venerdì 24 ottobre 2008

La scuola italiana: un fine o un mezzo? Diritto costituzionale all’istruzione

L'analisi dell'art. 34 della Costituzione impone una preliminare indagine di tipo terminologico, volta a chiarire se esiste e qual è la differenza fra diritto all'istruzione e diritto allo studio.

La necessità di tale chiarimento si spiega in ragione del differente impiego, da parte degli studiosi, dell'una o dell'altra delle due espressioni. Parte consistente della dottrina preferisce la prima, ritenendola giuridicamente più corretta rispetto alla locuzione «diritto allo studio» (Mastropasqua, Pototschnig, Ruscello); altri autori, al contrario, pur non negando la maggiore correttezza formale e giuridica dell'espressione «diritto all'istruzione», reputano più opportuno parlare di «diritto allo studio»: tale formula sarebbe più moderna e meglio esprimerebbe la nuova fondamentale funzione dell'istruzione, che non è quella di trasmettere un bagaglio culturale già acquisito, bensì quella di garantire la promozione e lo sviluppo della personalità dello studente (Atripaldi, Bruno, Meloncelli). Sicuramente interessante è poi l'orientamento di chi utilizza l'uno e l'altro dei due termini, attribuendo a ciascuno di essi un significato suo proprio (De Simone, Fancellu, Mazziotti Di Celso).Per «diritto all'istruzione» s'intende quello all'istruzione inferiore, di cui sono titolari tutti gli alunni della scuola dell'obbligo. L'espressione «diritto allo studio» indica, invece, il diritto di raggiungere i gradi più elevati degli studi, da riconoscersi non indistintamente in capo a tutti gli studenti, ma solo a quanti fra essi presentino specifici requisiti: capacità, merito, appartenenza a famiglie in condizioni economiche disagiate («privi di mezzi»); perciò si parla di diritto all'istruzione superiore.Quest'ultimo orientamento merita attenzione non solo perché soddisfa quell'esigenza di chiarezza cui poc’anzi si accennava, ma soprattutto perché trova la sua giustificazione proprio nel disposto costituzionale in esame.L'art. 34 Cost., infatti, dà fondamento al diritto all'istruzione nel suo secondo comma; il diritto allo studio si deduce, invece, dalla formulazione del comma successivo.
Si direbbe che, nell’avvicendarsi di riforme incompiute, si sia voluto congiungere queste due espressioni portando ideologicamente, anche se democraticamente, tutti i giovani sullo stesso piano. Purtroppo la realtà umana è altra cosa e ciascuno di noi si differenzia dagli altri. La valutazione del merito che possa portare ciascuno ad ottenere il meglio di sé da un percorso formativo, è certamente da deputarsi alla scuola dell’obbligo, ma ciò avviene? Sembra piuttosto che una gran parte delle famiglie italiane si sia posta l’obiettivo di portare al massimo livello educativo possibile i figli e ciò indipendentemente dalle loro capacità. L’intenzione è lodevole ma i risultati modesti. Infatti la maggioranza degli iscritti alle varie (troppe) discipline universitarie non completa il percorso di studi o entra nello stuolo dei “fuori corso”. La conseguenza è quella di avere giovani tra i 20 ed i 30 anni che hanno solo “perso del tempo” e le famiglie “perso molto denaro”. Soprassedendo sull’aspetto economico, si apre il grave problema del giovane che rimane frustrato dalla negatività degli esiti di studio, dallo squilibrio tra la sua documentabile istruzione e l’età che lo pone in competizione con altri più giovani di lui e più motivati o con coloro di poco più “anziani” ma con titoli di maggior valore. Quindi maggiori difficoltà di occupazione.
Ma a tutto ciò si aggiunge la scarsa preparazione scolastica che fin dalle scuole elementari, per arrivare alle stesse università, penalizza una adeguata formazione.
Alcuni decenni fa il nostro sistema scolastico si poneva ai vertici delle graduatorie mondiali ed ora, a poco a poco, è precipitato a livelli inimmaginabili. Per chi si occupa di selezione di personale a fini di assunzione aziendale questo è un grave problema in quanto il voto di diploma o di laurea non rappresenta più una referenza né tanto meno lo è il nome dell’Istituto che lo ha certificato.
Ben venga quindi una riforma del sistema educativo ma che si riporti all’obiettivo primario di formare i nostri giovani in base ai loro meriti, di ottenere una preparazione adeguata alla disciplina scelta ed al mercato di destinazione, alla realtà di non sfornare un esercito di dottori, ingegneri, professori, medici, avvocati non occupabili nel sistema economico.
Se poi vogliamo giustamente guardare alla scuola come luogo di lavoro di molti, allora, nelle forme e nei modi che evitino un tracollo immediato dei redditi derivanti, occorre riportare all’insegnamento solo coloro che ne abbiano le capacità e le competenze. Credo che insegnare sia un compito di grande difficoltà e responsabilità e quindi debba essere adeguatamente remunerato in termini meritocratici. Ma non può essere lasciato alla discrezione individuale di chi abbia pensato di “andare ad insegnare” per garantirsi uno stipendio sicuro ed un ridotto numero di ore lavorative. Facendo un parallelismo, dopo le Poste Italiane, le Ferrovie, la Sanità, le Banche, l’Alitalia anche la Scuola ha dimostrato di essere uno degli ultimi feudi di un sistema statalista inefficiente abbandonato a sé stesso dove politici e sindacati hanno sguazzato favorendo gli interessi personali a danno degli incolpevoli studenti e quindi del sistema Italia. Risalire la china sarà difficile e richiederà molto tempo e molto denaro, ma la strada da seguire sembra inesorabilmente tracciata, con o senza Gelmini.

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