domenica 30 dicembre 2007

Quando la dirigenza sarà una categoria professionale?

Il Dirigente, un Manager, il primo dei dipendenti?
Come ci ricorda l'avv. Daniela Lazzati, nel suo articolo "Riconoscimento della qualifica di dirigente" l'art. 2095 del Codice Civile dispone che "I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e operai. Le leggi speciali e le norme corporative, in relazione a ciascun tipo di produzione ed alla particolare struttura dell'impresa, determinano i requisiti di appartenenza alle suindicate categorie".Per quanto concerne i dirigenti industriali, è l'art. 1 del C.C.N.L.a definire i requisiti di appartenenza alla categoria; tale norma così dispone: "Sono dirigenti i prestatori di lavoro per i quali sussistono le condizioni di subordinazione di cui all'art.2094 del Codice Civile e che ricoprono nell'azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplicano le loro funzioni al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi di impresa... L'esistenza di fatto delle condizioni di cui sopra comporta l'attribuzione della qualifica e quindi l'applicabilità del presente contratto..."

La Corte di Cassazione ha anche sentenziato: "La figura professionale del dirigente è caratterizzata dall'autonomia e dalla discrezionalità delle decisioni e dalla mancanza di un avera e propria dipendenza gerarchica, nonchè dall'ampiezza delle funzioni, tali da influire sulla conduzione dell'intera azienda o di un suo ramo autonomo....(16/6/2003 n.9654)" e"Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, la qualifica di dirigente spetta al prestatore di lavoro, che operando sul piano gerarchico più elevato, sia preposto alla direzione dell'intera azienda o di un ramo autonomo....con ampi poteri discrezionali pur nel quadro delle direttive dell'imprenditore...(16/6/2003 n.9640)" ed infine "La qualifica di dirigente spetta soltanto al prestatore di lavoro subordinato che sia preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale ovvero ad una branca o settore autonomo della stessa e sia investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentono, sia pur nell'osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell'azienda, assumendo la corrispondente responsabilità ad alto livello...(22/12/2006 n.27464)".Ne risulta che, in maniera ineluttabile, il Codice Civile, il C.C.N.L. sottoscritto da Confindustria e Confapi con Federmanager e le sentenze della Suprema Corte, oltre che identificare la categoria, definiscono con chiarezza il ruolo del dirigente e la sua mission. Ma chi stabilisce le competenze ela professionalità del candidato dirigente? Tale potere sta nelle mani dell'imprenditore o, nelle aziende di medio/grandi dimensioni, in quelle dell'Amministratore Delegato. Data la struttura del tessuto industriale italiano, basata su aziende medio/piccole, la grande maggioranza di dirigenti viene nominata dagli imprenditori. Tutto ciò è storicamente normale, però sorge una domanda: "Quali sono i parametri valutativi oggettivi che rendono questi dirigenti omogenei tra di loro in termini di professionalità se la valutazione di nomina è puramente soggettiva?". Forse si può rispondere che l'incarico affidato e la conseguente posizione nell'organigramma: Direttore Generale, Direttore di Stabilimento, Direttore Commerciale, ecc., ne attestino gli attributi. In fin dei conti se viene messa la persona sbagliata al posto giusto, è l'azienda a venire danneggiata.E' vero, ma il dirigente in questione come ne esce? E quale immagine ricade su tutta la categoria? Il C.C.N.L., con i suoi ammortizzatori impedisce il declassamento ed attenua l'impatto economico del licenziamento, ma non tutela la buona immagine degli altri dirigenti. Un avvocato, un medico, un notaio, un ingegnere possono essere radiati a tutela della categoria, ma prima ne devono essere ammessi. Un dirigente ne acquisisce "i titoli" per semplice "passaggio di categoria". Se esce, per merito o demerito, da una azienda resta con la sua qualifica o la perde a discrezione della nuova assunzione. Ma può esistere un rapporto di qualche tipo tra l'incarico dirigenziale, l'esito della sua attività, la valutazione del suo modo di operare che offra la possibilità di tutelare la professionalità dei tanti bravi dirigenti e quindi delle aziende gestite? A quale formazione gestionale documentabile e verificata viene sottoposto il futuro dirigente?Quando l'imprenditore nomina dirigente se stesso e/o una parte dei soci e/o personaggi della famiglia, non si viene a creare una distonia operativa e funzionale rispetto a quei dirigenti che vestono solo l'abito del puro prestatore di lavoro? Con quali criteri possono coesistere queste diverse anime all'interno di un rapporto di lavoro regolamentato dal C.C.N.L. dove le regole scritte per gli uni non sono di fatto quelle rispettate dagli altri che, in altra veste, le hanno volute ed imposte ma applicabili "solo ai colleghi"?. Perchè i benefici economici e previdenziali vengono sfruttati da coloro che, non appartenendo di fatto al mondo dei prestatori d'opera, hanno ben altre soluzioni e disponibilità economico-finanziarie?Come è possibile che l'imprenditore-dirigente sia un collega del suo dirigente-lavoratore?Nel momento in cui ci si pone l'interrogativo di come evolvere la categoria dirigente per riqualificarne l'immagine e renderla maggiormente caratterizzata da elementi distintivi, dando vita ad un nuovo sistema di relazioni industriali, occorre anche dare una risposta a queste domande. Occorre che vi sia chiarezza di ruoli e che ognuno stia dalla propria parte, ovviamente facendo il proprio interesse, ma anche stabilendo regole certe, trasparenti e cetificate dove essere dirigenti significhi la stessa cosa per tutti e non più una nomina ricevuta per soggettività.

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