sabato 8 dicembre 2007

Il primo giorno da manager

Questo lavoro lo svolgeva già da alcuni anni e lo aveva sempre fatto con tutto l’impegno possibile guidando la sua squadra, giovane ma determinata. Tante decisioni prese tra mille dubbi ma con la certezza di agire e crescere insieme con loro, il team vincente.
Agli inizi tutto era stato molto difficile, i collaboratori vivevano in una situazione aziendale con gravissime difficoltà economiche; la produzione operava con macchine quanto meno obsolete, i prodotti di modesta qualità, ben poco remunerativi. I clienti spadroneggiavano, umiliando i sacrifici di questo sparuto gruppo di combattenti, situato in locali dove il disordine e lo sporco raccontavano anni di abbandono della gestione. Gli uffici non evidenziavano nulla di diverso, ragnatele negli angoli di soffitti, una volta bianchi, e pavimenti dove la traccia più chiara lasciata dallo strofinio delle scarpe al centro dei corridoi faceva da paradossale passatoia.
Volti preoccupati di persone che avevano forse perso la fiducia nel miglioramento ma tenacemente aggrappate al loro lavoro, alla fonte di sostentamento, in un paese di campagna dove sarebbe stato difficile trovare alternative.
Anche il responsabile dell’azienda si era oramai adeguato a quella realtà, da cui non era riuscito ad evadere, ed aveva scelto di credere che il cambiamento sarebbe venuto da solo una volta che avessero guadagnato di più. Quindi stessa politica del “filo di ferro”, taglio dei costi, ritmi di lavoro sfrenati con l’assillo di caricare in tempo il camion del cliente, testa bassa e avanti…….
I bilanci, un anno dopo l’altro, avevano scoraggiato la proprietà che decise di cambiare qualcosa ed è quando arrivò il nuovo responsabile.
37 anni, poca esperienza della gestione aziendale e scarsa attitudine all’operatività tecnica ma con in testa una domanda esistenziale: “Che cosa farò da grande?”.
La prima decisione, di cui non si sarebbe mai pentito, fu quella di parlare a quelle persone, di esprimere con sincerità i propri limiti chiedendo a ciascuno che continuasse a produrre lo stesso impegno ma con la volontà di migliorare il proprio lavoro. Ad ognuno di fare quello che aveva imparato ma condividendo con il gruppo le idee che sarebbero sorte e discutendone l’applicazione.
Lui avrebbe ascoltato e cercato di trovare i mezzi per la loro realizzazione. Certo, senza risorse economiche sarebbe stato impossibile dare una svolta, ma senza idee nessuno avrebbe convinto la proprietà a metterle a disposizione.
D’altra parte le scelte possibili erano solo due, rilanciare o fallire.
Da questo choc molti dei dipendenti si ripresero rapidamente ed il gruppo cominciò a macinare idee capendo che bisognava cambiare tutto. I prodotti erano delle semplici “commodities” peraltro di qualità modesta, i clienti degli sfruttatori della debole posizione dell’azienda, l’ambiente troppo deprimente e la fiducia in se stessi sotto zero. In quel momento si realizzò la massima sintonia tra lui ed il gruppo, infatti, tutti condividevano la situazione da cui si sarebbe dovuti uscire.
Occorreva cercare nuovi prodotti, migliorarsi tecnicamente, fare team e crederci fortemente nella convinzione che ciascuno avrebbe dato il meglio. Trasmettere questo messaggio alla proprietà non fu immediato, occorrevano analisi, dati concreti, piani di sviluppo, quantificazione degli investimenti, oltre a convincere con l’entusiasmo di chi si mette in gioco.
A poco a poco l’orizzonte si tinse di rosa, i fondi arrivarono, i bilanci presentarono voci di pareggio, il team stava vincendo. Nel gruppo entrarono nuovi giovani collaboratori che rimasero contagiati dallo spirito che animava le persone e il team si arricchì di nuove forze e competenze.
I nuovi prodotti, il miglioramento della qualità e del servizio avevano allargato il mercato mettendo un piede in Europa. Il fatturato era cresciuto rapidamente e dopo tre anni il cash flow stava ricompensando la proprietà per aver creduto in quella strada.
Alla vigilia di Natale arrivò la convocazione. Il presidente della società gli riconobbe il merito del cambiamento ripercorrendo con lui le tappe di quel durissimo, ma esaltante, cammino ed attribuendogli la qualifica di Dirigente. Da quel giorno avrebbe dovuto continuare a fare ciò per cui si era battuto fino ad allora, con nuove sfide, ma sapendo che “da grande” sarebbe stato un manager.

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