mercoledì 16 febbraio 2011

Marchionne ed il cambiamento: da che parte va l’etica manageriale

Stralciando dalle dichiarazioni di Marchionne quella che recita, più o meno testualmente: “Non ho nulla da chiedere alla politica”, mi ritornano in mente le frequenti visite di Gianni Agnelli ai “palazzi romani” negli anni fra il ’70 e l’80. Nulla di illegittimo, credo, ma in quegli anni erano successe molte cose come, dopo la migrazione dal Sud con la valigia di cartone, fossero venute richieste sostanziose di CIG per migliaia di dipendenti Fiat. Alcune chiusure di bilancio vedevano come risultato, le vendite forzate ai concessionari e la stabilità finanziaria garantita dal loro obbligo di pagare alla consegna. Da non dimenticare la politica strozza fornitori con prezzi imposti e margini risicati con pagamenti oltre i 180 giorni. Progressiva distruzione della Lancia e dell’Alfa Romeo con una “collaborazione” ottusa dei Sindacati. Sul mercato pochi modelli ed una qualità sempre meno accattivante. La contraddizione di una gestione che in questo modo ha portato la Fiat sull’orlo del fallimento. Non facciamo nomi ma riconosciamo che l’etica manageriale di porre il massimo impegno per raggiungere il massimo profitto, aveva virato verso obiettivi molto più individuali o meglio egoistici. Top manager celebrati dalla politica e dai salotti, visioni strategiche di corto raggio, commistioni non facilmente decifrabili tra gli investimenti privati ed i finanziamenti pubblici.
Ora scopriamo che un manager italo svizzero, conoscitore e frequentatore di ambienti finanziari, detta delle regole che un dirigente come me, di ben minore livello, darebbe per scontate: “Aumentare la produttività degli impianti per portarli dal 40% all’80%”. Ma, scusate, dove erano i manager fino a quel momento? Avevano forse le mani legate e la bocca cucita? Quale assurda logica può considerare accettabile una produttività del 40%? Dove erano i rappresentanti dei lavoratori della FIOM all’interno degli impianti per invocare la lotta contro l’azienda per sfruttamento dei lavoratori? Capisco i lavoratori stessi che, essendosi adattati a ciò che era prodotto, ritenevano di dare ciò che fosse il giusto.
Ma ora che una maggioranza di loro ha accettato, o dovuto accettare, un piccolo cambio di rotta rinunciando ad una parte dei cosiddetti “diritti acquisiti”, ecco che Marchionne esce con una dichiarazione che spiazza la vetusta politica sindacale e cioè: “All’aumento della produttività corrisponderanno retribuzioni in linea con quelle dei colleghi tedeschi o francesi”. Naturalmente con ingenti investimenti strettamente collegati ad un riposizionamento delle quote di mercato entro il 2015. Quanti denari richiesti al Governo? Apparentemente nulla e, a prescindere dal fatto che dall’Europa siano vietati gli aiuti di Stato ai privati, ci è proposta una visione strategica della crescita in controtendenza rispetto alla storia di un’azienda talmente importante da rappresentare una quota significativa del PIL.
Una mosca bianca? Direi di no, ma certamente se non rara, almeno particolare perché emerge da una realtà industriale molto grande e di esse ne abbiamo veramente poche in Italia se si considera che le PMI rappresentano mediamente l’85% delle aziende italiane ed ancora di più se ci riferiamo a quelle manifatturiere. Nel piccolo i cambiamenti sono in corso da anni ed hanno assicurato la sopravvivenza della stragrande maggioranza delle PMI in questa crisi. Ma nel piccolo i manager o sono titolari o sono interagenti strettamente con la proprietà ed i concetti di produttività ed incentivazione delle persone sono vissuti quotidianamente. Questo non significa che non vi siano atteggiamenti di soggettività, di paternalismo o di scarsa propensione alla valutazione dei collaboratori, ma l’obiettivo del profitto aziendale è chiaro.
Fare profitto a scapito dei collaboratori? Questo è lo slogan della FIOM e di coloro che insistono nella visione ideologica di un comunismo oramai morto da anni ma di cui si tenta di celebrare gli anniversari, quasi fosse una dottrina immutabile nel tempo e prescindente dall’evoluzione socio economica.
Marchionne dice di no e, preservandone il principio della redditualità, apre alla partecipazione societaria ed economica di coloro che la produrranno. A lui le linee guida, ai manager la tattica realizzativa del progetto e quindi l’applicazione etica delle azioni per raggiungere l’obiettivo valorizzando le competenze dei collaboratori ai diversi livelli. Credo che senza questa azione si ritornerebbe allo sterile confronto tra “operai e padroni”, dove franerebbero le buone intenzioni dei Sindacati firmatari degli accordi e le promesse di Marchionne e si esalterebbero le dichiarazioni della FIOM che oggi sono state prese in contropiede.
Si dice che Marchionne oggi sia solo, sì certo, finché la Confindustria rimane ferma alle parole della Marcegaglia e non realizza essa stessa un cambiamento interno volto ad essere una forte sostenitrice del cambiamento anziché spettatrice di vedere come vada a finire! (Prima di cambiare).
Resta una questione manageriale in cui coniugare la logica del profitto (senza cui non esisterebbero le aziende e quindi i posti di lavoro), con gli investimenti in Italia (su cui occorrerebbe un’azione di Governo) e la nuova gestione delle Risorse Umane in un bilancio etico.
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