giovedì 1 marzo 2007

Passaggi generazionali nelle imprese

L’impresa familiare : Il problema non è soltanto la successione

Le imprese familiari, vale a dire le imprese controllate da una o più famiglie che, insieme, ne assicurano la conduzione, costituiscono una realtà di importanza fondamentale nel nostro Paese. Esse, come tutte le altre imprese, devono confrontarsi oggi con una realtà esterna caratterizzata da accelerazione, internazionalizzazione, innovazione continua, turbolenza e discontinuità.
Discontinuità nelle scelte strategiche, nelle soluzioni tecnologiche, finanziarie, organizzative, gestionali e, aspetto questo di gran lunga più complesso, discontinuità nella cultura e nella mentalità necessarie per competere con successo. Ne consegue l'esigenza vitale di professionalità, unità e continuità (salvo patologie) di guida.

A queste esigenze pressanti di carattere obiettivo, le imprese familiari associano complessità peculiari molto rilevanti.
Innanzitutto, va ricordato che famiglia ed impresa sono due istituzioni con finalità diverse, anzi, per certi aspetti, opposte: la famiglia persegue protezione e sicurezza, mentre l'impresa significa competizione e rischio. In mancanza di criteri chiari e predefiniti, chi si trova in una impresa familiare a prendere decisioni, che coinvolgono membri della famiglia, finisce inevitabilmente per far prevalere bisogni ora della famiglia, ora dell'impresa. Ad esempio, un livello retributivo, per la famiglia tende a configurarsi in relazione al livello di agiatezza previsto per i propri membri, mentre per l'impresa, deve risultare coerente con la retribuzione di mercato e con la politica retributiva aziendale.
Si generano inevitabili compromessi, sull'onda del clima familiare ed aziendale del momento e, quindi, difficilmente interpretabili sul piano obiettivo, compromessi che finiscono per apparire arbitrari non solo all'esterno, ma anche all'interno della famiglia.
Lo stesso si può dire per ogni altra decisione che coinvolga un familiare: selezione, promozione, ecc..
La contraddizione alla base risiede nel fatto che, per l'imprenditore, un familiare, soprattutto se stretto, rappresenta un fine, mentre un collaboratore, rappresenta un mezzo (anche se detto in senso buono ).
Questo è soltanto uno dei numerosi motivi di complessità, di carattere oggettivo, che caratterizzano le imprese familiari.
Molti drammi familiari ed aziendali esplodono per totale mancanza di considerazione pratica di realtà naturali e scontate. Perché, è il caso di dirlo, si ... dimentica talvolta il buon senso.
Quando l'azionista è unico, vi è una linea, buona o cattiva che sia, ma unica. In tal caso, non si generano divergenze o incompatibilità tra azionisti per quanto concerne, ad esempio, la volontà di investire oppure di spremere l'impresa, o l'atteggiamento nei confronti del rischio imprenditoriale.
Ma le famiglie spesso hanno più di un membro attivo nell'impresa e, comunque, si ramificano e si sviluppano: da uno (fondatore), si passa ad alcuni (figli/e), a molti (cognati/e, generi, nuore, nipoti, ecc.). Da una situazione di omogeneità e coerenza (unico azionista), si passa fatalmente ad una situazione di capacità, atteggiamenti ed esigenze diversi, ma sempre più divaricati. Per contro, i legami e la voglia di solidarietà si indeboliscono man mano che si passa dal rapporto tra padre e figlio/a, al rapporto tra fratelli e sorelle, al rapporto tra parenti acquisiti, cugini, ecc. A questo si aggiungano le ulteriori complicazioni dell'influenza dei coniugi delle rispettive parti originariamente in causa.
Le forze centrifughe sono numerosissime ed alimentate da una miscela sempre più eterogenea di sentimenti contrastanti (affetti, invidie, interessi, calcoli, doveri, gelosie, opportunismi, speranze, imbarazzi, illusioni, ecc.). Spesso, proprio dove i buoni rapporti hanno protratto a lungo le situazioni di compromesso, i conflitti esplodono improvvisamente, violenti e insanabili, danneggiando anche i rapporti familiari.
Anche la stessa persona cambia motivazioni nei vari stadi del ciclo di vita: da giovani si è all'attacco, per realizzare se stessi, per dimostrare di essere qualcuno; successivamente subentra un progressivo atteggiamento di prudenza, se non altro per non rischiare di perdere quanto si è realizzato, grazie a capacità e sacrifici, prevale l’egoismo.
Questo è uno dei motivi alla base della difficoltà di coesistenza di generazioni diverse.
Paradossalmente, il rischio di questi grovigli è tanto più elevato quanto più vi sono buoni rapporti interpersonali. Da una parte, in omaggio alla sensibilità interpersonale e alla salvaguardia dei buoni rapporti familiari, si generano decisioni aziendali all'insegna del compromesso, pur in presenza di convinzioni individuali professionalmente diverse.
Quanto sia dannoso per un'impresa vivere in un'epoca tanto impegnativa come l'attuale, all'insegna dei compromessi, spesso lenti e faticosi, con una commistione spaventosa di esigenze aziendali, familiari, personali, è facile intuirlo. Nel contempo, spesso non si provvede a definire ed attuare i necessari criteri di comportamento e di funzionamento, nell'ingenua convinzione che non si genereranno mai dissensi seri e/o per un mal interpretato pudore od imbarazzo ad affrontare in modo chiaro ed esplicito certi temi e ad operare le scelte del caso.

Tutto cambia!
Le esigenze delle famiglie, dei singoli rami familiari, dei singoli membri, delle imprese; cambiano i campi di attività di queste ultime, i loro prodotti, ancor più in questa epoca di trasformazioni profonde ed irreversibili.
Se mancano valori comuni, criteri di comportamento e di funzionamento, condivisi ed espliciti, prima o poi si giunge (comunque) alla disgregazione. E' solo questione di tempo.
A meno che non si venda prima.

Va aggiunto che, come è stato acutamente osservato, i soci esterni si scelgono, generalmente dopo un rigoroso processo di cooptazione mentre i soci parenti si trovano. Con i soci terzi ci si preoccupa di definire criteri e regole di comportamento e funzionamento; con i soci parenti, generalmente questo non avviene.

Nelle imprese familiari, emergono chiaramente tre esigenze fondamentali da salvaguardare:
tutela della famiglia, dei buoni rapporti tra i suoi membri, nonché dei patrimoni
tutela dell'impresa, delle sue possibilità di sviluppo, delle sue capacità competitive, della sua governabilità
flessibilità/modificabilità delle soluzioni adottate, in relazione ai continui mutamenti delle motivazioni e degli interessi della famiglia in generale, dei rami familiari, dei singoli, nonché dello scenario esterno e delle esigenze dell'impresa.
La scelta, da parte di una famiglia, di svolgere un ruolo imprenditoriale è una scelta molto impegnativa, che non dovrebbe essere data per scontata in presenza di pluralità di membri, nemmeno dal leader più carismatico.
Ancor più impegnativa, se si intende perseguire la continuità del legame Famiglia-Impresa, anche attraverso le generazioni.
Non si è obbligati ad essere una famiglia imprenditoriale, si può e si deve valutare e decidere se volerlo essere o meno. Ma in caso affermativo, occorre creare le regole.
E' pensabile un Paese senza una valida Costituzione, oppure un'impresa senza un adeguato statuto?
Il desiderio di essere una famiglia imprenditoriale di successo, e di tramandare questo successo, è molto vivo e diffuso nel nostro Paese.
La consapevolezza dei problemi da risolvere e della loro natura, affinché tale proposito si realizzi, lo è meno.
Spesso si ritiene, erroneamente, che si tratti di un problema esclusivamente legale, fiscale o successorio, mentre la vera sfida è arrivare alla successione.
Alcuni pensano che tutto ciò che non sia traducibile in norme dello Stato non abbia valore, anzi sia una ingenuità, quasi un non senso. Una visione siffatta è troppo pessimistica nei confronti del genere umano, una visione così negativa da escludere che ci possano essere valori, scelte, comportamenti anche non costretti da leggi o da altre forze esterne vincolanti.
La nostra vita è piena di circostanze in cui tutti, o moltissimi, ci comportiamo in un certo modo perché lo vogliamo, perché abbiamo condiviso, perché ciò che abbiamo condiviso si è tradotto in forte motivazione interiore.
Perché ci comportiamo in un certo modo a Natale? Nei compleanni? Nei rapporti interpersonali ed in molteplici occasioni della vita? C’è qualche legge dello Stato che ci costringe? Non abbiamo creato liberamente le regole e le rispettiamo altrettanto liberamente anche quando giochiamo a “ ruba-mazzetto” ?
Le istituzioni influiscono sui comportamenti. Istituzioni sono il Parlamento, le leggi, ecc. Ma istituzioni sono anche le regole che esseri umani, persone perbene, o semplicemente persone con buon senso, dotate di razionalità, decidono liberamente di creare e di rispettare.
Nel caso specifico delle imprese familiari, dove, in linea di principio, non ci sono conflitti di interesse, dove tutti vincono oppure tutti perdono, si tratta di tutelare interessi comuni, materiali, affettivi e morali, interessi che coinvolgono altri esseri umani, anzi i propri cari.
Ci possono essere casi di capitalismo istintivo, vale a dire di imprenditori che possono esprimere se stessi, la loro forza creativa, soltanto in una realtà dove possono spaziare seguendo esclusivamente il proprio istinto, il proprio spontaneismo. Si tratta di imprese non meno rispettabili, ma destinate a seguire il ciclo di vita del loro artefice o, ancor più spesso, delle idee di quest'ultimo.
Non conosco alcun imprenditore che non voglia contemporaneamente il bene della propria famiglia ed il bene della propria impresa. Perché tutto ciò si realizzi, occorre individuare, esplicitare, concordare e praticare quei valori e quei criteri, cioè le regole, che possano da una
parte assicurare il rispetto delle esigenze e delle differenze di ciascun membro della famiglia, dall’altra evitare anarchia e ingovernabilità.
L'argomento presenta una grossa insidia: occorre affrontarlo quando i problemi non si sono ancora generati. In presenza di conflitti di interesse, tra membri della famiglia o tra rami familiari, la possibilità di trovare regole che incontrino il consenso unanime si riduce fortemente. La grandezza di un imprenditore e di una famiglia imprenditoriale si rivela anche e soprattutto nel saper prevenire i problemi anziché dar vita ad un pompieraggio continuo, spesso con poche speranze.

La professionalità non è ereditaria

Le imprese familiari, realtà diffusa ed attiva nel nostro Paese, sono positivamente caratterizzate da una forte dedizione da parte della proprietà, disposta a grandi sacrifici pur di salvaguardare le esigenze di sviluppo e di continuità dell'impresa stessa.
Contemporaneamente, tali imprese sono meno positivamente caratterizzate da uno scarso rispetto dei ruoli. Il riferimento è, in particolare, ai ruoli di Azionista, Amministratore e Manager.
Semplificando, occorre ricordare che:
a) Azionista é chi ha un legame proprietario e patrimoniale, proporzionato alla quota di azioni possedute e che sopporta il rischio di impresa,
b) Amministratore é chi, su designazione dell'azionista, garantisce in misura diversa a seconda della carica ricoperta (presidente più o meno operativo, vice presidente più o meno operativo, consigliere delegato, semplice membro del consiglio di amministrazione, amministratore unico, ecc.), che l'impresa venga amministrata coerentemente con la volontà dell' azionista, ottimizzandone i risultati rispetto alle finalità ed agli obiettivi fondamentali dell' impresa stessa
c) Manager é chi, designato dall'amministratore, assolve a responsabilità gestionali, più o meno ampie in relazione alla posizione ricoperta (direttore generale, direttore commerciale, ecc.), e garantisce il miglior contributo professionale per il conseguimento degli obiettivi fondamentali dell'impresa e degli obiettivi specifici di sua competenza, assicurando la gestione efficace ed efficiente delle risorse.
I tre ruoli pre-indicati presentano caratteristiche molto diverse. Essi possono coesistere in una stessa persona, ma non per questo devono essere confusi, soprattutto dal punto di vista dei diritti/doveri relativi.
La proprietà (e quindi il ruolo di azionista) si può trasmettere ereditariamente. I ruoli di amministratore e di manager, invece, presuppongono competenza ed esperienza non trasmissibili ereditariamente. E' prassi purtroppo diffusa comporre i consigli di amministrazione di imprese direttamente esposte alla competizione, sulla base della ripartizione azionaria, anziché della professionalità.
L'amministratore deve saper amministrare. Il ruolo dell' amministratore coincide con il ruolo dell'Imprenditore che, notoriamente, richiede specifiche qualità.
In non pochi casi di imprese familiari, caratterizzate da diffidenza reciproca tra i soci, alcuni amministratori svolgono essenzialmente il compito di controllare gli altri amministratori.
Per inciso, ricordiamo che la carenza di legittimazione professionale (cioè la mancanza della competenza necessaria) ad occupare le varie cariche é un problema drammatico del nostro Paese, non affatto limitato alle imprese familiari.
Lo sforzo di moralizzazione é una condizione certamente necessaria ma non sufficiente per risultare un Paese moderno. Occorre anche la professionalità.
Il concorrente più pericoloso, non solo per se stesso, é il concorrente incompetente.
Si pensi, ad esempio, ai guai in termini di redditività dell'intero settore che può combinare un concorrente che non abbia, al suo interno, la capacità di calcolare correttamente i costi e che finisca, come sovente é accaduto e accade in situazioni di difficoltà, per vendere in perdita ... senza averne piena coscienza.
Ecco perché le imprese più valide sono aperte a far circolare le loro soluzioni manageriali ed organizzative, spesso anche nei confronti dei loro concorrenti diretti che operano lealmente sullo stesso mercato.
Per un buon operatore, la qualità professionale dell'intero settore in cui agisce é un aspetto davvero importante della qualità professionale della sua stessa impresa. Non c'è niente di più dannoso dell'incompetenza.
L’estrema pericolosità dell’incompetenza si comprende facilmente pensando a cosa combina una persona incapace di guidare se messa al volante di un’auto nel traffico normale. Se ciò è vero per un’auto perché non dovrebbe essere vero per un comune, una provincia, una scuola, un ospedale e, naturalmente, per un’impresa? Inoltre, l’inesperto reagisce spesso al primo errore con errori sempre più gravi (e magari cercando poi di rimediare ricorrendo ad espedienti, più o meno leciti, oltre che più o meno professionali).
Non si diventa più competenti perché si detengono molte azioni, così come non si diventa maggiormente proprietari (rispetto alle azioni possedute) solo perché si ha più competenza.
La competenza e la professionalità, oltre a non essere trasmissibili per via ereditaria, non si costruiscono dalla sera alla mattina. Occorrono conoscenze ed esperienze graduali e sistematiche. In breve, occorre un lungo e spesso faticoso tirocinio! Per accedere a posizioni di responsabilità sono infatti necessari tre tipi di doti:
a) doti umane (coraggio, intelligenza, intuito, senso della realtà, ecc.),
b) doti tecniche (conoscenza del mestiere di cui si tratta) e, man mano che si sale,
c) doti manageriali (capacità analitiche, capacità di gestione di persone, di risorse, ecc.).

In molte imprese familiari, invece, l'inserimento di un familiare in azienda avviene spesso solo sulla base della sua disponibilità. Le doti precitate si danno per scontate, senza un accertamento serio della loro presenza ed un programma organico per il loro sviluppo.
Si dimentica uno degli aspetti più fondamentali della realtà umana: le persone, anche all'interno della stessa famiglia, possono avere caratteristiche molto diverse in termini di attitudini, aspirazioni, potenziale. Così facendo si commettono errori tragici.
Tragici per l'impresa e, soprattutto, tragici per le persone.
Questi errori sono più frequenti nei casi in cui il legame famiglia-impresa viene percepito come una sorta di missione, di predestinazione, di obbligo/diritto.
Le persone hanno caratteristiche diverse che si portano con loro dalla nascita.
Dal punto di vista professionale, si tratta delle caratteristiche che il prof. Edgar Schein del Massachusetts Institute of Technology ha sintetizzato con l'espressione ancore di carriera. Secondo Schein le ancore di carriera sono l'insieme di:
a) capacità (ciò che "so" fare)
b) motivazioni (ciò che "mi piace" fare)
c) valori (ciò che "ritengo giusto" fare)
che già preesistono in noi a livello potenziale e che ciascuno di noi scopre e sviluppa progressivamente nella propria vita, grazie soprattutto al confronto con le esperienze reali.
Ecco un paragone che può chiarire il concetto: ogni essere umano, da giovane, ha delle aspirazioni, sogna. C'è chi sogna, ad esempio, di diventare un pittore famoso oppure una star del cinema oppure un campione olimpico dei 100 metri o del salto in alto.
Solo con il confronto reale con il pennello, con il palcoscenico, con il cronometro, con l'asticella ed i concorrenti, scopriamo se ne abbiamo le doti, se ci piace, se riteniamo giusto dedicarvi la nostra vita o parte di essa. E' il processo di progressiva scoperta della nostra identità, della nostra realtà. Se le vicende della vita ci consentono poche esperienze significative, tale processo può protrarsi oltre i trent'anni oppure non realizzarsi mai compiutamente.
Sono state individuate le possibili ancore di carriera. Le più diffuse e significative per il nostro tema sono le seguenti:
v imprenditoriale
v manageriale
v autonomia/indipendenza
v tecnico/specialistica
v stabilità/sicurezza.
Perché sono state denominate ancore di carriera? Perché se nella vita, nel lavoro, cerchiamo di avviarci verso direzioni diverse dalla nostra realtà, subiamo fatalmente lo stesso effetto di un'imbarcazione che cerca di allontanarsi dalla propria ancora: può procedere finché il gioco della catena lo consente, poi viene inesorabilmente richiamata alla propria base.
Le ancore di carriera non si trasmettono ereditariamente. Comunque anche prescindendo dalle ancore di carriera una cosa è certa: un figlio o una figlia di un imprenditore non ha automaticamente la vocazione dell'imprenditore.
Va poi ricordato che anche l'impresa familiare con un numero elevato di membri attivi e validi ha un vitale bisogno, se vuole crescere, di apporti manageriali esterni alla famiglia. Ma é difficile poter attrarre e soprattutto conservare managers validi se non si offrono loro possibilità concrete di espressione professionale e di carriera. Ciò si verifica, ad esempio, quando tutte le posizioni importanti, o gran parte di esse, sono occupate da familiari o, comunque, non risulti inequivocabilmente chiaro a quali posizioni un esterno può aspirate, con regole del gioco fondate esclusivamente sul merito e sulla professionalità.
Nelle situazioni di chiusura o di incertezza, si genera inesorabilmente una selezione negativa: i migliori se ne vanno, rimangono i mediocri.
C'è molto, moltissimo da fare nelle famiglie e nelle imprese per conseguire un livello di professionalità adeguato alle sfide competitive di questa epoca. Oggi occorre più metodo, una professionalità più articolata e più raffinata. Non bastano il buon senso, la laboriosità e, soprattutto, l'improvvisazione.
Ciascuno é sempre più di fronte alle proprie responsabilità, senza tutele e misure preventive: la nostra società richiede (e giustamente!) esami per concedere la patente di guida per un motorino; chiunque, invece, può assumere la guida di un'impresa, indipendentemente dal possesso di una cultura aziendale minima.

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