martedì 8 aprile 2008

Gli stipendi dei "supermanager"

La casta dei supermanager
(da L'Espresso 04/04/08)
Matteo Arpe
Siccome molti di noi sono moderni, disincantati, aperti al mercato, fautori della concorrenza e confidenti nella competitività e nell'innovazione, non c'è nessuna ostilità verso i grandi emolumenti dei manager, ovvero dirigenti industriali, finanziari e bancari, attivi nei settori tradizionali o nei settori del terziario più o meno avanzato.

Figurarsi: vale per tutti il paradigma con cui se qualcuno si scandalizza per lo stipendio di Ibrahimovic, come a suo tempo di Maradona o Platini, e auspica la moralità del calmiere, gli si risponde a brutto grugno: guarda che se in campo ci vai tu, quei soldi non te li danno.Dopo di che, capita fra le mani un editorialino non firmato del 'Sole 24 Ore', non proprio un quotidiano ostile al capitalismo e alle imprese, che domenica 30 marzo, a pagina 10, scrive: "Il 2007 è stato un anno d'oro" per i vertici aziendali. "Tra super-stipendi, bonus e stock option, i top manager di banche, industrie e imprese di servizi hanno messo in cassa cifre da capogiro, spesso meritate ma, in alcuni casi, anche molto distanti dal valore creato per gli azionisti".Ah, però. Il quotidiano della Confindustria si riferisce a una tabellina pubblicata il giorno prima, sabato 29, in cui a pagina 37, in apertura della sezione 'Finanza e mercati', si riportava la classifica provvisoria delle retribuzioni manageriali. Classifica interessantissima, che vede al primo posto Matteo Arpe (37 milioni e mezzo lordi), l'ex amministratore delegato di Capitalia, uscito dalla banca dopo una brusca rottura con il secondo della classifica, Cesare Geronzi (24 milioni), seguito dai due ex Telecom Riccardo Ruggiero e Carlo Buora (rispettivamente 17 e quasi 12 milioni di euro).Il quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli è un solido esempio di professionalità giornalistica, e spiega il perché e il percome di tanti soldi. Qui c'è una buonuscita, qua un bonus, qui una stock option, poi una liquidazione, gli incentivi all'esodo, il compenso straordinario, il premio alla carriera, il patto di non concorrenza: insomma, c'è sempre una spiegazione a far capire perché i primi cinque della graduatoria hanno incassato 102 milioni di euro, contro i 58 dei Top Five nel 2006. Da cui si capisce che c'è una certa inflazione anche per i manager, in primo luogo, e poi che in realtà, senza il premio per le fusioni, per le integrazioni, le acquisizioni e compagnia bella, i manager devono accontentarsi, nel senso che in testa alla classifica provvisoria si situa Luca Cordero di Montezemolo, presidente della Fiat e della Ferrari (poco più di 7 milioni di euro) davanti a Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat poco meno di 7 milioni; Che dire? Boh. 'Il Sole 24 Ore' commenta con una frasetta al cianuro: "Anni fa si diceva che il problema italiano era nel considerare il salario una variabile indipendente: oggi la stessa questione sembra porsi per i manager", valutando l'aumento dei compensi in relazione al segno meno che caratterizza l'andamento della Borsa. Vero è che Marchionne e Montezemolo hanno alle spalle il risanamento della Fiat e i successi della Ferrari. Ma vero anche che ci sono dirigenti che hanno praticato soprattutto il modulo di Woody Allen 'prendi i soldi e scappa'. Catastrofiche gestioni delle ferrovie si sono tradotte in buonuscite sensazionali; tragiche corresponsabilità in casi penosi come quello dell'Alitalia hanno visto correre stipendi da fiaba.E allora qui non è certo il caso di essere moralisti, né di stracciarsi le vesti, perché siamo tutti modernissimi e competitivi e aperti e bla bla. Ma con tutti i pomposi codici etici che sono stati approvati nelle aziende, ci fosse mai stato qualcuno che avesse rispolverato qualche vecchia usanza dell'ultraliberista economia americana, dove in certe società la retribuzione dei top manager non doveva superare limiti prefissati. Si potrebbe stabilire che la remunerazione di un dirigente, fusioni o no, buonuscite e stock option comprese, non ecceda, che so, il multiplo di cento volte il salario di un usciere. È troppo poco? Il mercato disapproverebbe? I sostenitori della libertà d'impresa si straccerebbero le vesti? Ma ci sarebbe una soluzione alternativa, allora:
dopo avere tanto blaterato di trasparenza e concetti collegati, non si potrebbe connettere il compenso dei manager al rendimento aziendale? A obiettivi, fatturati, efficienze da raggiungere? Perché il mercato è bello e fa bene: ma ormai sembra che il mercato debba agire a senso unico. E questo non è bello, questo non va bene.
A proposito della casta: la sensazione è che non ci sia solo la casta politica. Qui le caste prosperano, altroché: e di Maradona e Platini se ne vedono pochini.

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