venerdì 3 febbraio 2012

Monti: dichiarazioni fra il serio e il faceto! Il futuro del posto fisso.

I modi con cui ci si può esprimere sono estremamente soggettivi e quelli in cui si possa essere capiti lo sono altrettanto, in quanto appartengono alla cultura ed alla convenienza di chi li ascolta.
Da qui spazio a 360 gradi!
Le espressioni hanno un impatto superficiale, quindi forte ed immediato come un terremoto sussultorio, se colpiscono la nostra dignità, i nostri valori ed i nostri interessi. I grandi comunicatori sanno esprimere tutte quelle parole che sappiano scuotere gli animi nel medesimo istante in cui vengono pronunciate.
Fortunatamente non tutti gli ascoltatori si fermano a questa superficialità e cercano anche di coglierne il senso, la motivazione e lo scopo ultimo per i quali vengono pronunciate.

La parola è uno dei più forti mezzi di comunicazione e ben lo sanno i politici, i sindacati, gli imprenditori e in genere tutti coloro che detengono il potere. Ciascuna di queste categorie, insieme a tutte quelle che di fatto appartengono ad una casta od a situazioni di privilegio, ha un interesse da tutelare e lo fa, spesso, a danno di altri. Fin qui niente di nuovo, basta leggere i libri di storia umana cercando di cogliere il senso degli eventi e non la sciatta didattica che ci viene insegnata a scuola.
Ma, fatta questa premessa, veniamo al fatto del giorno che ha agitato gli animi: ufficialmente ci si rivolge ai nostri giovani per annunciare che un mito sta per cadere “il posto fisso” e si aggiunge che poi “non sarà neppure un gran male”! Reo di tanta bestemmia : il capo del governo!
Certamente un bravo politico avrebbe trovato un modo di comunicare questo pensiero in una forma espressiva meno lapidaria e sfumatamene più garbata oppure non lo avrebbe proprio detto. Non siamo molto lontani, in termini di tempo, dall’aver ascoltato che non vi fossero per l’Italia le condizioni per fare manovre economiche ulteriori e poi, in quattro mesi se ne sono susseguite quattro e non sono bastate.
Giusto ? Sbagliato? No, solo conveniente. In questo atteggiamento non possiamo riconoscere Monti che si limita a dire e d a fare quello che dice, giusto o sbagliato che sia. Ha anche il vantaggio di non doversi preoccupare del voto futuro degli elettori, né di mantenere l’equilibrio tra le correnti interne di partito, né tanto meno di dover restituire i favori di chi ha sostenuto e sostiene la sua campagna elettorale o di chi gli ha assicurato la maggioranza in parlamento saltellando da un partito all’altro. Lui si è limitato a dire ai suoi ministri che le decisioni si prendono insieme e le si difendono coralmente coordinandosi come in un team.
Tutto innegabilmente più facile. Lo è meno mantenere un equilibrio politico indispensabile all’approvazione delle norme, ma qui sa bene che la convenienza di lasciare a lui di togliere le castagne dal fuoco è un collante bipartisan che ben si armonizza sull’appoggio su tre gambe (PDL, PD e Terzo Polo). Chiunque sappia un qualcosa di fisica ben capisce che l’equilibrio è così garantito! Sarebbero meglio quattro, ma non si può avere tutto, come ben sanno la Lega Nord e IdV.
Il tema scottante della riforma del lavoro rappresenta una delle tre scommesse più importanti su cui stiamo confrontandoci con il mondo economico, quindi non la sola Europa, insieme alla riforma fiscale ed al taglio della spesa pubblica. Si sta parlando cioè della nostra capacità competitiva per il futuro. Più produttività e maggiore competitività in ciò che sappiamo fare.
Diciamoci serenamente che vorremmo dare ai nostri figli non solo quello che noi abbiamo avuto, ma anche di più! Chi non vorrebbe questo? Infatti rappresenta tutto ciò che abbiamo fatto finora e probabilmente continueremo a fare nei limiti delle nostre possibilità. Chi non è stato onesto ci ha aggiunto anche tutto quello che ha potuto rubare o quanto meno prendere sfruttando posizioni di comodo, di intrallazzo, di scambio o potere. Risultato? Noi abbiamo dei figli che hanno vissuto benissimo, rispetto a noi, senza preoccupazioni vere e con “abitudini di consumo” oggi definite “necessità” consolidate nella “indispensabilità”.
Peccato che forse queste ricchezze avevano fondazioni appoggiate sulla sabbia, il debito pubblico.
Lo abbiamo creato tutti insieme, magari inconsapevolmente se dalla parte del popolo e irresponsabilmente se dalla parte dei governanti. In quest’ultima categoria metterei, oltre ai politici, anche tutti coloro che rappresentano i poteri forti, economici e finanziari.
Non dovremmo dimenticare che abbiamo insegnato ai nostri figli che la loro sicurezza economica stava nel “posto fisso” (in Ferrovia, in Comune – Provincia – Regione, all’ENEL, alla SIP, in BANCA, alle Poste, nella Scuola di ogni ordine e grado, ecc.) e non nella loro capacità di esprimere il loro potenziale. I soldi? meglio pochi ma sicuri! Poi, se non bastavano, lavoro nero!
Abbiamo fatto anche cose ottime spronandoli a studiare, peccato che ci abbiano pensato le incompiute, eterne, riforme della scuola a ridurre la preparazione scolastica ai minimi storici. Però intanto i nostri giovani si sono illusi di poter far valere economicamente i loro diplomi di Scuola Superiore, di Laurea triennale e Magistrale. Ma non è così, perché la scuola è andata da una parte ed il mondo da un’altra. Non certo in una direzione opposta ma purtroppo non convergente.
Dovendoci dimenticare di poter considerare come sbocco, per molti giovani, un’occupazione nel settore pubblico perché parte importante del debito pubblico e su cui occorrerà tagliare moltissimo, ci rimane solo il privato suddiviso fra commercio, industria e servizi. Dei tre l’unico che sta crescendo è il terzo. Ma tutti devono rispondere ad un imperativo economico: la competitività nella capacità di sviluppo basandosi sull’innovazione e sulla riduzione dei costi.
Note dolenti per chi sia abituato a guadagnare lavorando in “un certo modo” o comunque per chi sperava che la situazione, finora bene o male vissuta, potesse ripetersi nel tempo. Desideri pii e legittimi, ma poco aderenti alla realtà di mercato. Diritti acquisiti? Si, ma chi li paga? Per ora sappiamo solo che abbiamo venti anni di tempo e di sacrifici per arrivare ad una situazione equilibrata del debito pubblico, cioè ognuno di questi venti anni dovrà essere una tappa di riduzione dei costi pubblici e di maggiore efficienza del sistema.
Reggerà il sistema capitalistico che ci ha permesso di essere retribuiti in modo tale da poter vantare oggi parte dei diritti acquisiti? Non dobbiamo dimenticare che si sta parlando di capitali privati i cui proprietari, in regime di democrazia, sono liberi di impiegarli come e dove meglio credono. La delocalizzazione delle aziende nei paesi emergenti ha di fatto impoverito l’Europa in quanto a posti di lavoro e l’unica motivazione risiedeva nel costo del lavoro e nella scarsa produttività. Non che in Cina o in India, Paesi Magreb, Messico o in Brasile ci sia personale molto produttivo, ma il suo costo era ed è tutt’ora molto più basso e questo rapporto tra costo e beneficio ci ha spiazzato. Noi dobbiamo essere più bravi, più intraprendenti perché più colti, più produttivi perché più partecipi, affinché si ritrovi quell’equilibrio che non fa più scappare le aziende (i capitali privati) e più onesti perché “chi ha rubato” ha anche distrutto parte del futuro dei nostri figli.
In questo ritrovato equilibrio si colloca il lavoro “riformato” e non necessariamente il “posto fisso”, per dare ai nostri figli la soddisfazione del proprio operato e la sua giusta remunerazione. Chissà che da tutto ciò non nasca un nuovo sistema economico, non più basato sugli imperi finanziari od economici, ma su una “rete” di operatori di mercato che ogni giorno si interfacciano generando un interesse che ricada su loro stessi.
Forse con questa ottica si può capire meglio l’allusione del Presidente Monti e distinguersi dalle reazioni di chi si è sentito scavalcato o obsoleto in quanto portatore di idee appartenenti a quel passato che sembrerebbe non più realisticamente ripetibile.

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