mercoledì 5 marzo 2008

Management made in Italy

La specificità del modello manageriale italiano, il ruolo della formazione continua nella determinazione e sviluppo delle imprese e della professionalità è l’ affascinante tema su cui sviluppare un dibattito.

La ricerca - promossa da Fondirigenti e realizzata in collaborazione con la Facoltà di Economia dell’Università Luiss G. Carli, l’Università C.Cattaneo LIUC ed il Centro Studi di Confindustria – riguarda l’analisi e la valutazione dei punti forti e delle criticità del modello imprenditoriale e manageriale del sistema delle piccole e medie imprese. Queste rappresentano il 99,9% delle aziende italiane; l’82,2% dei dipendenti e contribuiscono per il 72,5% del PIL, ma con una forte criticità in quanto su 19.515 aziende 15.005 hanno meno di tre dirigenti, 3332 meno di dieci e solamente 519 più di venti.

E’ importante definire un modello di competitività radicato sul territorio, in cui sia l’imprenditore sia il management possano riconoscersi per fare sistema contro il declino e che sia applicabile a tutti i settori imprenditoriali.
La ricerca mette in evidenza i limiti metodologici che rendono difficoltosa la rilevazione delle competenze all’interno delle organizzazioni e della necessità di contestualizzare la definizione delle competenze sulla base delle caratteristiche organizzative ed ambientali. Ad esempio il sistema istituzionale, il contesto territoriale, la cultura e le caratteristiche sociali sono alcuni dei fattori che influiscono sul modello manageriale ovvero sui comportamenti. Infine gli interventi formativi debbono essere inseriti tra gli strumenti di sviluppo che hanno come base la consapevolezza del mix di competenze richiesto dal ruolo.

La competenza può essere traducibile in comportamenti lavorativi osservabili e, pertanto, misurabili (rendimento della mansione) e, posto che “il grado di successo dell’impresa è l’effetto del modello di competenza... e non la causa”, appare opportuno chiedersi cosa influenzi la determinazione di un “modello italiano” di management e di organizzazione di impresa, i fabbisogni di competenza per fare fronte alle nuove sfide.

Un particolare aspetto riguarda la sovrapposizione tra ruoli imprenditoriali e manageriali che da sempre denota una caratteristica distintiva italiana; nelle piccole e medie aziende le carriere si sviluppano lungo la dimensione verticale, orizzontale e radiale attraverso la mobilità. L’indagine, seppure in modo contraddittorio, evidenzia che sovente i manager di successo maturano una esperienza di lavoro attraverso la combinazione delle tre direttrici di carriera, mentre le carriere della dimensione orizzontale contribuiscono alla diversificazione delle competenze e quindi diminuiscono il rischio di obsolescenza.
La mobilità interaziendale rappresenta per il manager la prosecuzione di un percorso di carriera che valorizza le competenze acquisite precedentemente.

Per quanto riguarda i rapporti tra proprietà e management – si parte dal classico modello di impresa polarizzato su due fronti: Imprese Familiari e Imprese Manageriali che hanno caratterizzato rispettivamente la prima era industriale e la grande impresa, connotati da diversità di comportamenti e dei fattori organizzativi.
Uno dei punti di interesse per la ricerca è l’esame di casi di imprese caratterizzate da capitalismo familiare che presentano performance di successo in Italia ed all’estero tentando di dare una risposta se in questi modelli i fattori di competitività strategico aziendale e le competenze manageriali risultino variabili allineate o indipendenti tra di loro.
Fondamentale appare l’elemento fiduciario e personale che condiziona sovente la scelta dei collaboratori, i metodi di gestione e di valutazione.

Bisogna condividere il valore del lavoro e della continuità dell’impresa, del suo mondo, delle sue regole per poter instaurare un rapporto solido e fiduciario con l’ imprenditore.
Il territorio si configura quale risorsa insostituibile in qualità di custode dei saperi tecnico produttivi, del sapere ambientale, di modelli storico-culturali e diventa per il sistema produttivo locale, fattore di coesione, di identità di attivatore di sinergie e reti.
La condivisione dello stesso ambiente di vita (scuola, quartiere, abitudini) con la comunità degli altri membri dell’azienda si trasforma in un potente meccanismo partecipativo.

Le caratteristiche che emergono per il modello italiano di management sono stretta integrazione tra funzioni imprenditoriali e dirigenziali; diffusione della cultura manageriale/dirigenziale; forte legame con il territorio, le reti (sociali, familiari, ...); prevalenza di meccanismi informali/implicit per la gestione, organizzazione e formazione.
I punti di forza sono: polivalenza, interdisciplinarietà, specificità aziendali; prevalenza delle competenze sulle qualificazioni; capacità di incidere sull’organizzazione, innovazione, orientamento all’utenza; flessibilità organizzativa: poche procedure e regole formali, poca burocrazia; capacità relazionali.

Analizziamo anche i punti di debolezza: forte limite di capacità tecnico professionali in aree specifiche: finanza, logistica, risorse umane; ridotte opportunità di mobilità verticale, orizzontale; difficoltà a internazionalizzare; difficoltà di ricorso al capitale di rischio e finanza innovativa; scarsa trasparenza e condizionamenti extra business (familiari, di contesto politico locale, ecc.) e potenziali conflitti di interesse.

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Questo modello si sta modificando a causa dei continui cambiamenti: crisi della grande impresa; integrazione europea e globalizzazione (il manager italiano è e dovrà essere anche europeo); crisi del sistema di istruzione, università e ricerca; crisi dei sistemi nazionali e locali di competitività ed innovazione; vincoli manageriali alla crescita dimensionale delle imprese, ecc..

Per i relatori questo modello italiano potrebbe essere “esportato” anche nei paesi del nord Africa, Grecia, nei Balcani, in quanto si adatta meglio dei modelli anglosassoni e quindi potrebbe contribuire alla creazione di posti di lavoro manageriali.

Alcune riflessioni personali a margine della stimolante ricerca.
La prima: nel modello non vi è traccia di un comportamento etico che possa identificare il management made in Italy. Soprattutto, dopo i recenti avvenimenti Parmalat e Cirio, questo lascia perplessi.
La seconda riguarda la mobilità orizzontale in cui sarebbe meglio parlare di necessità tecnico-organizzative che fanno presidiare queste aree da uno stesso manager. La dimensione dell’impresa infatti è tale da non giustificare, dal punto di vista dei costi, altri manager.

La terza riguarda il punto di forza, il rapporto fiduciario proprietà - manager nelle piccole e medie aziende. La cultura familiare dell’imprenditore intesa come sistema di idee, valori, dinamiche familiari e aziendali, la radicalizzazione sul territorio si trasformano in criticità, in quanto il manager “non di casa” viene rifiutato e questo indipendentemente dalla capacità, professionalità ed esperienze personali.Provare per credere, come diceva una felice battuta in uno spot pubblicitario!

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