martedì 4 ottobre 2011

E' iniziata la Terza Rivoluzione Industriale?

Jeremy Rifkin è il fondatore e il presidente della Foundation on Economic Trends di Washington si è laureato in economia del Wharton School of Finance and Commerce dell’Università della Pennsylvania, e in affari internazionali alla Fletcher School of Law and Diplomacy della Tufts University.
Verso la metà degli anni settanta, i suoi libri Common Sense II e Own Your Own Job sono stati i primi a divulgare l’idea di proprietà e gestione delle imprese da parte dei loro lavoratori. Oggi, venticinque anni più tardi, la United Airlines e altre grandi società sono state acquistate dai propri dipendenti e stanno cambiando il modo in cui si fanno affari in America.

Alla fine degli anni settanta, Jeremy Rifkin è stato co-autore di The North Will Rise Again: Pensions, Politics and Power in the 1980s, un saggio pionieristico al quale viene spesso riconosciuto il merito di aver cambiato l’atteggiamento dell’opinione pubblica e la politica governativa rispetto all’uso sociale di centinaia di miliardi di dollari investiti nei fondi pensionistici statunitensi. Negli anni ottanta, Jeremy Rifkin ha pubblicato Entropy, il best-seller internazionale in cui per la prima volta si fondevano la teoria economica e quella ambientale. Il libro ha contribuito a lanciare quelli che sarebbero poi diventati gli attuali concetti di sviluppo sostenibile.
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Una fatica inutile quella del nucleare. Perché se anche rimpiazzassimo nei prossimi anni tutte le centrali nucleari esistenti nel mondo, il risparmio di emissioni sarebbe comunque un'inezia. Un quarto di quel che serve per cominciare a rimettere le briglie ad un clima impazzito. Jeremy Rifkin non ha dubbi: quella atomica è una strada sbagliata, di retroguardia. Come curare malattie nuovissime con la penicillina. Non c'è neppure bisogno dei campanelli d’allarme tipo Krsko o Fukushima per capirlo.
Basta guardare i numeri senza le lenti dell'ideologia. Proprio l'attitudine che, in Italia, scarseggia di più per il guru dell'economia all'idrogeno. Si vedrebbe così che l'uranio, come il petrolio, presto imboccherà la sua parabola discendente: ce ne sarà di meno e costerà di più. Che il problema dello smaltimento delle scorie sia drammaticamente aperto anche negli Stati Uniti dove lo studiano da anni. "Vi immaginate uno scenario tipo Napoli, ma dove i rifiuti fossero radioattivi?" è il suo inquietante memento. Meglio puntare su quella che lui chiama la "Terza Rivoluzione industriale".

Da una sua intervista del 2008:

C'è un'energia di destra e una di sinistra?
"Direi modelli energetici élitari e altri democratici. Il nucleare è centralizzato, dall'alto in basso, appartiene al XX secolo, all'epoca del carbone. Servono grossi investimenti iniziali e altrettanti di tipo geopolitico per difenderlo".

E il modello democratico, invece?
"È quello che io chiamo la "Terza Rivoluzione Industriale". Un sistema distribuito, dal basso verso l'alto, in cui ognuno si produce la propria energia rinnovabile e la scambia con gli altri attraverso "reti intelligenti" come oggi produce e condivide l'informazione, tramite internet".

Immagina che sia possibile applicarlo anche in Italia?
"Sta scherzando? Voi siete messi meglio di tutti: avete il sole dappertutto, il vento in molte località, in Toscana c'è anche il geotermico, in Trentino si possono sfruttare le biomasse. Eppure, con tutto questo ben di dio, siete indietro rispetto a Germania, Scandinavia e Spagna per quel che riguarda le rinnovabili".

Ci dica come si affronta questa transizione.
"Bisogna cominciare a costruire abitazioni che abbiano al loro interno le tecnologie per produrre energie rinnovabili, come il fotovoltaico. Non è un'opzione, ma un obbligo comunitario quello di arrivare al 20%: voi da dove avete cominciato? Oggi il settore delle costruzioni è il primo fattore di riscaldamento del pianeta, domani potrebbe diventare parte della soluzione. Poi serviranno batterie a idrogeno per immagazzinare questa energia. E una rete intelligente per distribuirla".

Oltre che motivi etici, sembrano essercene anche di economici molto convincenti. È così?
"In Spagna, che sta procedendo molto rapidamente verso le rinnovabili, alcune nuove compagnie hanno fatto un sacco di soldi proprio realizzando soluzioni "verdi". Il nucleare, invece, è una tecnologia matura e non creerà nessun posto di lavoro. Le energie alternative potrebbero produrne migliaia".

A questo punto solo un pazzo potrebbe scegliere un'altra strada. Eppure non è solo Roma ad aver riconsiderato il nucleare. Perché? "Credo che abbia molto a che fare con un gap generazionale. E ve lo dice uno che ha 63 anni. I vecchi politici, cresciuti con la sindrome del controllo, si sentono più a loro agio in un mondo in cui anche l'energia è somministrata da un'entità superiore".

Quindi, secondo Rifkin; bisogna cambiare e subito. Di fatto la “Terza Rivoluzione industriale” è già iniziata e la crisi economica in corso deve convincerci ad affrettare il passo verso un nuovo paradigma per la nostra società. Questo modello richiede di abbandonare la dipendenza energetica dal petrolio ma anche di mutare radicalmente i rapporti economici, la politica, l’istruzione e l’ambiente.
Rifkin sintetizza quest’evoluzione affermando che:”Verso la fine degli Anni Settanta è terminata la Prima Rivoluzione industriale, nel senso che abbiamo smesso di vivere grazie ala ricchezza che producevamo. Siamo entrati nella Seconda Rivoluzione industriale in cui, poco alla volta, abbiamo bruciato i nostri risparmi e cominciato a vivere di debito”. Da qui l’esposizione a crisi ricorrenti in quanto vengono immesse forti quantità di denaro e diciamo di tagliare le spese. Ma la ripresa si alimenta spendendo e le spese fanno crescere la domanda facendo sì che i Paesi emergenti aumentano la produzione per soddisfarla e questo fa salire i costi delle materie prime come il petrolio. La conseguenza è un aumento dei costi di tutti i prodotti tra i quali quelli alimentari e si torna ad indebitarsi per fronteggiare i maggiori costi. Un circolo vizioso da cui non si esce.” “Bisogna pertanto modificare il nostro paradigma economico, smettere di consumare le ricchezze del passato e tornare a produrre liberando la nostra creatività”.
Uno degli assi portanti di questa Terza Rivoluzione sarà rappresentato dal modo di produrre l’energia. Non più calata dall’alto ed imposta ma prodotta dal basso da milioni di attività per il proprio consumo e con la commercializzazione dell’eccedente. Quindi un nuovo modello di business collaborativo sul modello del capitalismo distribuito. Esso produrrà una moltiplicazione dei servizi con grandi economie di scala riducendo i capitali necessari per avviare e sostenere le attività stesse, l’energia necessaria ed i costi del lavoro a beneficio della produttività. Ovvio l’impatto sul modo di fare politica dove sarebbero dominanti non più i partiti centrali, bensì le relazioni sociali trasversali sostenute dal sistema informatico come è Internet.
Mentre la Prima e Seconda Rivoluzione Industriale erano accompagnate dalle economie nazionali e dalla governance della Nazione-Stato, la Terza, essendo distributiva e collaborativa per natura, progredisce lateralmente e favorisce le economie e le unioni governative continentali. Nella nuova Era globalmente connessa, la missione primaria dell’istruzione sarà preparare gli studenti a pensare ed agire come parte di una biosfera condivisa. L’approccio dominante dell’insegnamento dall’alto al basso, che ha l’obiettivo di creare un essere competitivo ed autonomo, sta dando spazio ad una istruzione “distribuita e collaborativa”.
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