITÀ DI BACINO DEL PO ha scritto ufficialmente che nel caso di precipitazioni come quella che sedici anni provocò l’esondazione, la piena che investirebbe la città di Alessandria sarebbe ancora più disastrosa,viste le arginature del Tanaro realizzate a monte di Asti ed Alba !
Noi Vi chiediamo se non ritenete che il modo migliore di ricordare le vittime del 1994 sia quello di agire concretamente per la realizzazione delle casse di espansione in grado di fermare l’ultimo metro (quello disastroso!) dell’onda di piena con un costo contenuto se paragonato ai gravi danni che furono causati e sarebbero ulteriormente causati a tutta la collettività: con meno di 50 milioni di euro si metterebbe definitivamente in sicurezza la città! (sempre che si facciano le casse di espansione a regola d’arte con arginatura in terra e non con assurdi mastodontici progetti di cementificazione).
Quindi con una spesa inferiore o al più equivalente a quella del progettato ponte monumentale Meier si salvaguarderebbe la città non solo per l’oggi ma anche per l’ avvenire, evidenziandosi ancora una volta quanto sia stato del tutto inutile (oltre che delittuoso) abbattere il vincolato ponte Cittadella , assolutamente ininfluente per l’alluvione del 1994!
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Associazione Nazionale per la Tutela del Patrimonio
Storico, Artistico e Naturale della Nazione
Sezione di Alessandria
Via Brescia 9, 15100 Alessandria
tel.: 0131 304030 fax: 0131 304031
e-mail: alessandria@italianostra.org
03/11/2010
Anniversario alluvione 1994 :Enzio Notti, presidente onorario della sezione di Alessandria di Italia Nostra,ha rilasciato la seguente dichiarazione:
Il 16° anniversario della gravissima alluvione del ’94 si avvicina mentre le abbondanti precipitazioni di questi giorni hanno creato apprensione fra i cittadini di Alessandria soprattutto nelle zone rivierasche del Tanaro. Proprio le preoccupazioni dei nostri concittadini ci inducono a porre con forza alle Autorità Comunali, Provinciali e Regionali una domanda: “Come mai non state facendo nulla per impedire il ripetersi di alluvioni come quella del ’94?” .
E’ noto che L’AUTORITÀ DI BACINO DEL PO ha scritto ufficialmente che nel caso di precipitazioni come quella che sedici anni provocò l’esondazione, la piena che investirebbe la città di Alessandria sarebbe ancora più disastrosa,viste le arginature del Tanaro realizzate a monte di Asti ed Alba !
Noi Vi chiediamo se non ritenete che il modo migliore di ricordare le vittime del 1994 sia quello di agire concretamente per la realizzazione delle casse di espansione in grado di fermare l’ultimo metro (quello disastroso!) dell’onda di piena con un costo contenuto se paragonato ai gravi danni che furono causati e sarebbero ulteriormente causati a tutta la collettività: con meno di 50 milioni di euro si metterebbe definitivamente in sicurezza la città! (sempre che si facciano le casse di espansione a regola d’arte con arginatura in terra e non con assurdi mastodontici progetti di cementificazione).
Quindi con una spesa inferiore o al più equivalente a quella del progettato ponte monumentale Meier si salvaguarderebbe la città non solo per l’oggi ma anche per l’ avvenire, evidenziandosi ancora una volta quanto sia stato del tutto inutile (oltre che delittuoso) abbattere il vincolato ponte Cittadella , assolutamente ininfluente per l’alluvione del 1994!
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giovedì 4 novembre 2010
Formazione su misura:è partito il progetto FEDERMANAGER ACADEMY
Ad Alessandria il corso di Risk Management per Dirigenti d’Azienda
Il tema della formazione è sempre in evidenza, quando si tratta di indicare gli ingredienti per la ricetta dello sviluppo del nostro sistema industriale. Più difficile è individuare programmi di formazione efficaci,che rispondano ai bisogni delle aziende e soprattutto dei potenziali fruitori.
Infatti, non solo è importante la scelta del contenuto ed il livello della docenza, ma anche la formula dei corsi, che deve avere una taglia compatibile con gli impegni di chi è in attività e consentire a coloro che stanno cercando un’occupazione di non essere gravati da costi che possono risultare vincolanti.
Il progetto FEDERMANAGER ACADEMY risponde a questi requisiti, operando a livello nazionale,disponendo dei fondi erogati da FONDIRIGENTI (il fondo paritetico per la formazione costituito da Confindustria e Federmanager).
Le associazioni territoriali di FEDERMANAGER si adoperano per dare supporto e pubblicità al progetto, mentre gli enti formatori sono scelti tra quelli che offrono le migliori garanzie di qualità.
E’ recentemente partita, a livello nazionale, la fase pilota di ACADEMY, che vede otto associazioni FEDERMANAGER impegnate nel sostegno logistico e nel contatto con i dirigenti delle PMI che possiedono i requisiti richiesti per la partecipazione al corso (aziende iscritte a Fondirigenti, con meno di 250 dipendenti e fatturato inferiore a 50 milioni di Euro), senza tralasciare la possibilità di raggiungere coloro che sono senza occupazione da non più di 12 mesi.
Due sono i corsi previsti in questa fase: “Risk management” che si propone di fornire al dirigente le competenze manageriali di base per la gestione dei rischi industriali e “One way to success” con l’obiettivo di sostenere la crescita delle competenze manageriali di dirigenti occupati o inoccupati, attraverso proposte di formazioni innovative.
FEDERMANAGER ALESSANDRIA è una delle otto associazioni-pilota ed ha organizzato il 15
ottobre scorso una sessione del corso “Risk Management”, tenuto presso i locali di Confindustria Alessandria da Giovanni Favero e Mario Ferrari, docenti della AON, società che è leader mondiale nei servizi di gestione del rischio. Il corso si è articolato su due momenti formativi: in aula (8 ore) e in modalità e-learning (circa 15 ore): questa formula consente, senza perdita di efficacia, un grado di flessibilità certamente apprezzabile da chi si confronta giornalmente con i problemi di un’attività ricca di impegni.
La giornata in aula inizia con le introduzioni del direttore di Confindustria Alessandria Fabrizio Riva e del vice presidente di Federmanager Francesco Bausone che porta anche i saluti del presidente Sergio Favero impossibilitato a partecipare. I docenti, dopo una breve presentazione del corso, entrano nel vivo del soggetto da trattare. Nella prima fase, partendo dal concetto di rischio e dalla sua percezione, passano in rassegna il ruolo dei media, la teoria del contagio dei pensieri e, attraverso cenni di neurobiologia e psicologia economica, esplorano i comportamenti umani di fronte al rischio.
Nella parte successiva il corso entra in maniera più specifica nel tema della giornata, descrivendo i rischi “puri” e quelli “speculativi” nel privato e in azienda, per arrivare alle soluzioni proposte dal risk management.
La gestione del rischio può essere di tre tipi: esternalizzata (insurance buyer), ottimizzata dal punto di vista finanziario (insurance manager) o gestita all’interno dell’azienda tramite il risk manager).
Viene illustrata la struttura del processo di risk management, che mostra in modo sintetico ma completo gli strumenti e le politiche per la gestione dei rischi per le fasi di identificazione e quantificazione, controllo e finanziamento.
Infine, è presentato il “decalogo” del risk manager con una lista delle competenze professionali necessarie per una copertura efficace del ruolo.
Le nostre impressioni sono quelle di una giornata densa e ricca di spunti, ma soprattutto “viva”, grazie alla formula interattiva che ha visto la partecipazione dei discenti, su temi concreti e casi reali.
A proposito della partecipazione al corso, registriamo il successo pieno dell’iniziativa attraverso le parole del docente Giovanni Favero: “29 partecipanti proattivi, un’ottima location , un light lunch veloce (come si conviene in tali eventi ma caratteristico), efficacissima segreteria e coordinamento. I questionari di soddisfazione dei partecipanti mi provocano eccessi di autostima.. Se tutte le Associazioni territoriali lavorassero così, FEDERMANAGER ACADEMY sarebbe una piacevolissima avventura ed un’intrapresa sicuramente vincente”.
Da parte nostra, un grazie ai docenti e ai partecipanti, a Confindustria Alessandria che ci ha ospitato e, in particolare, all’associazione Federmanager di Genova per la collaborazione e infine la soddisfazione di aver iniziato col piede giusto questo importante progetto al servizio dei nostri associati.
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Il tema della formazione è sempre in evidenza, quando si tratta di indicare gli ingredienti per la ricetta dello sviluppo del nostro sistema industriale. Più difficile è individuare programmi di formazione efficaci,che rispondano ai bisogni delle aziende e soprattutto dei potenziali fruitori.
Infatti, non solo è importante la scelta del contenuto ed il livello della docenza, ma anche la formula dei corsi, che deve avere una taglia compatibile con gli impegni di chi è in attività e consentire a coloro che stanno cercando un’occupazione di non essere gravati da costi che possono risultare vincolanti.
Il progetto FEDERMANAGER ACADEMY risponde a questi requisiti, operando a livello nazionale,disponendo dei fondi erogati da FONDIRIGENTI (il fondo paritetico per la formazione costituito da Confindustria e Federmanager).
Le associazioni territoriali di FEDERMANAGER si adoperano per dare supporto e pubblicità al progetto, mentre gli enti formatori sono scelti tra quelli che offrono le migliori garanzie di qualità.
E’ recentemente partita, a livello nazionale, la fase pilota di ACADEMY, che vede otto associazioni FEDERMANAGER impegnate nel sostegno logistico e nel contatto con i dirigenti delle PMI che possiedono i requisiti richiesti per la partecipazione al corso (aziende iscritte a Fondirigenti, con meno di 250 dipendenti e fatturato inferiore a 50 milioni di Euro), senza tralasciare la possibilità di raggiungere coloro che sono senza occupazione da non più di 12 mesi.
Due sono i corsi previsti in questa fase: “Risk management” che si propone di fornire al dirigente le competenze manageriali di base per la gestione dei rischi industriali e “One way to success” con l’obiettivo di sostenere la crescita delle competenze manageriali di dirigenti occupati o inoccupati, attraverso proposte di formazioni innovative.
FEDERMANAGER ALESSANDRIA è una delle otto associazioni-pilota ed ha organizzato il 15
ottobre scorso una sessione del corso “Risk Management”, tenuto presso i locali di Confindustria Alessandria da Giovanni Favero e Mario Ferrari, docenti della AON, società che è leader mondiale nei servizi di gestione del rischio. Il corso si è articolato su due momenti formativi: in aula (8 ore) e in modalità e-learning (circa 15 ore): questa formula consente, senza perdita di efficacia, un grado di flessibilità certamente apprezzabile da chi si confronta giornalmente con i problemi di un’attività ricca di impegni.
La giornata in aula inizia con le introduzioni del direttore di Confindustria Alessandria Fabrizio Riva e del vice presidente di Federmanager Francesco Bausone che porta anche i saluti del presidente Sergio Favero impossibilitato a partecipare. I docenti, dopo una breve presentazione del corso, entrano nel vivo del soggetto da trattare. Nella prima fase, partendo dal concetto di rischio e dalla sua percezione, passano in rassegna il ruolo dei media, la teoria del contagio dei pensieri e, attraverso cenni di neurobiologia e psicologia economica, esplorano i comportamenti umani di fronte al rischio.
Nella parte successiva il corso entra in maniera più specifica nel tema della giornata, descrivendo i rischi “puri” e quelli “speculativi” nel privato e in azienda, per arrivare alle soluzioni proposte dal risk management.
La gestione del rischio può essere di tre tipi: esternalizzata (insurance buyer), ottimizzata dal punto di vista finanziario (insurance manager) o gestita all’interno dell’azienda tramite il risk manager).
Viene illustrata la struttura del processo di risk management, che mostra in modo sintetico ma completo gli strumenti e le politiche per la gestione dei rischi per le fasi di identificazione e quantificazione, controllo e finanziamento.
Infine, è presentato il “decalogo” del risk manager con una lista delle competenze professionali necessarie per una copertura efficace del ruolo.
Le nostre impressioni sono quelle di una giornata densa e ricca di spunti, ma soprattutto “viva”, grazie alla formula interattiva che ha visto la partecipazione dei discenti, su temi concreti e casi reali.
A proposito della partecipazione al corso, registriamo il successo pieno dell’iniziativa attraverso le parole del docente Giovanni Favero: “29 partecipanti proattivi, un’ottima location , un light lunch veloce (come si conviene in tali eventi ma caratteristico), efficacissima segreteria e coordinamento. I questionari di soddisfazione dei partecipanti mi provocano eccessi di autostima.. Se tutte le Associazioni territoriali lavorassero così, FEDERMANAGER ACADEMY sarebbe una piacevolissima avventura ed un’intrapresa sicuramente vincente”.
Da parte nostra, un grazie ai docenti e ai partecipanti, a Confindustria Alessandria che ci ha ospitato e, in particolare, all’associazione Federmanager di Genova per la collaborazione e infine la soddisfazione di aver iniziato col piede giusto questo importante progetto al servizio dei nostri associati.
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mercoledì 6 ottobre 2010
Decreto Legge 231/2001 e la Responsabilità del Dirigente d’Azienda
Su questo importante tema che coinvolge tutte le aziende italiane e di conseguenza i loro top manager, imprenditori e dirigenti, si sono svolti alcuni incontri ad Asti. L’iniziativa rientra nei programmi formativi promossi da Confindustria e da Federmanager di AL, AT e CN con il contributo di Fondirigenti. La realizzazione di tutti i corsi è stata affidata a Per.form S.c.a.r.l. che opera in ambito Unione Industriale AT. L’ottima regia del suo direttore, la dr.ssa Claudia Ferraro, ha fatto si che attorno a questo intenso programma si sia polarizzato l’interesse di numerosi dirigenti delle aziende operanti nelle province su indicate.
Non è stato sorprendente scoprire quanto sia complessa la materia su cui insiste questa legge che con i suoi risvolti di responsabilità penale tende a preoccupare i diversi responsabili.
Gli aspetti legali, penali e civili, con quelli di organizzazione degli adempimenti preventivi sono stati efficacemente presentati dall’ avv, Bortolotto e dall’ing. Roggero davanti ad uditori moto attenti ed interroganti.
Lo scopo di questa formazione si limitava a sensibilizzare i partecipanti rimandando a specifici interventi sul campo la trattazione delle problematiche di ciascuna azienda. In effetti il legislatore ha prodotto numerose ed articolate leggi in materia di sicurezza a 360° ma i diversi approcci e scopi di ciascuna di esse hanno poi finito per incrociarsi rendendone difficile la comprensione e particolarmente in termini di corretta applicazione formale e sostanziale. Come oramai siamo abituati a vedere, spesso il legislatore non prende in considerazione quale sia la struttura delle società destinatarie dei provvedimenti e così tende a penalizzare le micro-piccole aziende che in termini numerici sono oltre il 93% del totale in Italia. A questo si aggiunga quanto siano diversi i comportamenti degli enti di controllo che oscillano tra ignorarne completamente l’esistenza e applicarne in modo vessativo gli articoli e magari interpretandone soggettivamente il senso.
Ovviamente non è difficile condividere gli obiettivi delle norme ma troppo spesso, e il D.L.231 è tra questi, si tratta di aggiungere costi ai costi senza che ciò produca un ritorno inducendo così le aziende a sostenerli. Lo Stato è da una parte e il mondo produttivo dall’altra. La crisi c’è, la competitività cala, i disoccupati aumentano, il lavoro nero dilaga sotto il peso delle necessità primarie e degli oneri fiscali ma si continua con indefessa volontà a burocratizzare.
Mercato del lavoro e prospettive
Un’intervista ad Adriano Teso del 26 luglio 2010
- Con Adriano Teso, imprenditore, sottosegretario al Lavoro del primo governo Berlusconi e socio di Libertiamo, è sempre interessante discutere di economia e di politica economica. Il suo ‘polso’ da industriale e la sua impostazione squisitamente liberale ne fanno un giudice severo – e a volte impietoso – della realtà italiana.
Ed è inevitabile che con lui il discorso scivoli subito sulla vicenda più calda e simbolica degli ultimi giorni, l’annuncio dell’apertura di un importante stabilimento di produzione della Fiat in Serbia: “Le produzioni e il lavoro – riflette Teso – insomma la produzione di ricchezza, non possono che andare laddove il sistema locale, cioè l’insieme di logistica, pressione fiscale, quantità ore di lavoro e ambiente normativo, consente i maggiori guadagni di competitività”.
.Ed il problema quindi “non è quello di contrastare le delocalizzazioni, ma rendere competitivi i paesi che, per varie ragioni, non lo sono più. Qualsiasi impresa per sopravvivere e produrre ricchezza va dove il contesto gli permette di competere e di affermarsi. Il gruppo Fiat l’ha detto chiaramente: a queste condizioni non ci sono chance per la Fabbrica Italia…”.
E’ la solita questione del costo del lavoro? “No, o almeno non è l’elemento cardine. Se è vero che nelle tasche dei collaboratori resta circa il 40 per cento di quanto lo specifico posto di lavoro è costato all’imprenditore, una pressione sconosciuta alla gran parte delle società europee, è altrettanto vero che il costo del lavoro sia solo uno – e non necessariamente il più importante – dei problemi. Le faccio un esempio: da Milano è spesso più conveniente spedire le merci nel mondo dal porto di Amburgo anziché da quello di Genova… le pare normale?”
Crede che la vicenda di Pomigliano sia stata determinante per lo ‘strappo’ di Marchionne? “Difficile affermare il contrario, c’è una parte del sindacato e dell’opinione pubblica che si ostina a non riconoscere l’inevitabilità di alcuni sacrifici, i diritti di qualche decennio fa sono diventati privilegi ed in quanto tali non sono più tollerabili”.
E la politica? E il centrodestra, in particolare? “La sensazione è che, partendo e da un programma liberale – comunque confermato anche nell’ultima campagna elettorale e capace di stimolare una porzione importante di elettorato – il PdL al governo non riesca ad evitare che alcuni propri ministri vengano attratti dalle istanze politico-corporative di questo o quel gruppo d’interesse. Per fare un esempio, pensiamo al tentativo di riformare le libere professioni irrobustendo il potere degli Ordini! Anche sulla pubblica amministrazione, ci sono stati timidi passi in avanti, non sufficienti: bene il blocco degli aumenti retributivi, in un settore che ha visto i salari crescere ben oltre la produttività nell’ultimo decennio, ma mi piacerebbe vedere un serio piano di aumento della produttività e dell’orario di lavoro dei pubblici dipendenti, come avvenuto in Germania”.
Rispetto ad un tema che gli sta particolarmente a cuore, come il mercato del lavoro, Teso mostra sconforto: “Non vedo praticamente passi in avanti. Anziché riformare nel profondo il diritto del lavoro ed il welfare, si sventola la bandierina della partecipazione azionaria dei dipendenti, un istituto che è parente stretto della cogestione…”.
Ed il sistema bancario? “Il sistema bancario italiano è sempre stato prudente, quantomeno nella gestione ordinaria Leggere i bilanci delle banche non è mai facile, ho la sensazione che le banche italiane siano state più virtuose di molte concorrenti straniere. Ma se il sistema bancario ha finora tenuto, sono i rischi del sistema Italia a preoccupare. Molte banche hanno un massiccio carico di crediti, soprattutto rispetto alle banche italiane: un fenomeno intenso di fallimento le danneggerebbe. Ma resto ottimista: subiranno qualche perdita, ma sono convinto che il sistema reggerà, anche se la scarsità di impieghi redditizi si farà sentire”. Insomma, “in un paese in cui è sempre più difficile fare impresa e produrre innovazione, il rischio del settore finanziario è quasi quello di non sapere dove investire i risparmi”.
Concludiamo con una domanda avulsa (ma non proprio) dalla discussione: cosa serve per fare impresa? “Certamente creatività, tolleranza, libertà… ma considero fondamentali il rigore e la responsabilità personale. Vede, il capitalismo è morto, la gran parte delle imprese di successo non nasce dal capitale, ma dalle idee, dalla scommessa, dal rigore del lavoro…” E visto che “la cultura imprenditoriale risente della cultura più diffusa”, aver avuto il più grande partito comunista ha sicuramente influenzato la cultura del paese e corrotto il senso di responsabilità individuale.
Per Teso “troppo spesso, anche l’imprenditore italiano è figlio della cultura del “qualcuno ci deve pensare”.
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- Con Adriano Teso, imprenditore, sottosegretario al Lavoro del primo governo Berlusconi e socio di Libertiamo, è sempre interessante discutere di economia e di politica economica. Il suo ‘polso’ da industriale e la sua impostazione squisitamente liberale ne fanno un giudice severo – e a volte impietoso – della realtà italiana.
Ed è inevitabile che con lui il discorso scivoli subito sulla vicenda più calda e simbolica degli ultimi giorni, l’annuncio dell’apertura di un importante stabilimento di produzione della Fiat in Serbia: “Le produzioni e il lavoro – riflette Teso – insomma la produzione di ricchezza, non possono che andare laddove il sistema locale, cioè l’insieme di logistica, pressione fiscale, quantità ore di lavoro e ambiente normativo, consente i maggiori guadagni di competitività”.
.Ed il problema quindi “non è quello di contrastare le delocalizzazioni, ma rendere competitivi i paesi che, per varie ragioni, non lo sono più. Qualsiasi impresa per sopravvivere e produrre ricchezza va dove il contesto gli permette di competere e di affermarsi. Il gruppo Fiat l’ha detto chiaramente: a queste condizioni non ci sono chance per la Fabbrica Italia…”.
E’ la solita questione del costo del lavoro? “No, o almeno non è l’elemento cardine. Se è vero che nelle tasche dei collaboratori resta circa il 40 per cento di quanto lo specifico posto di lavoro è costato all’imprenditore, una pressione sconosciuta alla gran parte delle società europee, è altrettanto vero che il costo del lavoro sia solo uno – e non necessariamente il più importante – dei problemi. Le faccio un esempio: da Milano è spesso più conveniente spedire le merci nel mondo dal porto di Amburgo anziché da quello di Genova… le pare normale?”
Crede che la vicenda di Pomigliano sia stata determinante per lo ‘strappo’ di Marchionne? “Difficile affermare il contrario, c’è una parte del sindacato e dell’opinione pubblica che si ostina a non riconoscere l’inevitabilità di alcuni sacrifici, i diritti di qualche decennio fa sono diventati privilegi ed in quanto tali non sono più tollerabili”.
E la politica? E il centrodestra, in particolare? “La sensazione è che, partendo e da un programma liberale – comunque confermato anche nell’ultima campagna elettorale e capace di stimolare una porzione importante di elettorato – il PdL al governo non riesca ad evitare che alcuni propri ministri vengano attratti dalle istanze politico-corporative di questo o quel gruppo d’interesse. Per fare un esempio, pensiamo al tentativo di riformare le libere professioni irrobustendo il potere degli Ordini! Anche sulla pubblica amministrazione, ci sono stati timidi passi in avanti, non sufficienti: bene il blocco degli aumenti retributivi, in un settore che ha visto i salari crescere ben oltre la produttività nell’ultimo decennio, ma mi piacerebbe vedere un serio piano di aumento della produttività e dell’orario di lavoro dei pubblici dipendenti, come avvenuto in Germania”.
Rispetto ad un tema che gli sta particolarmente a cuore, come il mercato del lavoro, Teso mostra sconforto: “Non vedo praticamente passi in avanti. Anziché riformare nel profondo il diritto del lavoro ed il welfare, si sventola la bandierina della partecipazione azionaria dei dipendenti, un istituto che è parente stretto della cogestione…”.
Ed il sistema bancario? “Il sistema bancario italiano è sempre stato prudente, quantomeno nella gestione ordinaria Leggere i bilanci delle banche non è mai facile, ho la sensazione che le banche italiane siano state più virtuose di molte concorrenti straniere. Ma se il sistema bancario ha finora tenuto, sono i rischi del sistema Italia a preoccupare. Molte banche hanno un massiccio carico di crediti, soprattutto rispetto alle banche italiane: un fenomeno intenso di fallimento le danneggerebbe. Ma resto ottimista: subiranno qualche perdita, ma sono convinto che il sistema reggerà, anche se la scarsità di impieghi redditizi si farà sentire”. Insomma, “in un paese in cui è sempre più difficile fare impresa e produrre innovazione, il rischio del settore finanziario è quasi quello di non sapere dove investire i risparmi”.
Concludiamo con una domanda avulsa (ma non proprio) dalla discussione: cosa serve per fare impresa? “Certamente creatività, tolleranza, libertà… ma considero fondamentali il rigore e la responsabilità personale. Vede, il capitalismo è morto, la gran parte delle imprese di successo non nasce dal capitale, ma dalle idee, dalla scommessa, dal rigore del lavoro…” E visto che “la cultura imprenditoriale risente della cultura più diffusa”, aver avuto il più grande partito comunista ha sicuramente influenzato la cultura del paese e corrotto il senso di responsabilità individuale.
Per Teso “troppo spesso, anche l’imprenditore italiano è figlio della cultura del “qualcuno ci deve pensare”.
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Crisi occupazionale
Ormai dal Settembre 2008 l'Italia non ha una piena occupazione. Abbiamo importato milioni di stranieri, offrendo loro incarichi in tutte le regioni. Ma con la crisi, il numero di disoccupati è in continuo aumento. E non sono più persone che non cercano un qualsiasi impiego legale per mantenersi, ma ambiscono ad un lavoro desiderato, in grado di appagare le proprie ambizioni personali. Sono persone che non trovano più un qualsiasi lavoro.
.La competizione mondiale sta dimostrando che la produzione del nostro Paese (ma anche quelle di Francia e Germania) non sono competitive e ciò porta a non avere lavoro sufficiente per tutti. E tutto questo non accade perché le imprese non hanno produttività orarie o qualità di prodotti sufficienti, ma perché su loro grava la improduttività del sistema Italia.
E a queste cose non possono che porre rimedio gli italiani tutti, acquisendo una miglior cultura economica, produttiva ed etica, e la politica, cui spetta mettere mano a profonde riforme strutturali e a nulla servono occupazioni di aziende in chiusura, scioperi e quant'altro.
Ma ricordiamo che un rapporto di lavoro non può essere costruttivo o produttivo in forza d’obblighi di legge ma, è basato sulla collaborazione.
Ogni giorno il "mercato" (in pratica ognuno di noi quando diventa cliente) giudica e vota i risultati di questa partecipazione, acquistandone o no prodotti e servizi.
L’imprenditore non può che esserne il massimo responsabile, giacché decide in che modo e con chi ottenere gli esiti vincenti.
Se questi non premiasse la collaborazione di chi aiuta l’azienda ad ottenere risultati positivi, sarebbe un cattivo imprenditore e diventerebbe la prima vittima di un tale miope comportamento.
Un buon industriale deve provvedere a sostituire quanti non sono all’altezza del compito ed a dimensionare gli organici alle evoluzioni del mercato e delle tecnologie.
La cessazione di un rapporto di lavoro non deve trasformarsi in un dramma, ma semplicemente, nella ricerca di una professione più adatta alle proprie capacità ed attitudini, con la tranquillità fornita da adeguati ammortizzatori sociali.
Il governo deve perseguire l’obiettivo affinché ogni cittadino italiano abbia la possibilità di ottenere un posto di lavoro legale, per mantenere se stesso ed i propri figli fino all’età scolastica e potersi permettere una dignitosa rendita da pensione quando non sarà più in grado di lavorare, oppure avrà accumulato un capitale pensionistico sufficiente per non pesare sulla collettività.
.La competizione mondiale sta dimostrando che la produzione del nostro Paese (ma anche quelle di Francia e Germania) non sono competitive e ciò porta a non avere lavoro sufficiente per tutti. E tutto questo non accade perché le imprese non hanno produttività orarie o qualità di prodotti sufficienti, ma perché su loro grava la improduttività del sistema Italia.
E a queste cose non possono che porre rimedio gli italiani tutti, acquisendo una miglior cultura economica, produttiva ed etica, e la politica, cui spetta mettere mano a profonde riforme strutturali e a nulla servono occupazioni di aziende in chiusura, scioperi e quant'altro.
Ma ricordiamo che un rapporto di lavoro non può essere costruttivo o produttivo in forza d’obblighi di legge ma, è basato sulla collaborazione.
Ogni giorno il "mercato" (in pratica ognuno di noi quando diventa cliente) giudica e vota i risultati di questa partecipazione, acquistandone o no prodotti e servizi.
L’imprenditore non può che esserne il massimo responsabile, giacché decide in che modo e con chi ottenere gli esiti vincenti.
Se questi non premiasse la collaborazione di chi aiuta l’azienda ad ottenere risultati positivi, sarebbe un cattivo imprenditore e diventerebbe la prima vittima di un tale miope comportamento.
Un buon industriale deve provvedere a sostituire quanti non sono all’altezza del compito ed a dimensionare gli organici alle evoluzioni del mercato e delle tecnologie.
La cessazione di un rapporto di lavoro non deve trasformarsi in un dramma, ma semplicemente, nella ricerca di una professione più adatta alle proprie capacità ed attitudini, con la tranquillità fornita da adeguati ammortizzatori sociali.
Il governo deve perseguire l’obiettivo affinché ogni cittadino italiano abbia la possibilità di ottenere un posto di lavoro legale, per mantenere se stesso ed i propri figli fino all’età scolastica e potersi permettere una dignitosa rendita da pensione quando non sarà più in grado di lavorare, oppure avrà accumulato un capitale pensionistico sufficiente per non pesare sulla collettività.
venerdì 6 agosto 2010
Il percorso che va oltre la crisi
Nel 2009 il paese ha perso 7 punti di PIL rispetto all’anno precedente, oltre 700 mila posti di lavoro, la produzione industriale è crollata del 25%, per cui siamo ritornati ai livelli del 1985.
Sul piano politico istituzionale si evidenzia drammaticamente l’incapacità di ridurre la spesa pubblica che è anche peggiorata (si spende troppo e male), con la conseguenza che il costo dell’energia, trasporti e dei servizi costituisce una “palla al piede” per la nostra capacità produttiva.
In questo contesto le aziende hanno dovuto imparare a proprie spese la sfida dell’internazionalizzazione: una storia fatta di lunghi viaggi, di attese estenuanti, qualche stretta di mano, colossali delusioni, ma anche grandi successi. Hanno imparato sicuramente una cosa: che per competere all’estero non è più sufficiente lo spirito dei pionieri e a complicare ulteriormente le cose è arrivata la crisi.
Il rapporto del Gruppo congiunto Giovani Imprenditori di Confindustria e Giovani dirigenti di Federmanager dell’aprile 2010 avente per oggetto la ricerca “Internazionalizzare il governo dell’impresa”, evidenzia che la chiave per vincere la sfida dell’internazionalizzazione e del “dopo crisi” sarà ancora una volta nelle persone, perchè si possono clonare i prodotti di eccellenza e di successo, raggiungere buoni standard di qualità, ecc., ma non riprodurre valori intangibili come l’intuito, l’inventiva, il gusto del bello che sono il nostro retaggio e che aiutano a formare quella cultura d’impresa che accomuna imprenditori e dirigenti.
Le “multinazionali tascabili”, come le ha definite a suo tempo il Censis, sono una conseguenza lampante e, ancora oggi esercitano un ruolo importante nel nostro tessuto produttivo per la loro capacità di penetrare i mercati esteri.
L’avvio della crisi ha posto problemi di riposizionamento delle imprese ed in particolare della qualità delle risorse umane che le governano (impiegati e dirigenti) con l’effetto del graduale spostamento dell’ottica dalla dimensione locale o nazionale a quella internazionale, non solo per i mercati di sbocco, ma anche per il quadro di riferimento dei fornitori, di provenienza delle materie prime, delle risorse finanziarie. Se si opera in questa direzione si potrà non solo attraversare la crisi per sopravvivere, ma avviare un altro ciclo di sviluppo.
Le difficoltà che il lavoro del Gruppo, coordinato da Nadio Delai, evidenzia sono: la scarsa famigliarità con le lingue straniere e, parallelamente, le modeste esperienze maturate all’estero; la difficoltà a lunghe permanenze in ambienti molto diversi da quelli del nostro paese da parte dei dirigenti, nonchè gli elevati costi che l’azienda deve sostenere.
Le proposte e i suggerimenti avanzati sono la cura di processi di motivazione del personale, che, prima ancora della formazione, puntino al coinvolgimento attivo e motivato del dipendente e della sua famiglia (che in un modo o nell’altro ne risulterà coinvolta). Paradossalmente il livello di consenso più ampio si è avuto dai giovani manager, rispetto ai giovani imprenditori.
Viceversa, l’alternativa potrebbe essere di puntare su figure provenienti dall’esterno dell’azienda, più dinamici e disponibili a questo processo di internazionalizzazione oppure adottare modalità di reclutamento del personale “estero su estero”considerando che i laureati degli altri paesi costano meno di quelli italiani e sono più disponibili a risiedere in altri paesi.
L’invito pressante che il Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha fatto agli imprenditori nell’ultima assemblea è stato: “Dobbiamo superare le barriere psicologiche che ostacolano – ha detto – aggregazioni, alleanze, deleghe ai manager. Il controllo e la gestione familiare sono punti di forza finchè non costringono l’impresa a restare troppo piccola per fare ricerca e innovazione, per internazionalizzarsi”
La crisi e la reazione delle aziende
La crisi è stata affrontata in modo particolarmente attivo sul piano del riposizionamento, della ristrutturazione e della riorganizzazione da parte di tre aziende su quattro, secondo i giovani imprenditori e di due aziende su tre, da parte dei giovani manager, con una trasformazione profonda di strategie: una vera e propria “metamorfosi”
Altre aziende viceversa hanno reagito nel modo tradizionale fatto di un progressivo adattamento e di flessibilità continuata per il 40% dei giovani manager e per il 50% delle situazioni, secondo i giovani imprenditori anche se va detto che in questo modo le aziende “si aggiustano” ma non corrono.
Una minoranza, il 5%, secondo i giovani imprenditori e, invece, il 10% per i giovani manager, dichiarano di aspettare con pazienza che la crisi faccia il suo corso, aziende sostanzialmente “attendiste” pronte più a sperare che a confrontarsi con le dinamiche economiche in atto.
Dal gruppo emerge una sostanziale convergenza di opinioni per una minore propensione verso la delocalizzazione produttiva ed una accentuazione delle strategie dirette a sviluppare la rete distributiva all’estero.
Infine per il 64,2% dei giovani imprenditori, contro il 60% dei giovani manager, le aziende hanno risentito della crisi e per il 2010 il risultato sembrerebbe migliore, anche se i giovani manager sono più preoccupati degli imprenditori
Processo di internazionalizzazione più evoluto
Sembra ormai accettato che la crisi ed il suo impatto non costituiscano un fatto passeggero e facilmente riassorbibile; al contrario si intravede un percorso di uscita complesso per l’estensione temporale e per la profondità strutturale dei processi in corso.
Si pensa, ad esempio, di essere di fronte a una vera e propria “mutazione” del modo di fare impresa con la necessità di “alzare l’asticella” della classe dirigente (imprenditori e manager), ricercando alleanze sia “orizzontali” tra imprese simili per essere più forti- mantenendo però una dimensione ridotta – che “verticali” tra imprese complementari, che sappiano integrarsi in una logica di internazionalizzazione evoluta partendo dal presupposto che queste stesse aziende non diventeranno mai nè medie nè tanto grandi.
Dall'inizio del 2008 nell'export di beni è cambiata la tipologia delle aziende interessate: non più il gigantismo ma i micro-settori.
Ma questo export molecolare, “nicchie” che rappresentano il 47% del valore del mercato, conferma che il nostro paese, in termini assoluti, subito dopo la Germania, è primo esportatore mondiale di 288 prodotti, secondo per altri 382 e terzo per 352 con un valore esportato di (100+ 79+ 56) miliardi con 1022 “nicchie” di eccellenza.
Sul piano politico istituzionale si evidenzia drammaticamente l’incapacità di ridurre la spesa pubblica che è anche peggiorata (si spende troppo e male), con la conseguenza che il costo dell’energia, trasporti e dei servizi costituisce una “palla al piede” per la nostra capacità produttiva.
In questo contesto le aziende hanno dovuto imparare a proprie spese la sfida dell’internazionalizzazione: una storia fatta di lunghi viaggi, di attese estenuanti, qualche stretta di mano, colossali delusioni, ma anche grandi successi. Hanno imparato sicuramente una cosa: che per competere all’estero non è più sufficiente lo spirito dei pionieri e a complicare ulteriormente le cose è arrivata la crisi.
Il rapporto del Gruppo congiunto Giovani Imprenditori di Confindustria e Giovani dirigenti di Federmanager dell’aprile 2010 avente per oggetto la ricerca “Internazionalizzare il governo dell’impresa”, evidenzia che la chiave per vincere la sfida dell’internazionalizzazione e del “dopo crisi” sarà ancora una volta nelle persone, perchè si possono clonare i prodotti di eccellenza e di successo, raggiungere buoni standard di qualità, ecc., ma non riprodurre valori intangibili come l’intuito, l’inventiva, il gusto del bello che sono il nostro retaggio e che aiutano a formare quella cultura d’impresa che accomuna imprenditori e dirigenti.
Le “multinazionali tascabili”, come le ha definite a suo tempo il Censis, sono una conseguenza lampante e, ancora oggi esercitano un ruolo importante nel nostro tessuto produttivo per la loro capacità di penetrare i mercati esteri.
L’avvio della crisi ha posto problemi di riposizionamento delle imprese ed in particolare della qualità delle risorse umane che le governano (impiegati e dirigenti) con l’effetto del graduale spostamento dell’ottica dalla dimensione locale o nazionale a quella internazionale, non solo per i mercati di sbocco, ma anche per il quadro di riferimento dei fornitori, di provenienza delle materie prime, delle risorse finanziarie. Se si opera in questa direzione si potrà non solo attraversare la crisi per sopravvivere, ma avviare un altro ciclo di sviluppo.
Le difficoltà che il lavoro del Gruppo, coordinato da Nadio Delai, evidenzia sono: la scarsa famigliarità con le lingue straniere e, parallelamente, le modeste esperienze maturate all’estero; la difficoltà a lunghe permanenze in ambienti molto diversi da quelli del nostro paese da parte dei dirigenti, nonchè gli elevati costi che l’azienda deve sostenere.
Le proposte e i suggerimenti avanzati sono la cura di processi di motivazione del personale, che, prima ancora della formazione, puntino al coinvolgimento attivo e motivato del dipendente e della sua famiglia (che in un modo o nell’altro ne risulterà coinvolta). Paradossalmente il livello di consenso più ampio si è avuto dai giovani manager, rispetto ai giovani imprenditori.
Viceversa, l’alternativa potrebbe essere di puntare su figure provenienti dall’esterno dell’azienda, più dinamici e disponibili a questo processo di internazionalizzazione oppure adottare modalità di reclutamento del personale “estero su estero”considerando che i laureati degli altri paesi costano meno di quelli italiani e sono più disponibili a risiedere in altri paesi.
L’invito pressante che il Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha fatto agli imprenditori nell’ultima assemblea è stato: “Dobbiamo superare le barriere psicologiche che ostacolano – ha detto – aggregazioni, alleanze, deleghe ai manager. Il controllo e la gestione familiare sono punti di forza finchè non costringono l’impresa a restare troppo piccola per fare ricerca e innovazione, per internazionalizzarsi”
La crisi e la reazione delle aziende
La crisi è stata affrontata in modo particolarmente attivo sul piano del riposizionamento, della ristrutturazione e della riorganizzazione da parte di tre aziende su quattro, secondo i giovani imprenditori e di due aziende su tre, da parte dei giovani manager, con una trasformazione profonda di strategie: una vera e propria “metamorfosi”
Altre aziende viceversa hanno reagito nel modo tradizionale fatto di un progressivo adattamento e di flessibilità continuata per il 40% dei giovani manager e per il 50% delle situazioni, secondo i giovani imprenditori anche se va detto che in questo modo le aziende “si aggiustano” ma non corrono.
Una minoranza, il 5%, secondo i giovani imprenditori e, invece, il 10% per i giovani manager, dichiarano di aspettare con pazienza che la crisi faccia il suo corso, aziende sostanzialmente “attendiste” pronte più a sperare che a confrontarsi con le dinamiche economiche in atto.
Dal gruppo emerge una sostanziale convergenza di opinioni per una minore propensione verso la delocalizzazione produttiva ed una accentuazione delle strategie dirette a sviluppare la rete distributiva all’estero.
Infine per il 64,2% dei giovani imprenditori, contro il 60% dei giovani manager, le aziende hanno risentito della crisi e per il 2010 il risultato sembrerebbe migliore, anche se i giovani manager sono più preoccupati degli imprenditori
Processo di internazionalizzazione più evoluto
Sembra ormai accettato che la crisi ed il suo impatto non costituiscano un fatto passeggero e facilmente riassorbibile; al contrario si intravede un percorso di uscita complesso per l’estensione temporale e per la profondità strutturale dei processi in corso.
Si pensa, ad esempio, di essere di fronte a una vera e propria “mutazione” del modo di fare impresa con la necessità di “alzare l’asticella” della classe dirigente (imprenditori e manager), ricercando alleanze sia “orizzontali” tra imprese simili per essere più forti- mantenendo però una dimensione ridotta – che “verticali” tra imprese complementari, che sappiano integrarsi in una logica di internazionalizzazione evoluta partendo dal presupposto che queste stesse aziende non diventeranno mai nè medie nè tanto grandi.
Dall'inizio del 2008 nell'export di beni è cambiata la tipologia delle aziende interessate: non più il gigantismo ma i micro-settori.
Ma questo export molecolare, “nicchie” che rappresentano il 47% del valore del mercato, conferma che il nostro paese, in termini assoluti, subito dopo la Germania, è primo esportatore mondiale di 288 prodotti, secondo per altri 382 e terzo per 352 con un valore esportato di (100+ 79+ 56) miliardi con 1022 “nicchie” di eccellenza.
martedì 13 luglio 2010
Quattro ingredienti del caso F.lli Saclà raccontato “a quattro voci”. VERNAY un esempio di crescita al femminile
Conoscenze, qualità, competenze e abilità
F.LLI SACLÀ ha da sempre operato importanti investimenti circa lo sviluppo delle competenze del
proprio personale. A dimostrazione vi sono 152 corsi svolti negli ultimi quattro anni pari ad una media annua di 3.000 ore tra formazione in aula e addestramento operativo “su campo”. Le diverse iniziative si sono avvalse sia di personale esterno sia di personale interno altamente qualificato ed hanno interessato una popolazione di dipendenti eterogenea fino a raggiungere le 1200 unità, appartenenti ai diversi settori presenti in azienda. “L’opportunità di potersi avvalere di fondi interprofessionali come Fondimpresa – spiega Claudia Ferraro, Responsabile di PER.FORM, ente di formazione dell’Unione Industriale di Asti - ha certamente agevolato l’impegno e l’investimento
dell’Azienda in un percorso già tracciato negli anni precedenti. I piani presentati dal 2008 ad oggi hanno permesso di coinvolgere 283 discenti tra quadri, impiegati ma soprattutto operai, per un totale di 462 ore di formazione in aula e con la nuova modalità didattica di coaching individuale”.
.
La scelta strategica di F.LLI SACLÀ intrapresa ormai da anni, è quella di investire nella formazione al punto tale da farla divenire parte integrante dell’iter lavorativo, anche nella gestione del personale. Questo ha permesso di definire percorsi di crescita professionali a tutti i livelli organizzativi. “Le persone sono il capitale più prezioso che un’Azienda possiede – sottolinea Stefania Delfino Responsabile del Personale di F.LLI SACLÀ - pertanto è doveroso il continuo aggiornamento delle loro competenze che consentono all’azienda di continuare ad essere competitiva sul mercato e leader nel proprio settore di appartenenza”. A dimostrazione del coinvolgimento dell’intera popolazione lavorativa, Lucia Ercole – Responsabile Marketing Direzione Commerciale Italia - è stata la protagonista di uno dei piani formazione attivati lo scorso anno. “Aver saputo cogliere l’occasione di realizzare un percorso di formazione per tutto il comparto commerciale, anche in un momento di forte complessità, è stata una scelta vincente. L’obiettivo è stato quello di fornire, alle persone coinvolte, strumenti appropriati per una comunicazione efficace, per migliorare il proprio approccio nelle relazioni interpersonali per meglio gestire i propri collaboratori e valorizzarne con metodo le peculiarità”.
“I progetti formativi già conclusi o attualmente in corso, come ad esempio quello rivolto al team della Direzione Commerciale Estero, sono il risultato di un grande lavoro di squadra – spiega Chiara Ercole. Decidere di dedicare risorse, con le modalità didattiche più adeguate, allo sviluppo del sapere e del saper fare è sicuramente una scelta competitiva per un’Azienda famigliare italiana come la nostra, con profonde radici culturali nelle tradizioni italiane e territoriali e che ha da poco festeggiato i 70 anni di presenza sul mercato agro alimentare”.
PROMUOVERE METODOLOGIE INNOVATIVE NELLA PICCOLA MEDIA IMPRESA:
Nuove metodologie per la formazione :corsi a costo zero per la competitività
Il convegno del prossimo 28 giugno fornirà l’occasione per condividere alcune elaborazioni sulle potenzialità della formazione innovativa e, in particolare, sul bisogno di una formazione sempre più centrata sui processi di lavoro e sulle problematiche aziendali.
I corsi, realizzati da PER.FORM e finanziati dall’Avviso 4 2008 Fondimpresa, prevedono, infatti, la
sperimentazione di modalità formative non tradizionali e di quelle metodologie che maggiormente si adattano al sistema delle imprese evitando di andare ad impattare eccessivamente con le esigenze di produzione delle aziende.In particolare, il criterio prioritario è rappresentato dalla comprensione, da parte dell’azienda, dell’importanza che può rivestire la sperimentazione di modalità innovative
di formazione e dall’effettiva disponibilità a scommettere sulla possibilità di individuare nuove strade per sviluppare le competenze dei lavoratori.
Quattro le proposte formative realizzate in più edizioni presso le aziende associate al sistema Confindustria con meno di 100 dipendenti, nelle province di Asti e Cuneo caratterizzati dalla presenza di contesti organizzativi orientati al cambiamento ed all’innovazione, in grado di accogliere ed accompagnare lo sviluppo di percorsi formativi che si allontanano in modo significativo dai setting tradizionali della lezione, del seminario, ecc:
MANAGER COACH DI UN TEAM EFFICIENTE,
Coaching (72%) Aula (28%)
Obiettivi: fornire competenze per condurre un team al raggiungimento di risultati permanenti e dare
strumenti di lettura dell’organizzazione per avere una visione chiara del modello di impresa e trasferirla attraverso la metafora sportiva.
“FUORI I SECONDI” – GESTIONE EFFICACE DEI GRUPPI DI LAVORO,
Coaching (85%) Aula (15%)
Obiettivi: Identificare all’internodel team i differenti ruoli
Affinare le capacità di costituzione, gestione e motivazione di un gruppo di lavoro.
Fornire gli strumenti operativi per evitare il blocco dell’attività di un gruppo di lavoro
MENTAL TRAINING: CREATIVITA’ E FLESSIBILITA’ PER L’IMPRESA CHE CAMBIA
Coaching (85%) Aula (15%)
Obiettivi: Comprendere e utilizzare interpretazioni differenti della realtà e modi innovativi di agire.
“Allenare la mente” a costruirsi nuovi schemi di lettura.
“VESTIRE LA MAGLIA” TEAMWORKING E SVILUPPO DELLO SPIRITO DI SQUADRA
Coaching (85%) Aula(15%)
Lavorare sul “marketing delle risorse umane”, sui processi sottostanti il raggiungimento dei risultati nelle singole individualità. Motivare le singole risorse umane.
CHE COS’E’
IL COACHING:
L’accompagnamento di un individuo (coachee), un gruppo o un’équipe, da parte di uno specialista
del cambiamento: il coach. Il coaching è una relazione di collaborazione, partnership finalizzata
al raggiungimento di obiettivi personali, relazionali o professionali.
Agendo sull’autoconsapevolezza personale e sul proprio senso di autoefficacia, facilita l’espressione e lo sviluppo delle potenzialità.
La metodologia trae origine dal mondo sportivo, prendendo in considerazione gli aspetti legati
soprattutto a: essere squadra, condividere obiettivi, condividere strategie ed essere di supporto l’uno per l’altro.
Il processo di coaching ha l’obiettivo di aiutare le persone a imparare/migliorare le competenze attraverso l’esperienza quotidiana facendo ricorso a un’attività di sostegno individuale e a programmi specifici.
Le metodologie di coaching sono “orientate al risultato”, ossia “centrate sulla soluzione”, piuttosto che “centrate sul problema”. L’allievo viene aiutato a costruirsi il futuro che desidera, utilizzando
tutti gli strumenti possibili e attivando le risorse necessarie perché quel futuro professionale diventi
realtà. VERNAY ITALIA è un’azienda di circa 60 dipendenti, facente parte di un gruppo multinazionale con sede in Ohio, USA, la cui attività principale è sviluppare e produrre articoli tecnici di precisione in gomma, per applicazioni di piccole dimensioni e per il controllo dei fluidi.
Sono da poco terminati due percorsi formativi nella Azienda dove Vanna Villata, Direttore Generale, da anni fa e promuove la formazione.
“La metodologia del coaching si applica analizzando i processi di lavoro, le problematiche che da esso emergono, la definizione di obiettivi condivisi e contestualizzati, la sperimentazione sul campo delle strategie individuate a livello comune e condivise con tutta la “squadra” racconta Vanna Villata - vi è, inoltre, l’affiancamento breve e mirato da parte del formatore, che ha il compito di essere il coach della squadra e quindi motivatore e supporter della prestazione; l’intervento finale
del coach mira alla valutazione finale e alla definizione del piano di sviluppo personale e professionale da realizzarsi dopo la conclusione del corso di formazione”
INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
FONDIMPRESA è il fondo interprofessionale creato da CONFINDUSTRIA, CGIL, CISL e UIL; vi aderiscono 67.000 aziende con oltre 3 milioni di dipendenti.
FONDIMPRESA ha un peso pari al 40% del totale dei Fondi Interprofessionali, in termini di risorse, infatti ogni anno raccoglie circa 200 milioni di euro per le attività di formazione destinate alle aziende aderenti Attualmente è possibile aderire a 5 diversi Avvisi:
60 milioni di euro per qualsiasi tipo di formazione;
10 milioni per lavoratori in Cig (scadenza 15 ottobre 2010);
10 milioni per lavoratori delle PMI (scadenza 15 ottobre 2010);
12 milioni per piani sulla sicurezza sul lavoro (15 ottobre 2010);
50 milioni per i lavoratori in mobilità (scadenza 18 novembre 2010)
Il Consorzio PERFORM è l’attuatore dei percorsi formativi di FONDIMPRESA e FONDIRIGENTI, che collabora con le Aziende per promuovere la formazione continua dei dipendenti ad ogni livello anche usufruendo di tutti i finanziamenti utili ad alleggerire l’onere finanziario gravante sulle Aziende che richiedano la formazione. Si trova ad Asti ed è contattabile all’indirizzo mail: ferraro@consorzioperform.net tel.: 0141 436965
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F.LLI SACLÀ ha da sempre operato importanti investimenti circa lo sviluppo delle competenze del
proprio personale. A dimostrazione vi sono 152 corsi svolti negli ultimi quattro anni pari ad una media annua di 3.000 ore tra formazione in aula e addestramento operativo “su campo”. Le diverse iniziative si sono avvalse sia di personale esterno sia di personale interno altamente qualificato ed hanno interessato una popolazione di dipendenti eterogenea fino a raggiungere le 1200 unità, appartenenti ai diversi settori presenti in azienda. “L’opportunità di potersi avvalere di fondi interprofessionali come Fondimpresa – spiega Claudia Ferraro, Responsabile di PER.FORM, ente di formazione dell’Unione Industriale di Asti - ha certamente agevolato l’impegno e l’investimento
dell’Azienda in un percorso già tracciato negli anni precedenti. I piani presentati dal 2008 ad oggi hanno permesso di coinvolgere 283 discenti tra quadri, impiegati ma soprattutto operai, per un totale di 462 ore di formazione in aula e con la nuova modalità didattica di coaching individuale”.
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La scelta strategica di F.LLI SACLÀ intrapresa ormai da anni, è quella di investire nella formazione al punto tale da farla divenire parte integrante dell’iter lavorativo, anche nella gestione del personale. Questo ha permesso di definire percorsi di crescita professionali a tutti i livelli organizzativi. “Le persone sono il capitale più prezioso che un’Azienda possiede – sottolinea Stefania Delfino Responsabile del Personale di F.LLI SACLÀ - pertanto è doveroso il continuo aggiornamento delle loro competenze che consentono all’azienda di continuare ad essere competitiva sul mercato e leader nel proprio settore di appartenenza”. A dimostrazione del coinvolgimento dell’intera popolazione lavorativa, Lucia Ercole – Responsabile Marketing Direzione Commerciale Italia - è stata la protagonista di uno dei piani formazione attivati lo scorso anno. “Aver saputo cogliere l’occasione di realizzare un percorso di formazione per tutto il comparto commerciale, anche in un momento di forte complessità, è stata una scelta vincente. L’obiettivo è stato quello di fornire, alle persone coinvolte, strumenti appropriati per una comunicazione efficace, per migliorare il proprio approccio nelle relazioni interpersonali per meglio gestire i propri collaboratori e valorizzarne con metodo le peculiarità”.
“I progetti formativi già conclusi o attualmente in corso, come ad esempio quello rivolto al team della Direzione Commerciale Estero, sono il risultato di un grande lavoro di squadra – spiega Chiara Ercole. Decidere di dedicare risorse, con le modalità didattiche più adeguate, allo sviluppo del sapere e del saper fare è sicuramente una scelta competitiva per un’Azienda famigliare italiana come la nostra, con profonde radici culturali nelle tradizioni italiane e territoriali e che ha da poco festeggiato i 70 anni di presenza sul mercato agro alimentare”.
PROMUOVERE METODOLOGIE INNOVATIVE NELLA PICCOLA MEDIA IMPRESA:
Nuove metodologie per la formazione :corsi a costo zero per la competitività
Il convegno del prossimo 28 giugno fornirà l’occasione per condividere alcune elaborazioni sulle potenzialità della formazione innovativa e, in particolare, sul bisogno di una formazione sempre più centrata sui processi di lavoro e sulle problematiche aziendali.
I corsi, realizzati da PER.FORM e finanziati dall’Avviso 4 2008 Fondimpresa, prevedono, infatti, la
sperimentazione di modalità formative non tradizionali e di quelle metodologie che maggiormente si adattano al sistema delle imprese evitando di andare ad impattare eccessivamente con le esigenze di produzione delle aziende.In particolare, il criterio prioritario è rappresentato dalla comprensione, da parte dell’azienda, dell’importanza che può rivestire la sperimentazione di modalità innovative
di formazione e dall’effettiva disponibilità a scommettere sulla possibilità di individuare nuove strade per sviluppare le competenze dei lavoratori.
Quattro le proposte formative realizzate in più edizioni presso le aziende associate al sistema Confindustria con meno di 100 dipendenti, nelle province di Asti e Cuneo caratterizzati dalla presenza di contesti organizzativi orientati al cambiamento ed all’innovazione, in grado di accogliere ed accompagnare lo sviluppo di percorsi formativi che si allontanano in modo significativo dai setting tradizionali della lezione, del seminario, ecc:
MANAGER COACH DI UN TEAM EFFICIENTE,
Coaching (72%) Aula (28%)
Obiettivi: fornire competenze per condurre un team al raggiungimento di risultati permanenti e dare
strumenti di lettura dell’organizzazione per avere una visione chiara del modello di impresa e trasferirla attraverso la metafora sportiva.
“FUORI I SECONDI” – GESTIONE EFFICACE DEI GRUPPI DI LAVORO,
Coaching (85%) Aula (15%)
Obiettivi: Identificare all’internodel team i differenti ruoli
Affinare le capacità di costituzione, gestione e motivazione di un gruppo di lavoro.
Fornire gli strumenti operativi per evitare il blocco dell’attività di un gruppo di lavoro
MENTAL TRAINING: CREATIVITA’ E FLESSIBILITA’ PER L’IMPRESA CHE CAMBIA
Coaching (85%) Aula (15%)
Obiettivi: Comprendere e utilizzare interpretazioni differenti della realtà e modi innovativi di agire.
“Allenare la mente” a costruirsi nuovi schemi di lettura.
“VESTIRE LA MAGLIA” TEAMWORKING E SVILUPPO DELLO SPIRITO DI SQUADRA
Coaching (85%) Aula(15%)
Lavorare sul “marketing delle risorse umane”, sui processi sottostanti il raggiungimento dei risultati nelle singole individualità. Motivare le singole risorse umane.
CHE COS’E’
IL COACHING:
L’accompagnamento di un individuo (coachee), un gruppo o un’équipe, da parte di uno specialista
del cambiamento: il coach. Il coaching è una relazione di collaborazione, partnership finalizzata
al raggiungimento di obiettivi personali, relazionali o professionali.
Agendo sull’autoconsapevolezza personale e sul proprio senso di autoefficacia, facilita l’espressione e lo sviluppo delle potenzialità.
La metodologia trae origine dal mondo sportivo, prendendo in considerazione gli aspetti legati
soprattutto a: essere squadra, condividere obiettivi, condividere strategie ed essere di supporto l’uno per l’altro.
Il processo di coaching ha l’obiettivo di aiutare le persone a imparare/migliorare le competenze attraverso l’esperienza quotidiana facendo ricorso a un’attività di sostegno individuale e a programmi specifici.
Le metodologie di coaching sono “orientate al risultato”, ossia “centrate sulla soluzione”, piuttosto che “centrate sul problema”. L’allievo viene aiutato a costruirsi il futuro che desidera, utilizzando
tutti gli strumenti possibili e attivando le risorse necessarie perché quel futuro professionale diventi
realtà. VERNAY ITALIA è un’azienda di circa 60 dipendenti, facente parte di un gruppo multinazionale con sede in Ohio, USA, la cui attività principale è sviluppare e produrre articoli tecnici di precisione in gomma, per applicazioni di piccole dimensioni e per il controllo dei fluidi.
Sono da poco terminati due percorsi formativi nella Azienda dove Vanna Villata, Direttore Generale, da anni fa e promuove la formazione.
“La metodologia del coaching si applica analizzando i processi di lavoro, le problematiche che da esso emergono, la definizione di obiettivi condivisi e contestualizzati, la sperimentazione sul campo delle strategie individuate a livello comune e condivise con tutta la “squadra” racconta Vanna Villata - vi è, inoltre, l’affiancamento breve e mirato da parte del formatore, che ha il compito di essere il coach della squadra e quindi motivatore e supporter della prestazione; l’intervento finale
del coach mira alla valutazione finale e alla definizione del piano di sviluppo personale e professionale da realizzarsi dopo la conclusione del corso di formazione”
INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
FONDIMPRESA è il fondo interprofessionale creato da CONFINDUSTRIA, CGIL, CISL e UIL; vi aderiscono 67.000 aziende con oltre 3 milioni di dipendenti.
FONDIMPRESA ha un peso pari al 40% del totale dei Fondi Interprofessionali, in termini di risorse, infatti ogni anno raccoglie circa 200 milioni di euro per le attività di formazione destinate alle aziende aderenti Attualmente è possibile aderire a 5 diversi Avvisi:
60 milioni di euro per qualsiasi tipo di formazione;
10 milioni per lavoratori in Cig (scadenza 15 ottobre 2010);
10 milioni per lavoratori delle PMI (scadenza 15 ottobre 2010);
12 milioni per piani sulla sicurezza sul lavoro (15 ottobre 2010);
50 milioni per i lavoratori in mobilità (scadenza 18 novembre 2010)
Il Consorzio PERFORM è l’attuatore dei percorsi formativi di FONDIMPRESA e FONDIRIGENTI, che collabora con le Aziende per promuovere la formazione continua dei dipendenti ad ogni livello anche usufruendo di tutti i finanziamenti utili ad alleggerire l’onere finanziario gravante sulle Aziende che richiedano la formazione. Si trova ad Asti ed è contattabile all’indirizzo mail: ferraro@consorzioperform.net tel.: 0141 436965
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PMI sviluppo
mercoledì 30 giugno 2010
Motivazione al lavoro per uscire prima e meglio dalla crisi
Il 25 giugno 2010, presso la Michelin Italia S.p.a. di Alessandria, organizzato da Federmanager Alessandria, si è tenuto il VI Forum dei Direttori del Personale, per un dibattito/confronto sul tema: “La motivazione del Personale in tempo di crisi”.
Hanno partecipato sedici Direttori del Personale ed esperti di relazioni industriali, purtroppo con alcune assenze dell’ultima ora per sopravvenute esigenze aziendali.
L’incontro ha avuto come prologo la presentazione e la visita dello stabilimento Michelin di Spinetta Marengo ad opera di una equipe della Società, dopo di che si è entrati nel merito dell’Ordine del Giorno con una introduzione in video del dr. Tullio Miscoria, Consulente di formazione, che ha preliminarmente sottolineato come uno degli impegni maggiori che hanno le Aziende in questo difficile momento è quello di “fare di più con meno persone”.
.Evidenziando che risultati e motivazione sono gli uni parte dell’altra e viceversa, quindi strettamente correlati, non altrettanto si può dire di motivazione e impegno, non essendo altrettanto strettamente collegati all’andamento positivo dell’azienda. Miscoria ha dato grande importanza all’esigenza di far sì che i collaboratori si sentano importanti in un’ottica aziendale per cui è strategica una efficace attività di comunicazione interna sia a livello collettivo che individuale. A questo proposito è importante sensibilizzare e responsabilizzare i collaboratori che sono maggiormente a contatto con il personale.
Il dibattito è proseguito per oltre tre ore con l’intervento di tutti i partecipanti su un tema – la motivazione del personale – che già nei Forum precedenti era stato oggetto di attenzione e ritenuto pertanto importante da affrontare con un esame dettagliato, entrandone nel merito specifico, collegandolo altresì al momento non facile che stiamo attraversando.
E’ stato fatto notare preliminarmente che è improprio parlare di motivazione collegandolo solo alla crisi, in quanto la motivazione è una esigenza costante in ogni attività lavorativa e non è anche sbagliato pensare solo alla crisi aziendale, bensì è opportuno tener presente che, a volte, potrebbe anche il dipendente ad essere in crisi “aziendale” e come tale bisognoso di particolare attenzione e cura, attivando idonei accorgimenti di recupero.
E’ indispensabile che il dipendente abbia conoscenza e consapevolezza del contesto in cui si opera, anche creando gruppi di attività – soprattutto nelle realtà maggiori- che perseguano e garantiscano le performance, tenendo la produzione costantemente sotto controllo, contribuendone all’avanzamento ora per ora, in presenza di una massima reattività e risolvendo tempestivamente gli eventuali problemi che dovessero insorgere. La ricerca delle performance è anche crescita professionale della persona, cui deve essere riconosciuto apertamente il buon lavoro fatto.
Si è aperto, a questo proposito, un dibattito che ha messo a confronto il passato con il presente. Nel passato meno recente, la motivazione era soprattutto perseguita con riconoscimenti economici, soprattutto superminimi, incentivi che premiavano la disponibilità, la collaborazione, la professionalità, la produttività individuale. Ancora oggi può essere positivo incentivare economicamente ed individualmente, ma in una situazione come quella attuale, dove tutti sanno di tutto, può avere anche risvolti negativi: può generare invidie, sensi di vittimismo e di frustrazione più che di stimolo a meglio operare, nuocendo anche al clima aziendale. Sarebbe forse meglio ricercare, ove possibile, premi collettivi, economici ma non solo, che generino competizione tra gruppi, squadre, reparti, uffici, con individuazione di obiettivi adeguatamente pubblicizzati anche nei risultati finali. Tutto ciò senza dimenticare la sensibilizzazione, lo stimolo ed il trascinamento, operandosi in gruppo, effettuato dai migliori nei confronti dei “pigri” che potrebbero, con il loro atteggiamento meno collaborativo, vanificare il raggiungimento degli obiettivi produttivi preposti ed i benefici che ne potrebbero derivare. Non a torto comunque si è sottolineato che bisognerebbe trovare il coraggio di premiare le differenze.
La motivazione oggi – soprattutto in tempo di crisi – ha caratteristiche più psicologiche che economiche, in presenza di una situazione dove, pur riconoscendo l’importanza degli aspetti salariali, assume rilevanza maggiore la salvaguardia del posto di lavoro e con esso, ovviamente, l’andamento positivo dell’azienda.
E’ convinzione generalizzata che dalla crisi si può uscire, o quanto meno si può affrontare meglio soprattutto con la partecipazione di tutti, ognuno per la sua parte e con le sue prerogative e spettanze.
Ne è un chiaro esempio la vicenda FIAT/ Pomigliano, che tanto fa discutere il mondo sindacale e non solo quello, in questi giorni. Come è noto la FIAT fa una scelta assolutamente innovativa: invece di delocalizzare in Paesi dove produrre è più conveniente, riporta in Italia una importante parte di produzione mettendo a disposizione 700 milioni di Euro per ristrutturare lo stabilimento campano, ma chiedendo a sindacati e maestranze la massima collaborazione e disponibilità attraverso un accordo sindacale in certi passaggi anch’esso innovativo. Dopo una complessa trattativa, quattro sindacati di settore, non certo poco rappresentativi, firmano le intese: uno solo, il quinto, rifiuta l’adesione. Il corretto ricorso al referendum, con un esito del 62% favorevole alle intese, avrebbe tecnicamente e democraticamente chiuso la vicenda, anche se è comprensibile la perplessità dell’Azienda sulla effettiva gestibilità dell’accordo, soprattutto tenendo conto che la percentuale di adesione operaia, categoria maggiormente interessata e coinvolta negli aspetti organizzativi e produttivi, è solo del 59%. E’ stato sottolineato che da un’indagine effettuata sui “no” alle intese, la maggior parte sarebbe di personale giovane: una risposta è stata data da un sindacalista firmatario dell’accordo. Per una metà – ha detto – si tratta di iscritti o simpatizzanti ideologicizzati, per un’altra metà di scansafatiche (per la verità ha usato un termine più pesante nonchè volgare). Potrebbe comunque anche essere effettiva una certa partecipazione giovanile al “no”, magari di senza famiglia da tutelare, magari con genitori che possono provvedere loro al sostentamento, magari preoccupati per i turni continui e quindi anche notturni, nonchè del lavoro domenicale, che pregiudicherebbero gli ineludibili svaghi, magari consapevoli che certe attività “sommerse” rendono molto più del lavoro in fabbrica!
Ritornando al tema in discussione, è stato sottolineato che la prima forma di motivazione è intrinseca alla persona: l’individuo deve sentirsi motivato in se stesso. Per essere tale sono indispensabili alcune cose: ci deve essere un contratto di lavoro, ci deve essere sintonia con ciò che si desidera, ci deve essere possibilità di crescita e che ci siano prospettive di durata nel tempo.
Perchè ci sia partecipazione ci deve essere comunque motivazione e prioritariamente conoscenza, coinvolgendo il più possibile il personale, usando anche strumenti diversi e personali.
Perchè ci sia partecipazione è altresì opportuno ricercare la maggiore fidelizzazione possibile.
E per perseguire tali obiettivi il primo passo non può che essere dell’azienda e dei suoi rappresentanti, in particolar modo dei quadri intermedi che dovrebbero essere, a questo proposito, adeguatamente sensibilizzati e informati.
Innanzitutto l’azienda ed i suoi rappresentanti devono essere d’esempio nei fatti e negli atteggiamenti: è difficile chiedere collaborazione e sacrifici unilaterali.
La correttezza nei rapporti e l’equità nelle decisioni devono essere un modus operandi strategico.
E’ anche necessario, come si dice, usare la bocca, ma anche le orecchie, in altre parole affinare l’esigenza dell’ascolto.
La motivazione è sicuramente più perseguibile con un maggior dialogo tra direzione e rappresentanti sindacali aziendali e tra rappresentanti sindacali aziendali e lavoratori, ricercando il più possibile scelte condivise anche se complicate: le condizioni per farlo oggi ci sono, soprattutto se c’ è coerenza tra il dire e il fare.
Potrà sembrare paternalismo, ma è sicuramente opportuno farsi vedere in azienda, nei reparti, negli uffici e colloquiare con i dipendenti su questioni aziendali, ma anche personali.
Aprire l’azienda anche alle Famiglie, in apposite giornate di “fabbrica aperta” comporta con l’adesione di queste – un maggior coinvolgimento – del collaboratore.
Ed infine grande importanza ha, come già precedentemente sottolineato la comunicazione: studiare ed adottare strumenti e pratiche idonee a far conoscere problemi, obiettivi, successi e difficoltà su piccoli e grandi temi aziendali non può che far sì che il dipendente si senta coinvolto.
Come prevedibile e previsto, la crisi, in generale, non è finita.
Ci sono stati sicuramente miglioramenti, la luce alla fine del tunnel si intravede, anche se le condizioni saranno diverse da quelle che si avevano prima del disastro: la situazione riguarda ogni impresa, sia quella che è tuttora in difficoltà, sia quella che è in mezzo al guado, sia quella che fortunatamente in vera crisi non c’è mai stata.
Se si è convinti che nelle difficoltà la strada giusta per uscirne è che ognuno faccia la sua parte, che la barca proceda positivamente in quanto tutti remino nella giusta direzione, in altre parole che ci sia partecipazione di tutte le Parti in causa la motivazione è basilare, anche perchè il dipendente comprende se l’azienda lo vuole coinvolgere.
Più volte, nei precedenti Forum, è emersa la constatazione che oggi le Maestranze sono meno ideologicizzate, forse perchè deluse da una politica che sicuramente non brilla, più mature, più colte e preparate e come tali disposte e disponibili a cogliere i segnali positivi che una adeguata cultura di impresa può dare loro.
Cultura d’impresa, valori dell’intraprendere, orgoglio del produrre, consapevolezza dell’importanza di ciò che si crea: se questi sono obiettivi cui mirare e pilastri su cui assestare le nostre aziende, la motivazione è fondamentale e a nessuno come ai responsabili delle risorse umane spetta il compito di esserne convinti promotori.
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Hanno partecipato sedici Direttori del Personale ed esperti di relazioni industriali, purtroppo con alcune assenze dell’ultima ora per sopravvenute esigenze aziendali.
L’incontro ha avuto come prologo la presentazione e la visita dello stabilimento Michelin di Spinetta Marengo ad opera di una equipe della Società, dopo di che si è entrati nel merito dell’Ordine del Giorno con una introduzione in video del dr. Tullio Miscoria, Consulente di formazione, che ha preliminarmente sottolineato come uno degli impegni maggiori che hanno le Aziende in questo difficile momento è quello di “fare di più con meno persone”.
.Evidenziando che risultati e motivazione sono gli uni parte dell’altra e viceversa, quindi strettamente correlati, non altrettanto si può dire di motivazione e impegno, non essendo altrettanto strettamente collegati all’andamento positivo dell’azienda. Miscoria ha dato grande importanza all’esigenza di far sì che i collaboratori si sentano importanti in un’ottica aziendale per cui è strategica una efficace attività di comunicazione interna sia a livello collettivo che individuale. A questo proposito è importante sensibilizzare e responsabilizzare i collaboratori che sono maggiormente a contatto con il personale.
Il dibattito è proseguito per oltre tre ore con l’intervento di tutti i partecipanti su un tema – la motivazione del personale – che già nei Forum precedenti era stato oggetto di attenzione e ritenuto pertanto importante da affrontare con un esame dettagliato, entrandone nel merito specifico, collegandolo altresì al momento non facile che stiamo attraversando.
E’ stato fatto notare preliminarmente che è improprio parlare di motivazione collegandolo solo alla crisi, in quanto la motivazione è una esigenza costante in ogni attività lavorativa e non è anche sbagliato pensare solo alla crisi aziendale, bensì è opportuno tener presente che, a volte, potrebbe anche il dipendente ad essere in crisi “aziendale” e come tale bisognoso di particolare attenzione e cura, attivando idonei accorgimenti di recupero.
E’ indispensabile che il dipendente abbia conoscenza e consapevolezza del contesto in cui si opera, anche creando gruppi di attività – soprattutto nelle realtà maggiori- che perseguano e garantiscano le performance, tenendo la produzione costantemente sotto controllo, contribuendone all’avanzamento ora per ora, in presenza di una massima reattività e risolvendo tempestivamente gli eventuali problemi che dovessero insorgere. La ricerca delle performance è anche crescita professionale della persona, cui deve essere riconosciuto apertamente il buon lavoro fatto.
Si è aperto, a questo proposito, un dibattito che ha messo a confronto il passato con il presente. Nel passato meno recente, la motivazione era soprattutto perseguita con riconoscimenti economici, soprattutto superminimi, incentivi che premiavano la disponibilità, la collaborazione, la professionalità, la produttività individuale. Ancora oggi può essere positivo incentivare economicamente ed individualmente, ma in una situazione come quella attuale, dove tutti sanno di tutto, può avere anche risvolti negativi: può generare invidie, sensi di vittimismo e di frustrazione più che di stimolo a meglio operare, nuocendo anche al clima aziendale. Sarebbe forse meglio ricercare, ove possibile, premi collettivi, economici ma non solo, che generino competizione tra gruppi, squadre, reparti, uffici, con individuazione di obiettivi adeguatamente pubblicizzati anche nei risultati finali. Tutto ciò senza dimenticare la sensibilizzazione, lo stimolo ed il trascinamento, operandosi in gruppo, effettuato dai migliori nei confronti dei “pigri” che potrebbero, con il loro atteggiamento meno collaborativo, vanificare il raggiungimento degli obiettivi produttivi preposti ed i benefici che ne potrebbero derivare. Non a torto comunque si è sottolineato che bisognerebbe trovare il coraggio di premiare le differenze.
La motivazione oggi – soprattutto in tempo di crisi – ha caratteristiche più psicologiche che economiche, in presenza di una situazione dove, pur riconoscendo l’importanza degli aspetti salariali, assume rilevanza maggiore la salvaguardia del posto di lavoro e con esso, ovviamente, l’andamento positivo dell’azienda.
E’ convinzione generalizzata che dalla crisi si può uscire, o quanto meno si può affrontare meglio soprattutto con la partecipazione di tutti, ognuno per la sua parte e con le sue prerogative e spettanze.
Ne è un chiaro esempio la vicenda FIAT/ Pomigliano, che tanto fa discutere il mondo sindacale e non solo quello, in questi giorni. Come è noto la FIAT fa una scelta assolutamente innovativa: invece di delocalizzare in Paesi dove produrre è più conveniente, riporta in Italia una importante parte di produzione mettendo a disposizione 700 milioni di Euro per ristrutturare lo stabilimento campano, ma chiedendo a sindacati e maestranze la massima collaborazione e disponibilità attraverso un accordo sindacale in certi passaggi anch’esso innovativo. Dopo una complessa trattativa, quattro sindacati di settore, non certo poco rappresentativi, firmano le intese: uno solo, il quinto, rifiuta l’adesione. Il corretto ricorso al referendum, con un esito del 62% favorevole alle intese, avrebbe tecnicamente e democraticamente chiuso la vicenda, anche se è comprensibile la perplessità dell’Azienda sulla effettiva gestibilità dell’accordo, soprattutto tenendo conto che la percentuale di adesione operaia, categoria maggiormente interessata e coinvolta negli aspetti organizzativi e produttivi, è solo del 59%. E’ stato sottolineato che da un’indagine effettuata sui “no” alle intese, la maggior parte sarebbe di personale giovane: una risposta è stata data da un sindacalista firmatario dell’accordo. Per una metà – ha detto – si tratta di iscritti o simpatizzanti ideologicizzati, per un’altra metà di scansafatiche (per la verità ha usato un termine più pesante nonchè volgare). Potrebbe comunque anche essere effettiva una certa partecipazione giovanile al “no”, magari di senza famiglia da tutelare, magari con genitori che possono provvedere loro al sostentamento, magari preoccupati per i turni continui e quindi anche notturni, nonchè del lavoro domenicale, che pregiudicherebbero gli ineludibili svaghi, magari consapevoli che certe attività “sommerse” rendono molto più del lavoro in fabbrica!
Ritornando al tema in discussione, è stato sottolineato che la prima forma di motivazione è intrinseca alla persona: l’individuo deve sentirsi motivato in se stesso. Per essere tale sono indispensabili alcune cose: ci deve essere un contratto di lavoro, ci deve essere sintonia con ciò che si desidera, ci deve essere possibilità di crescita e che ci siano prospettive di durata nel tempo.
Perchè ci sia partecipazione ci deve essere comunque motivazione e prioritariamente conoscenza, coinvolgendo il più possibile il personale, usando anche strumenti diversi e personali.
Perchè ci sia partecipazione è altresì opportuno ricercare la maggiore fidelizzazione possibile.
E per perseguire tali obiettivi il primo passo non può che essere dell’azienda e dei suoi rappresentanti, in particolar modo dei quadri intermedi che dovrebbero essere, a questo proposito, adeguatamente sensibilizzati e informati.
Innanzitutto l’azienda ed i suoi rappresentanti devono essere d’esempio nei fatti e negli atteggiamenti: è difficile chiedere collaborazione e sacrifici unilaterali.
La correttezza nei rapporti e l’equità nelle decisioni devono essere un modus operandi strategico.
E’ anche necessario, come si dice, usare la bocca, ma anche le orecchie, in altre parole affinare l’esigenza dell’ascolto.
La motivazione è sicuramente più perseguibile con un maggior dialogo tra direzione e rappresentanti sindacali aziendali e tra rappresentanti sindacali aziendali e lavoratori, ricercando il più possibile scelte condivise anche se complicate: le condizioni per farlo oggi ci sono, soprattutto se c’ è coerenza tra il dire e il fare.
Potrà sembrare paternalismo, ma è sicuramente opportuno farsi vedere in azienda, nei reparti, negli uffici e colloquiare con i dipendenti su questioni aziendali, ma anche personali.
Aprire l’azienda anche alle Famiglie, in apposite giornate di “fabbrica aperta” comporta con l’adesione di queste – un maggior coinvolgimento – del collaboratore.
Ed infine grande importanza ha, come già precedentemente sottolineato la comunicazione: studiare ed adottare strumenti e pratiche idonee a far conoscere problemi, obiettivi, successi e difficoltà su piccoli e grandi temi aziendali non può che far sì che il dipendente si senta coinvolto.
Come prevedibile e previsto, la crisi, in generale, non è finita.
Ci sono stati sicuramente miglioramenti, la luce alla fine del tunnel si intravede, anche se le condizioni saranno diverse da quelle che si avevano prima del disastro: la situazione riguarda ogni impresa, sia quella che è tuttora in difficoltà, sia quella che è in mezzo al guado, sia quella che fortunatamente in vera crisi non c’è mai stata.
Se si è convinti che nelle difficoltà la strada giusta per uscirne è che ognuno faccia la sua parte, che la barca proceda positivamente in quanto tutti remino nella giusta direzione, in altre parole che ci sia partecipazione di tutte le Parti in causa la motivazione è basilare, anche perchè il dipendente comprende se l’azienda lo vuole coinvolgere.
Più volte, nei precedenti Forum, è emersa la constatazione che oggi le Maestranze sono meno ideologicizzate, forse perchè deluse da una politica che sicuramente non brilla, più mature, più colte e preparate e come tali disposte e disponibili a cogliere i segnali positivi che una adeguata cultura di impresa può dare loro.
Cultura d’impresa, valori dell’intraprendere, orgoglio del produrre, consapevolezza dell’importanza di ciò che si crea: se questi sono obiettivi cui mirare e pilastri su cui assestare le nostre aziende, la motivazione è fondamentale e a nessuno come ai responsabili delle risorse umane spetta il compito di esserne convinti promotori.
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