mercoledì 6 ottobre 2010

Mercato del lavoro e prospettive

Un’intervista ad Adriano Teso del 26 luglio 2010
- Con Adriano Teso, imprenditore, sottosegretario al Lavoro del primo governo Berlusconi e socio di Libertiamo, è sempre interessante discutere di economia e di politica economica. Il suo ‘polso’ da industriale e la sua impostazione squisitamente liberale ne fanno un giudice severo – e a volte impietoso – della realtà italiana.
Ed è inevitabile che con lui il discorso scivoli subito sulla vicenda più calda e simbolica degli ultimi giorni, l’annuncio dell’apertura di un importante stabilimento di produzione della Fiat in Serbia: “Le produzioni e il lavoro – riflette Teso – insomma la produzione di ricchezza, non possono che andare laddove il sistema locale, cioè l’insieme di logistica, pressione fiscale, quantità ore di lavoro e ambiente normativo, consente i maggiori guadagni di competitività”.
.Ed il problema quindi “non è quello di contrastare le delocalizzazioni, ma rendere competitivi i paesi che, per varie ragioni, non lo sono più. Qualsiasi impresa per sopravvivere e produrre ricchezza va dove il contesto gli permette di competere e di affermarsi. Il gruppo Fiat l’ha detto chiaramente: a queste condizioni non ci sono chance per la Fabbrica Italia…”.
E’ la solita questione del costo del lavoro? “No, o almeno non è l’elemento cardine. Se è vero che nelle tasche dei collaboratori resta circa il 40 per cento di quanto lo specifico posto di lavoro è costato all’imprenditore, una pressione sconosciuta alla gran parte delle società europee, è altrettanto vero che il costo del lavoro sia solo uno – e non necessariamente il più importante – dei problemi. Le faccio un esempio: da Milano è spesso più conveniente spedire le merci nel mondo dal porto di Amburgo anziché da quello di Genova… le pare normale?”
Crede che la vicenda di Pomigliano sia stata determinante per lo ‘strappo’ di Marchionne? “Difficile affermare il contrario, c’è una parte del sindacato e dell’opinione pubblica che si ostina a non riconoscere l’inevitabilità di alcuni sacrifici, i diritti di qualche decennio fa sono diventati privilegi ed in quanto tali non sono più tollerabili”.
E la politica? E il centrodestra, in particolare? “La sensazione è che, partendo e da un programma liberale – comunque confermato anche nell’ultima campagna elettorale e capace di stimolare una porzione importante di elettorato – il PdL al governo non riesca ad evitare che alcuni propri ministri vengano attratti dalle istanze politico-corporative di questo o quel gruppo d’interesse. Per fare un esempio, pensiamo al tentativo di riformare le libere professioni irrobustendo il potere degli Ordini! Anche sulla pubblica amministrazione, ci sono stati timidi passi in avanti, non sufficienti: bene il blocco degli aumenti retributivi, in un settore che ha visto i salari crescere ben oltre la produttività nell’ultimo decennio, ma mi piacerebbe vedere un serio piano di aumento della produttività e dell’orario di lavoro dei pubblici dipendenti, come avvenuto in Germania”.
Rispetto ad un tema che gli sta particolarmente a cuore, come il mercato del lavoro, Teso mostra sconforto: “Non vedo praticamente passi in avanti. Anziché riformare nel profondo il diritto del lavoro ed il welfare, si sventola la bandierina della partecipazione azionaria dei dipendenti, un istituto che è parente stretto della cogestione…”.
Ed il sistema bancario? “Il sistema bancario italiano è sempre stato prudente, quantomeno nella gestione ordinaria Leggere i bilanci delle banche non è mai facile, ho la sensazione che le banche italiane siano state più virtuose di molte concorrenti straniere. Ma se il sistema bancario ha finora tenuto, sono i rischi del sistema Italia a preoccupare. Molte banche hanno un massiccio carico di crediti, soprattutto rispetto alle banche italiane: un fenomeno intenso di fallimento le danneggerebbe. Ma resto ottimista: subiranno qualche perdita, ma sono convinto che il sistema reggerà, anche se la scarsità di impieghi redditizi si farà sentire”. Insomma, “in un paese in cui è sempre più difficile fare impresa e produrre innovazione, il rischio del settore finanziario è quasi quello di non sapere dove investire i risparmi”.
Concludiamo con una domanda avulsa (ma non proprio) dalla discussione: cosa serve per fare impresa? “Certamente creatività, tolleranza, libertà… ma considero fondamentali il rigore e la responsabilità personale. Vede, il capitalismo è morto, la gran parte delle imprese di successo non nasce dal capitale, ma dalle idee, dalla scommessa, dal rigore del lavoro…” E visto che “la cultura imprenditoriale risente della cultura più diffusa”, aver avuto il più grande partito comunista ha sicuramente influenzato la cultura del paese e corrotto il senso di responsabilità individuale.
Per Teso “troppo spesso, anche l’imprenditore italiano è figlio della cultura del “qualcuno ci deve pensare”.
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