sabato 7 gennaio 2012

Essere manager nella crisi

Qualche giorno fa mi è capitato di parlare con un imprenditore vicino al passaggio della successione in azienda. Al momento, quindi, di godersi i risultati della propria fatica.
In pochi secondi, mi ha spiegato la sua strategia di decision making:
Vede, mi ha detto, io non sono un genio.
Per questo ho sempre dovuto decidere prima di capire.
Perché se avessi aspettato di capire prima di decidere, probabilmente altri prima di me avrebbero capito e mi avrebbero anticipato nella decisione.
E per altri intendeva sia i concorrenti che i collaboratori.
Quindi, secondo questo imprenditore, un leader deve assumersi il rischio di decidere sulla base di una comprensione limitata, per mantenere leadership e credibilità.
.Credo che ogni imprenditore si comporti in questo modo.
Certo, la frase “decidere prima di capire” è una iperbole, ma essere imprenditori o anche manager significa prendere decisioni con informazioni limitate…a volte addirittura in assenza di informazioni.
E’ parte del gioco. Alcune aziende oggi sono in difficoltà anche perché tecnologia ed internazionalizzazione sono così distanti dall’imprenditore (verosimilmente anziano) da impedirgli di prendere decisioni corrette in ambiti di cui conosce davvero poco le logiche di insieme.
Per questo il passaggio generazionale funziona quando padre e figlio crescono insieme contaminandosi.

“Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare” [Einaudi,'59]
Non metto in discussione la componente di “viscera” delle decisioni dell’imprenditore (intuizione, coraggio, vision). Credo che le decisioni strategiche debbano essere prese ANCHE con il conforto dei numeri: business plan, ritorni dell’investimento, sistemi di reporting, etc.
Nella sua chiusa finale: “assumersi il rischio di decidere sulla base di una comprensione limitata”
dunque una sintesi potrebbe essere “decidere pensando”, magari non troppo..

Quando c’è l’expertise, le decisioni sono prese in un lampo, perché si ha la consapevolezza inconscia. Business plan e numeri sono importanti, ma non vorrei che venissero assunti come base (e quindi in ultima istanza anche giustificazione) per le decisioni che non sorgono fuori spontanee.

Egli pose l’accento su un difetto molto comune fra i manager italiani, ovvero quello di non dare importanza ai rapporti interpersonali, alle relazioni sociali, a costruirsi un network di conoscenze perché troppo focalizzati sul lavoro, network che invece diventa indispensabile quando si deve cercare un nuovo lavoro.

Vorrei riportarvi i risultati di un’indagine forse un pò datata (luglio 2005) ma in sostanza sempre attuale.
E’ apparsa su Business Week in un articolo dal titolo “Why the boss really had to say goodbye”.

Alla domanda: “perché hai perso il lavoro?” 1087 dirigenti hanno risposto così.
il 31% non ha saputo gestire il cambiamento,
il 28% ha ignorato il “cliente”,
il 27% non ha migliorato le performance
il 23% ha negato o rifiutato di riconoscere la realtà emergente.
Da queste risposte si può già trarre qualche insegnamento utile, tra cui c’è sicuramente quello già citato da chi mi ha preceduto, ovvero curare le relazioni.
Devo dire che i dati di Business Week sono sicuramente interessanti, ma che dire delle ristrutturazioni, delle fusioni e degli altri motivi che talvolta hanno poco a che vedere con la professionalità e la capacità del manager stesso ?
Sposo in pieno la tesi di Caradonna, sopratutto quando dice che i manager sono “troppo focalizzati sul lavoro”: è proprio vero, il vortice delle attività ci assorbe così tanto che spesso perdiamo di vista opportunità e amicizie.Anche se credo che questa difficile situazione economica stia modificando in meglio qualche cattiva abitudine che si stava consolidando, e che nei prossimi mesi riusciremo a lavorare con un pizzico di sereno distacco in più, in un mercato difficile ma di cui dobbiamo costruire la ripresa. In altre parole, abbiamo l’obbligo di pensare positivo dopo aver preso atto dei cambiamenti di mercato e aver capito che dobbiamo reagire a questa nuova realtà e non piangerci addosso.
“Paura Liquida” anche nel management? Penso proprio che il pensiero del sociologo Zygmunt Bauman si possa ritenere estremamente attuale anche per la realtà manageriale e imprenditoriale, se vediamo i dati dei licenziamenti e di disoccupazione crescente che si leggono tutti i giorni sui media.
Per Bauman “Paura è il nome che diamo alla nostra incertezza: alla nostra ignoranza della minaccia, o di ciò che c’è da fare per arrestarne il cammino o, se questo non è in nostro potere, almeno per affrontarla”.
Come liberarsi della paura? Forse la ricetta è un giusto mix tra “Network personale” e “Competenze personali”, entrambi da coltivare e implementare giorno per giorno. Attraverso formazione e momenti di aggregazione sociale, ovvero occasioni per ampliare i propri orizzonti.
In merito al proprio network di contatti, personalmente sono propenso ad un “Brick & Click” delle relazioni, ricercando la multicanalità anche nei rapporti che contano. Quindi sia attraverso i social network (linkedin, facebook, myspace, viadeo, twitter, ecc.), blog personalizzati, sms; sia attraverso il biglietto di auguri, personalizzato, rigorosamente scritto a mano con una bella penna stilografica, sia partecipando in modo attivo ad incontri, associazioni culturali, a conferenze e dibattiti.
Mai più di adesso si sente il bisogno di comunicare e condividere situazioni ed esperienze nella ricerca di professionalizzarsi sempre più, ma dovendo fare i conti con una limitata disponibilità di tempo. Formarsi rapidamente e proseguire in questo cammino irreversibile carpendo ad ognuno una esperienza, un’idea, una testimonianza, queste sono le armi da utilizzare per essere il più possibile “in time” con una realtà in movimento frenetico a cui dobbiamo restare agganciati.
Ogni situazione, anche negativa, ci offre un’opportunità che dobbiamo saper cogliere!
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