lunedì 20 ottobre 2008

Crisi delle banche, impatto del piano europeo e crisi economica = povertà in aumento, crescita dell’instabilità sociale?

Sono molti gli interrogativi che ci poniamo di fronte alla ricaduta sull’economia reale di questo terremoto finanziario. L’economista dr. Tito Boeri ci espone un suo commento.
Tratto dal sito : www.lavoce.info.

Il piano europeo per uscire dalla crisi va nella giusta direzione. Ma potrebbe incontrare l'ostilità dell'opinione pubblica, per le ingenti risorse pubbliche dirottate verso un sistema bancario che negli ultimi dieci anni ha realizzato enormi profitti. Tre proposte a vantaggio dei cittadini europei: aumentare la concorrenza nel sistema bancario per ridurre i costi e migliorare i servizi. Prevedere un programma di aiuto per famiglie in difficoltà con le rate del mutuo. E riduzioni fiscali per i redditi più bassi. Servirebbe anche a rendere la recessione meno duratura.
I leader dei paesi dell'area euro, alla fine, sono riusciti a trovare l'accordo su un piano. Ed è un piano molto ambizioso: dovrebbe mettere fine a quelle profezie che si auto-avverano che ci hanno portato sull'orlo di una nuova Grande Depressione. Ora, il piano va reso accettabile anche per i cittadini europei.
I COSTI POTENZIALI DEL PIANO
Nelle prossime settimane capiremo se le drastiche misure decise dai governi riusciranno a ridurre lo spread tra Euribor e tasso di rifinanziamento della Bce. Se avranno successo, non ci sarà bisogno di mettere in atto i provvedimenti. Se non avranno successo, il debito pubblico dei paesi dell'eurozona è destinato a salire alle stelle. Se avranno un successo solo parziale nel rassicurare i mercati, avremo ingenti esborsi a favore del sistema bancario. La garanzia sul mercato interbancario è potenzialmente molto costosa: prima della crisi, il volume delle sole posizioni overnight in molti paesi dell'euro era dell'ordine dell'1-2 per cento del Pil. Ai piani di ricapitalizzazione delle banche, invece, è destinato finora circa il 20 per cento del Pil della zona euro, ma la quota è destinata a salire via via che prendono forma i piani nazionali e i paesi sono costretti ad aumentare il capitale delle banche per raggiungere lo stesso livello di quelle del Regno Unito, il core tier 1: è un peccato che su questo punto non ci sia stato un coordinamento tra i diversi paesi.
MISURE DIFFICILI DA ACCETTARE
Ma l'opinione pubblica dei paesi dell'Unione Europea è pronta ad accettare trasferimenti di risorse, potenzialmente enormi, dal contribuente al settore bancario? È vero che è soprattutto il debito lordo a crescere e che quando la crisi sarà passata, con la vendita delle attività, si potrebbe anche verificare un calo del debito netto. Ed è altrettanto vero che salvando il sistema bancario, in definitiva si salvano le nostre economie e milioni di posti di lavoro. Tuttavia, esiste il non trascurabile rischio che piani che impegnano notevoli quantità di risorse nel salvataggio delle banche incontrino una forte opposizione nei parlamenti nazionali. E, paradossalmente, gli oppositori del “socialismo bancario” si trovano per lo più nelle fila degli ex sostenitori della socializzazione dei mezzi di produzione.Finora, in Europa, la crisi ha contribuito a ridurre le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Ciò è dovuto alla relativamente bassa partecipazione delle famiglie ai mercati finanziari e alla relativamente bassa adesione agli schemi pensionistici. Basandoci su micro dati sulla ricchezza raccolti dal progetto Luxembourg Wealth Study, si può stimare che una caduta del 40 per cento dei prezzi dei corsi azionari, riduce in modo significativo la ricchezza di circa il 6 per cento delle famiglie italiane in confronto a quasi il 30 per cento delle famiglie negli Stati Uniti. Anche la perdita media di ricchezza per chi è colpito dalla caduta dei prezzi delle azioni è inferiore in Italia: all'incirca il 5 per cento contro il 10 per cento negli Stati Uniti. Senza dubbio, provvedimenti mirati ad affrontare il crollo della borsa saranno perciò percepiti come provvedimenti a favore dei decili più alti nella distribuzione della ricchezza: Wall Street contro Main Street, e questo ancor più in Europa che negli Stati Uniti.Ma queste misure sono difficili da accettare dall'opinione pubblica anche per un'altra ragione: il piano rinvia a un altro momento quei provvedimenti per “punire i banchieri” che invece erano stati molto pubblicizzati. Nel piano deciso a livello internazionale l'ordine delle priorità è chiaro: prima il salvataggio dei sistemi finanziari per ristabilire la fiducia dei mercati, poi gli interventi per evitare che tutto ciò accada di nuovo. Era la cosa giusta da fare: mischiare le due fasi avrebbe potuto rivelarsi controproducente perché la priorità di oggi è ancora quella di ancorare le aspettative a uno scenario che non produca effetti domino, come è successo invece in seguito al fallimento di Lehman Brothers. Tuttavia, dobbiamo chiederci se i cittadini europei sono pronti ad accettare piani di salvataggio delle banche che concedono denaro pubblico ai banchieri e allo stesso tempo rinviano le sanzioni verso chi, prima della crisi, guadagnava più di 50 milioni di dollari - il compenso di Richard Fuld nel 2007 - e verso banche che, sempre prima della crisi, realizzavano profitti che arrivavano in qualche caso, per esempio in quello di Unicredit e Banca Intesa, a quasi lo 0,5 per cento del Pil, con tassi di rendimento del 20%. I cittadini sono pronti ad accettare tutto questo dopo aver assistito per dieci anni a una enorme crescita delle disuguaglianze di reddito, guidata dall'1 per cento più ricco della popolazione e la cui quota sul reddito totale è più che raddoppiata in paesi come gli Stati Uniti?
TRE PROPOSTE
Nelle ultime settimane, gli economisti sono riusciti a convincere i governi a fare i conti con la crisi finanziaria. In tempi di politiche eccezionali, sono riusciti a farsi ascoltare, e molto seriamente, dai politici, costringendo molti di loro, inclusi George Bush e Angela Merkel, a imbarazzanti dietrofront. Ora, gli economisti dovrebbero essere altrettanto efficaci nell'affrontare i vincoli politici ai piani di salvataggio ed escogitare modi per far sì che anche i cittadini europei possano trarne benefici. Ecco tre proposte.Primo, esiste un modo alternativo per punire le banche e i banchieri e può essere messo in atto subito: aumentare la concorrenza nel sistema bancario. Dopo aver sofferto di una acuta crisi di liquidità, le banche accentueranno ancora di più la concorrenza per attrarre i risparmi delle famiglie. Rimuovere gli ostacoli alla competizione nel settore retail è allora importante per dar modo alla competizione di abbassare i margini di profitto e migliorare i servizi per i cittadini. E dovrebbe essere ammessa anche una maggiore contendibilità. L'uscita dalla crisi richiederà un ampio processo di ristrutturazione delle banche, ma le protezioni nazionali contro fusioni e acquisizioni potrebbero ostacolare seriamente il processo: dovrebbero quindi essere eliminate al più presto.Secondo, i governi europei non hanno fatto niente per aiutare le famiglie a basso reddito con un mutuo sulla casa. È vero che il problema non è così grave come negli Stati Uniti, ma la crescita dei tassi Euribor, ai quali sono spesso indicizzate le rate mensili dei mutui, fa aumentare significativamente il numero delle famiglie povere che hanno difficoltà a pagare il mutuo. Si dovrebbe pensare a programmi di aiuto temporaneo, fino a quando i tassi non torneranno a scendere. Dovrebbero essere programmi ben mirati per minimizzare i costi e i problemi di moral hazard legati a un provvedimento che si rivolge a una popolazione ampia, ma dovrebbero essere comunque messi in atto.Terzo, esiste lo spazio per riduzioni fiscali per chi percepisce bassi salari. Una misura che servirebbe a prendere due piccioni con una fava. Servirebbe infatti ad accrescere la progressività della tassazione nella percezione dei cittadini, riducendo l'opposizione all'ingiustizia del socialismo bancario. Servirebbe inoltre ad ancorare le aspettative a una caduta moderata della produzione: l'attuale mancanza di fiducia deriva anche dalla convinzione che la crisi si propagherà ora alle imprese e alle famiglie spingendoci verso la trappola della deflazione. Le deduzioni fiscali sui redditi bassi hanno il vantaggio di agire su entrambi i lati, della domanda e dell'offerta: incrementano la domanda perché sono rivolti alle famiglie con la più alta propensione al consumo e incrementano l'offerta perché inducono le persone a lavorare di più senza aumentare il costo del lavoro per le imprese. E poiché queste misure potrebbero ridurre l'economia sommersa, avrebbero effetti limitati sul bilancio dello Stato.

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