sabato 19 aprile 2008

La casta dei sindacalisti

L’attacco di Luca di Montezemolo, con cui dichiara i dipendenti più vicini agli imprenditori che ai sindacati, è certamente una provocazione. Sottolinea però un problema che da anni sta trasformando il rapporto tra la base lavoratrice ed i propri rappresentanti.

Per certi versi si potrebbe affermare che i tre sindacati maggiori e le numerose sigle sindacali autonome, si sono trasformati, da anni, in partiti strutturati e piramidali con comportamenti sempre più simili a quelli dei politici. Da un lato si può riconoscere che il tipo di problemi da affrontare e la loro complessità richiedono una preparazione tecnica specifica che giustifica una sorta di professionismo pressoché inesistente negli anni ’60 e ’70 quando presero corpo ed importanza le rappresentanze di categoria. Esse rispondevano alla necessità di creare un equilibrio tra il reddito individuale del lavoratore di basso livello, la sua prestazione ed il costo della vita intesa non più solo come semplice sopravvivenza. Erano gli anni in cui gli “impiegati” erano considerati dal sindacato “i servi dei padroni” e gli operai “gli schiavi dei padroni”.
Da riconoscere il merito della realizzazione dello “Statuto dei Lavoratori”, ma da quel momento le cose hanno cominciato a cambiare. In primis la scorretta interpretazione sindacale dell’accordo di cui venivano messi in evidenza, pressoché assoluta, i diritti a scapito del controbilanciamento dei doveri . Il diritto al lavoro, sancito dalla Carta Costituzionale, fu trasformato di fatto nel diritto allo stipendio. I rappresentanti sindacali, inorgogliti dai risultati economici e normativi con il concorso colposo di una classe imprenditoriale troppo impegnata a garantirsi gli ingenti guadagni del momento, predicavano il diritto dei lavoratori a partecipare alla gestione d’impresa e guidavano i tentativi di occupazione delle fabbriche. Nel contempo si assicuravano nell’ambito dei CCNL condizioni di tutto favore per svolgere i propri compiti istituzionali mantenendo intatta la propria retribuzione e cominciando a scalare la piramide del potere all’interno del sindacato.
Fare struttura vuol dire aumentare i costi fissi e da qui la nuova politica di tesseramento ad ogni costo. Il proselitismo si rivolge pressantemente verso i soggetti deboli ma anche indiscriminatamente verso chiunque voglia “nascondersi” sotto le ali dell’interessata chioccia.
La tutela non fa distinzioni e si adopera senza analisi critica dei fatti, a difendere i lavoratori dalle “discriminazioni padronali”. Così i più tutelati finiscono di essere coloro che si approfittano della situazione (assenteisti abituali ingiustificati, fannulloni, ladri, ecc.), ma impera la necessità di garantirsi il versamento dell’importo della tessera. Colpevole anche il comportamento garantista e assistenzialista della giustizia che, nel nobile intento di tutelare la parte più debole, manda, insieme al sindacato, un messaggio distorto al mondo del lavoro: “chi è più furbo vince sempre” oppure “per guadagnare non è indispensabile fare il proprio dovere come era stato insegnato nelle famiglie oneste”. Ma, tornando alla fase della costruzione della piramide sindacale, ritroviamo che la maggior parte degli attori o è rappresentata da idealisti o da lavoratori che preferiscono rifugiarsi nelle garanzie offerte al ruolo di sindacalisti dalla normativa specifica del CCNL.
I pochi “bravi” capiscono con quanta facilità si possa strumentalizzare questa base per costruire la propria scalata. Il sistema è già stato sperimentato nei partiti e quindi perché non imitarlo?
Quando ci si interroga sulla maggiore utilità di un sindacato unito ed unico, prevalgono le logiche di partito e la garanzia di restare ognuno sulla propria poltrona. Quindi il disegno, che ai semplicioni sembrava logico e conveniente per i lavoratori, viene abbandonato con le nobili motivazioni del dover mantenere gli ideali del comunismo da un lato e della visione cristiana piuttosto che di quella laica. Ma una famiglia cristiana mangia di più o di meno di quella laica? Creare un futuro di benessere per una famiglia comunista è poi così diverso dalle altre? Sembra di si!
Mentre a livello locale si disquisiscono teorie, il partito-sindacato cresce e conquista la dignità di collocarsi stabilmente a Roma a fianco dei rispettivi partiti politici fiancheggiatori. Quei “bravi” che avevano capito adesso usano le strutture periferiche per garantirsi i finanziamenti utili ad essere, nel tempo, solidamente stabili. Così anche loro si allontanano dai lavoratori e dai loro problemi reali, proprio come i partiti dagli elettori. Il parlamentino sindacale però comincia a fare acqua e gli autonomi conquistano sempre più la fiducia degli scontenti ma questo non preoccupa molto gli appartenenti alla Casta perché hanno perso la percezione della realtà e forse sono convinti che le cose, i privilegi, debbano durare in eterno. Forse si cullano sugli otto milioni di tessere regolarmente pagate ogni anno, ma non vedono che quattro milioni di esse sono dei pensionati? Non percepiscono che i quattro milioni restanti sono solo il venti per cento dei lavoratori?
Non percepiscono CGIL, CISL e UIL che la propria realtà sia estremamente simile a quella dell’accozzaglia tra le diverse sigle dell’estrema sinistra e dei verdi che “si sono accorti” dopo essere stati cancellati politicamente, di non rappresentare più nessuno, se non sé stessi?
Non credo sia opportuno per loro di ringraziare pubblicamente Montezemolo per il realismo, ma, anziché tacciarlo di populismo, tacere e ripensare l’organizzazione sindacale, peraltro indispensabile come parte sociale, verso le esigenze di un sistema economico di domani.Ma per fare questo occorre rinunciare ad essere Casta! E allora………….?

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